Susanna Trossero

scrittrice

La scuola, cattedrale dell’adolescenza…

on 13 Maggio 2010

 
Anche oggi Roma sta sotto una cupola scura e minacciosa, con il sole che prova a fare capolino tra le nuvole gonfie di pioggia; apre dei piccoli varchi, si insinua, ci saluta e promette – marinaio lestofante – ma poi fugge via…

È ancora lontana la stagione delle spiagge affollate, ma vicina ai ragazzi e all’ansia per le ultime interrogazioni riparatrici. Ricordate tutti quei tempi, non è vero? Chi di noi non li porta nel cuore… Strano paradosso, la gioventù: Hai in mano la bacchetta magica del futuro, la più vasta gamma di possibilità per costruirtelo su misura ma… è troppo presto per comprenderne la grandezza e l’importanza. E, quando ne sei finalmente cosciente, quel tempo è già passato.

A voi, che ricordate con un pizzico di sana nostalgia e materna indulgenza le incisioni sui banchi, le penose pagelle o le “assenze ingiustificate”, a voi che fumavate nel bagno quelle immonde MS racchiuse in pacchetti da dieci (più facili da nascondere a casa…), e che scrivevate romanzi immaginari su un gioco di sguardi, a voi che la bigiavate, la scuola, portandovi dietro panini e chitarre, dedico un brano estrapolato dall’ultimo libro letto, “O come Oscar” di Daniela Zincone:

“Le scuole di stato hanno il potere di riesumare il passato per quella loro decrepitezza fisiologica, che pare non poter essere diversa e che fa assumere al termine scuola un significato quasi paradigmatico: banchi di formica con le gomme appiccicate sotto, disegni sbiaditi sul tema porno-sentimentale, lavagne ormai grigiastre recanti i segni geroglifici di scritture sovrapposte divenute nel tempo un unico simbolo di gesso sfumato e indelebile.
Le sedie sfilacciano gli abiti.
I termosifoni perdono acqua.
I soffitti grondano lembi arricciati e grigiastri di pittura.
I muri sono gonfi per le infiltrazioni.
La cattedra è il monumento traballante di spenta voce che continua a gracchiare anche in assenza di persona.
Questo è il luogo e non può essere altro da questo.
Pure, tale strano degrado archetipale, che ha una sua straordinaria dimensione epica, diviene una forma d’amore, che sublima lo sfacelo locale con un linguaggio che lo ricostruisce: cattedrale dell’adolescenza, terra sacra dei miei primi fuochi, tu sei perfetta, sublime, così ti amo, ti ricordo, ti vedo, o mia stagione primaverile!”


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