Susanna Trossero

scrittrice

Comparse e protagonisti

In un frangente in cui domenica potrebbe essere martedì e martedì domenica perché per molti di noi i giorni si sono scollegati dalla settimana, ho pensato a chi ho perduto per strada, lungo quel percorso che di frequente si può definire cambiamento e a volte si chiama crescita. Percorso che si compie ad ogni età finché c’è vita.

Riflettevo sul fatto che non necessariamente una frequentazione si interrompe per disaccordi o in seguito a scontri. Le amicizie a volte sono fasi e a fasi della vita sono spesso strettamente collegate. I compagni di scuola, l’amica dell’università, i colleghi di un lavoro di tanti anni prima. E coinquiline di passaggio che in un appartamento non condividevano solo un tetto e le spese ma anche sogni e progetti, o ancora le amiche della palestra o le persone conosciute in vacanza…

Insomma, tanti sono i volti che per un lungo o breve periodo affiancano presenze invece consolidate che – all’opposto – restano e le guardano apparire, sfilare e poi dissolversi.

Ecco, in questo frangente di giornate tutte uguali, la domenica è stata di nuovo domenica grazie alle foto della memoria, che mi hanno restituito occhi e sorrisi e parole di chi adesso ha occhi sorrisi e parole per qualcuno che non sono più io. E mi sono domandata se stanno bene, al sicuro, se sono persone che hanno paura per se se stesse o per chi amano. Chissà se a volte pensano a me come io a loro e mi ritrovano in un cd o in un ciondolo, in una ricetta o in un profumo.

In me, stanno tutte raggruppate in un piccolo borgo dalle porte mai sprangate, e se busso posso ancora rivederle senza che loro vedano me. Perché sono una donna che dimentica senza dimenticare, e penso che in noi resta sempre qualcosa degli altri, in bene e in male. In entrambi i casi, è esperienza di vita che insegna e forgia.

Riposte foto immaginarie e ricordi, ho lasciato che la domenica mi scivolasse via tra le dita, e il sole (lasciando spazio al lunedì di una lunga quarantena) è tramontato alle spalle del borgo e nel mio presente. Presente in cui mi sento fortunata, poiché chi lo abita è al sicuro e sono felice che tra questi ci siano ancora oggi nomi del passato, mai divenuti quelli di comparse.

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Venti sfavorevoli

Is Solinas

C’erano mattine in cui non potevi aprire la finestra a causa della fabbrica per la lavorazione del tonno. Il vento spesso sfavorevole, seppure a quell’ora ancora brezza, accompagnava fino a noi quell’insopportabile odore al momento della colazione, e la piacevolezza dei piccoli tranci di tonno sott’olio sul piatto del pranzo appariva piuttosto distante da quell’olezzo mattutino.

Uscivamo tutte piuttosto presto, in un risuonare di tacchi per le scale e di saluti, e di “ci vediamo a pranzo” perché anche l’orario del rientro suppergiù ci accomunava.

Ognuna di noi aveva una camera arredata di intimi bagagli: una foto sulla cassettiera, un oggetto appartenuto a un passato ancora troppo presente, un ninnolo regalatoci da chi stringendoci forte ci aveva augurato buona vita. E segreti pensieri, disillusioni difficili da raccontare… Il pudore della dignità, forse, o forse il bisogno di andare oltre, di vivere un presente immacolato, ancora intatto nonostante le ossa rotte.

Avevamo in comune un frigorifero che raccontava vizi o virtù di ognuna, e un mobile nel bagno che dispensava piacevoli profumi – se presi singolarmente – e svelava ogni debolezza o mania.

Ma null’altro, in fondo, ci univa davvero, se non un’ombra che alla sera ci attraversava lo sguardo un po’ a rotazione, oggi una, domani l’altra, e nessuna faceva domande che non voleva ricevere.

La domenica la fabbrica era chiusa, e arieggiavo la stanza quando ormai era giorno da un pezzo, poi raggiungevo chi ogni ombra di me invece conosceva. E allora finalmente era odore di buono, di famiglia, di torte appena sfornate, di spaghetti al peperoncino e di suoni che giungendo alle mie orecchie divenivano musica: vociare di bimbi, posate sui piatti, il coltello che affetta, la caffettiera borbotta, i toni scherzosi, la pioggia che sferza contro la grande vetrata oltre la quale anche i fenicotteri banchettano.

Quei pomeriggi indolenti poi, a parlare di niente o di verità confessate, mentre il cielo cambiava colore e nulla più si aveva da rimpiangere…

Tornava il lunedì, con il vento sfavorevole e l’olezzo proveniente dalla fabbrica, con il futuro che appariva sempre troppo lontano e invece era là, in attesa, a due passi da me.

