Susanna Trossero

scrittrice

Tra le foglie cadute

La mia dottoressa oggi mi ha detto che non avere tempo è impossibile.

Impossibile non trovarne per ciò che ci fa star bene, mi ha detto, e io ci ho riflettuto molto. La prima risposta, quella istintiva, sarebbe “Che caspita dici, con tutto quello che ho da fare io il tempo non ce l’ho davvero!”

Ed è la risposta di tutti noi, inutile precisarlo, so che vi riconoscerete anche voi in questa reazione. Ma, in seconda battuta, ci ho riflettuto.

Corriamo tutto il giorno per mille motivi e, quando ci fermiamo, non ottimizziamo neppure quelle poche preziose briciole per ritagliarci uno spazio privato in cui mettere comoda la nostra anima.

Non troviamo il tempo per fare una telefonata a quell’amica che abita dentro di noi da sempre, lasciandola in un silenzio che le provoca silenziosi dispiaceri.

Non troviamo il tempo per camminare, e di camminare tutto il nostro organismo ha bisogno, molto più di farmaci e integratori vari, o di massaggi dall’estetista.

Non troviamo il tempo per leggere, e la lettura – come anche la meditazione – ha un incredibile effetto sugli ormoni dello stress.

Non troviamo il tempo per guardarci attorno, per respirare meglio, per assaporare o ascoltare.

E non troviamo il tempo per scrivere di tutto ciò, per lasciar andare i pensieri, per liberarli o regalarli a qualcuno.

Io stessa non mi ero resa conto per esempio, di aver abbandonato il mio blog. Certo, non è fondamentale averne uno, né curarlo costantemente, lo so bene. Ma so anche che per me è una finestra sul mondo, e quando la tengo chiusa per troppo tempo sento che mi manca qualcosa: il contatto con voi che passate di qui, che avete la pazienza di aspettarmi quando le mie assenze si prolungano (non è la prima volta…), che mi leggete e a volte mi rispondete.

Non sapete quale gioia mi dà trovare qui i vostri commenti, punti di vista, critiche o lodi.

Insomma, questa finestra mi è necessaria così come lo è camminare, telefonare a un’amica, leggere. Perchè mi fa guardare fuori e scoprire che ancora ci siete, in mezzo a tutto un crepitio di foglie cadute che da sempre mi ammalia e mi ispira. Foglie che non vedo mai morte bensì portatrici di poesia, sotto un cielo che può essere traparente anche d’inverno.

Vi saluto con le bellissime parole di Fabrizio Caramagna:

“Anche quando sembra non fare nulla e non c’è nessun umano al suo davanzale, la finestra è molto occupata. Suddivide l’aria in geometrie invisibili, orienta i passaggi delle nuvole, calcola le radici quadrate delle stelle, ascolta la voce del vento. C’è solo un punto della notte in cui dorme anche lei, e chissà cosa sogna: forse gli angeli o il mare (ma le finestre di città hanno mai visto il mare?) o il cielo trasparente e infinito da cui proviene”.

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Endorfine, amiche mie

Endorfine

L’ansia delle piccole cose, incombenze quotidiane o banali contrarietà che le intralciano, il quieto vivere defraudato dal niente…
Può essere il telefono che squilla quando il numero è sconosciuto, la pioggia che cade mentre stai per scendere dall’autobus, le chiavi di casa scomparse (ma erano proprio là, là dove ora non sono).

Non la conoscevi, quell’ansia priva di fondamento, quella del risveglio brusco o della difficoltà ad addormentarti, quella scaturita dalla normalità delle cose che diviene all’improvviso “normale” complicazione.

No, non la conoscevi, e nessun conforto ti dà il parlarne con gli altri perché gli altri sorridono di ironia malcelata, e ti danno il benvenuto nel club degli ansiosi, soddisfatti del tuo ritardatario malessere. Ti consideravano un’eletta altezzosa, forse, e ti attendevano al varco un poco stizziti. Ebbene eccoti tra loro e, devi ammetterlo, “prima” non li comprendevi.

Poi, adattandoti alla nuova condizione, ti rendi conto che la soluzione è a portata di mano.

Scoperto il male, trovata la cura.

Camminare.

Da poco ho letto che il ripetersi di un passo dopo l’altro è come recitare un mantra, e ho scoperto che è vero. Respirando a pieni polmoni, ascolti il pensiero che vaga e diviene astratto perché libero di andare dove vuole. Ti si apre un mondo fatto di cielo da osservare, di foglie tremolanti e alberi profumati; una goccia di resina, un filo d’erba prepotente che si è aperto un varco nel marciapiede, una zolla di terra coperta di muschio, i colori dell’autunno che si srotolano sul parco come un tappeto. Creatività alle stelle, pulizia interiore, un lento rigenerarsi mentre riscopri muscoli che non ricordavi di avere.

Poi lui, il cervello, che libera endorfine, tue nuove amiche. Bello, entrare in contatto con loro, sentire che non appena entrano in circolo scacciano lo stress, gli stati d’ansia, il malumore. Nessuna guerra intestina tra questi due opposti, non avverti battaglie, solo benefici.

E ti accorgi che dopo una camminata di buona lena, sei più capace di ridere, di trovare in te la voglia di farlo. I bambini ridono circa quattrocento volte in un solo giorno, gli adulti più o meno cinque… Non è terribile?

E allora, via, in marcia, e come in un cerchio il camminare rilascia le endorfine migliorando l’umore, se migliora l’umore hai più voglia di ridere, e se ridi liberi nuove endorfine!

Allarme rientrato: le incombenze quotidiane o le piccole contrarietà restano tali perdendo d’importanza, e se piove spioverà.

“L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni, e così noi vediamo magia e bellezza in loro: ma bellezza e magia, in realtà, sono in noi.” (Kahlil Gibran)

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Perché camminare?

Perché camminare?Oggi vi regalo dei versi  non miei che ho letto tanto tempo fa e che continuano a piacermi ancora oggi, scritti da Jacopo Gassman, figlio del grande Vittorio. Il titolo è Perché camminare?

 Perché camminare?

Cosa c’è nei piedi che illuda
una sedia a lasciarli partire?
Cosa c’è che ancora giustifichi
il muoversi a, il muoversi per,
il muoversi in sé?
Quale piede – felpato che sia –
trascende la pace di un culo seduto?
Cosa là che non sia anche qua?
Nulla
oltre l’alibi di una fuga.

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