
Sono le 11,20, la campanella suona, i banchi si popolano pian piano mentre io passeggio per l’aula salutando i ragazzi e domandandomi – come sempre – se seminerò qualcosa tra loro, se riuscirò ad interessarne qualcuno così come una vita fa successe a me. Stefano Lamorgese è appena andato via insieme alle sue quarte classi, per me sono arrivate le quinte.
Spiego subito che non sono là con la presunzione di trasformarli in scrittori, bensì con il desiderio di restituirgli la bellezza che sta tutt’attorno a ognuno di noi, la capacità di vederla, la voglia di soffermarcisi e di trovare le parole per raccontarla. Ma non solo. Sono là anche per aiutarli a comprendere che la sensibilità non rappresenta soltanto un nemico, qualcosa di scomodo da tenere a bada: è invece un dono. Lo è la capacità di cogliere sfumature che altri non colgono, provare qualcosa osservando gli stati d’animo di chi popola le nostre giornate, lasciarsi incuriosire da stimoli minori e quasi nascosti.
Ho parlato della scrittura come valvola di sfogo, che aiuta proprio i più sensibili a sopravvivere, e che leva potenza al nostro nemico interno. Li ho esortati a non mentire, a consegnare al foglio bianco il nome del loro nemico interno – paura, insicurezza, timidezza, dubbio, vanità, orgoglio – e loro hanno accettato, in forma anonima.
Quando quel nome, così intimo e privato, è stato reso pubblico nella lettura dei foglietti, è emersa l’essenza di tutti quei ragazzi ai quali ho voluto dimostrare che non sono soli, che anche il più arrogante e sicuro di sé della classe o la più bella e vanitosa, combattono la battaglia quotidiana contro la loro parte più scomoda e nascosta.
“Siete tutti qui – ho detto loro indicando il mucchio di tutti quei bigliettini appena letti – e questo dimostra che nessuno di voi è solo, nessuno è meglio dell’altro, nessuno è inferiore a qualcuno. Combattete tutti quella limitante sensazione che rende difficili i rapporti con gli altri: forse, grazie a questi fogli, guarderete gli stessi compagni con altri occhi e con occhi meno indulgenti vi guarderete allo specchio”.
Accettazione, empatia, accoglienza, sospensione del giudizio, capacità di far caso ai disagi altrui rispettandoli, perché la scrittura spinge a guardarsi attorno, a riconoscere in chi incrociamo i disagi esistenziali o l’aspirazione alla felicità. E regala immedesimazione, apertura perché non esiste essere umano che non conosca o non abbia conosciuto entrambe le condizioni: noi siamo gli altri, gli altri siamo noi.
Grazie, ragazzi, per le due ore che mi avete dedicato, per tutti quei foglietti portavoce della vostra intimità che mi avete permesso di portar via in ricordo di voi: spero di avervi aiutato a riscoprire o a non perdere la bellezza del pensiero astratto, così come spero accoglierete la proposta di inviarmi i vostri racconti. Perché se non proverete a proiettare all’esterno quel qualcosa che forse avete dentro, rischiate di perdere un’occasione!
E grazie anche a Eleonora e Maurizio che ogni anno coinvolgono le scuole in progetti che lasciano il segno in tutti noi operatori ancor più che nei ragazzi, dai quali abbiamo sempre da imparare. Sono sicura che Ciro Auriemma, Nicola Dessì, Raffaella Fenoglio, Stefano Lamorgese, Andra Maggi, Livio Milanesio, Nadia Paddeu, GianMarco Parodi, e Piegiorgio Pulixi saranno d’accordo con me (mi scuso se ho dimenticato qualcuno).
E grazie di cuore alla dirigente scolastica, agli insegnanti e al personale tutto – così accogliente e gentile con me – dell’Istituto Baudi di Vesme di Iglesias. Spero avremo l’occasione per rivederci.

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