A te, e alle nostre domeniche di dolci parole e spaghetti piccanti

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Un lunedì senza ombrello

Susanna Trossero, Un lunedì senza ombrello“Oltre i vetri del mio appartamento, adesso Roma è un tramonto inaccettabile, un bacio rubato per la via, un gabbiano che plana e una cascata d’edera infreddolita. È un cane randagio che strattona il sacchetto della spazzatura abbandonato e mal sigillato, è un clacson che importuna, un futuro giunto troppo in fretta tra i ruderi del passato.

Quando inizia, il futuro? Con quali segnali ti avverte del suo arrivo?

C’è un fiocco rosa, nel portone di fronte all’ufficio. Un grande, pomposo fiocco rosa fuori moda, fatto di pizzi e merletti, così come si confà ad una femminuccia. Perché annunciare al mondo una notizia privata? Perché deve essere condivisa tra vicini e sconosciuti, bottegai e postini? Perché dovrebbe rappresentare un lieto evento anche per me che passo là davanti ogni mattina, contrariata dal traffico o dalla sveglia che suona sempre troppo presto?
Questa domenica si sta rivelando interminabile.

Non ti voglio. Ecco, l’ho detto, e stavolta ancor più chiaramente. Mi hai sentito? Non ti voglio. Non voglio una caricatura di Federico in giro per casa. Non voglio preoccuparmi delle tue necessità fisiologiche, non voglio essere svegliata dai tuoi pianti capricciosi, non voglio darti il mio seno o la mia vita, il mio tempo o i miei pensieri. Se tu fossi un maschio, ne morirei. Se tu fossi una femmina vedrei in te la mia persona mescolata a tuo padre, come un patchwork grottesco e umiliante, costantemente sotto i miei occhi. Sei il suo orgasmo dentro di me. Questo è un per sempre che non posso tollerare, che non sono in grado di sopportare.”

(Dal mio nuovo ebook Un lunedì senza ombrello, Graphe.it edizioni – qui una mia intervista in merito)

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Quando noi eravamo bambini…

uando noi eravamo bambini...

Quando io ero bambina, al cimitero della piccola cittadina di provincia in cui sono cresciuta, vi era un grosso rettangolo di terra battuta dove in perfetto ordine stavano file e file di croci bianche. Mio padre mi portava in campagna a raccogliere fiorellini e poi, una volta l’anno, li distribuivamo fra quelle croci. “Sono i soldatini morti in guerra – mi diceva – e meritano dei fiori. Questi poi profumano di campagna, e di sicuro a loro piaceranno.”

Era un piccolo rito che ricordo con grande dolcezza.

Quando io ero bambina, si andava al cinema la domenica mattina a vedere i cartoni di Walt Disney o a pattinare sulla piazza grande, e mio padre chiacchierava con i suoi colleghi autisti di pullman mentre mia madre stava a casa a preparare la salsa di pomodoro, quella buona in cui intingere il pane mentre la pasta cuoce. Nella scuola elementare che ho frequentato c’era la bidella Susanna, un donnone che andava in Vespa; nel corso, durante il pomeriggio c’era spesso un gruppo di ragazzetti che cantava attorno ad una chitarra; in via della Vittoria invece si riversava – al mattino presto – un fiume di chiassosi adolescenti diretti alle scuole medie. Quando io ero bambina…

Quando noi degli anni ’60 eravamo bambini, in domeniche d’agosto come queste, le mamme si svegliavano prestissimo per preparare melanzane alla parmigiana, fettine “impanate” o polpette, gnocchetti con la salsiccia e chissà quali altre buone cose da portare in spiaggia per una delle ultime giornate di mare tutte intere. Sotto i pini piegati dal vento, si costruivano altalene e si aprivano quei mitici tavolini rossi da pic nic che contenevano le quattro sedie, poi sulla spiaggia si piazzavano gli ombrelloni e i teli da mare. Sento ancora il profumo di resina mescolato a quello del mare e rivedo mia madre lavare le posate sulla riva, dopo pranzo, mentre mio padre legge un libro giallo all’ombra, con gli occhi che gli si chiudono perché – diciamocela tutta – quei pranzi al mare non erano esattamente pasti leggeri!

Quando noi eravamo bambini la domenica era un vero giorno di festa, in ogni stagione, e io vi auguro un poco di quella magica aria da gente semplice e felice di poco, in questo fine settimana, ovunque andiate e qualunque cosa facciate.

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