Susanna Trossero

scrittrice

Il sole che muore

Una stagione strana, l’inverno. Si riscopre il calore di una casa, tana sicura e accogliente, il piacere di una lettura mentre fuori piove. La compagnia di un amico cane o gatto che si acciambella accanto scaldandoci anche il cuore.

L’insonnia non è contemplata, in inverno. Le coperte divengono bozzolo rassicurante e si ritorna un po’ bambini…

“L’inverno prende gli uomini per mano e li riporta delicatamente ai luoghi cari di un’infanzia che sa di arance, di mandarini, di castagne, di noci, di polenta e di gioia semplice. Quella che si chiama “la brutta stagione” non è una fine, ma una serena e calma preparazione all’inizio; non è ozio, ma operosità nascosta; non è quiete, ma lavoro: è lei che prepara bottoni di fiori e occhi di stelle per splendori accesi di cieli e di prati. D’inverno la gioia fa il nido dentro il cuore, come la maternità”

Così scrive Antonio Fascianelli nel suo Stupirsi della vita, edizioni Borla.

Un testo particolare, questo, trovato in un banco di vecchi libri usati e preso tra i tanti perché – colpita dal titolo, aprendolo a caso vi ho trovato dei bellissimi passaggi. Mi ha ricordato gli agrumi del paese natale di mia madre, Muravera, luogo in cui una Susanna bambina si faceva abbracciare e viziare dai nonni. L’odore del camino, le anziane del paese con le gonne lunghe e i canestri sulla testa, gli uomini con il sigaro e la bicicletta, sulla piazza del paese, a parlare di campi e di raccolti, di figli lontani e di nipoti appena nati.

Quale potere hanno i libri…

Un altro esempio?

“I ricordi di una giornata che finisce si rifiutano di morire e non vanno né in soffitta né in cantina, ma rimangono dentro per sempre, come i sogni, le speranze, l’amore”.

Sì, forse è vero, signor Antonio, ma oltre ai sogni, alle speranze e all’amore, tra i ricordi di una giornata che finisce e che dentro restano per sempre, là nei bellissimi tramonti si annidano anche nostalgie, rimpianti, delusioni o malinconie. Ed è forse tutto questo a rendere ancora più suggestivo il sole che muore.

Siamo tutti più vulnerabili, al tramonto.

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La logica del male

La logica del male

La pioggia che batte martellante sui vetri, il vento che l’accompagna strattonando le poche foglie rimaste sugli alberi, la terra fradicia che si trasforma in fango, l’aria profumata d’inverno, e un libro. Ma non un libro qualunque, no: una storia che ti assorbe, che ti cattura in reti annodate da strane logiche in grado di imprigionarti, e tu – pesce fuor d’acqua – boccheggi domandandoti se quella logica così ben costruita potrebbe diventare la tua…

“Tu mi accusi di cattiveria, ma ti sbagli. Vedi – e assumeva la pedante tolleranza d’uno che cerchi di convertire l’altro alla sua causa – la cattiveria, se proprio vuoi chiamarla a questo modo, non ha come scopo in sé il male altrui, piuttosto il nostro godimento. Per esempio, come senso della nostra potenza, o come sentimento di vendetta, o come una più forte eccitazione nervosa; e non sono io a dirlo, lo ha scritto proprio Nietzsche. Riflettici, ti prego: se in genere si ammette come morale la legittima difesa, allora si devono ammettere come legittime e morali anche tutte le manifestazioni del cosiddetto egoismo immorale, mi segui?”

Non lo seguivo, per la verità: ero frastornato, turbato, intimorito – è la parola- da quel suo sguardo lucido e febbrile.

“Insomma – continuò – fare il male intenzionalmente, quando si tratta della nostra esistenza o sicurezza, viene concesso come morale, no? Ma allora non ci può essere immoralità quando si compie un male non intenzionale. Perché si sa mai pienamente, forse, come faccia male a un altro un nostro atto? Nel compiere il male come semplice cattiveria, come tu la chiami, il grado del dolore prodotto ci è in ogni caso ignoto: ma in quanto in quest’azione c’è piacere, il fatto avviene per conservare il nostro benessere e quindi, sotto un certo aspetto, rientra in un ambito assai simile a quello della legittima difesa.”

Michele Prisco, Gli ermellini neri, Edizioni Bur

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La bella stagione

Piange il mio corpo, in una notte di stelle irriverenti. Piange copiose lacrime di sudore eruttanti da pori fino a ieri ostruiti dal gelo dell’inverno. Piange il suo lamento privato e tuttavia comune a un popolo di intolleranti, mentre immonde zanzare banchettano, attratte dalla palude maleodorante in cui sono immerso.

I savi impazziscono stanotte e i pazzi affinano le loro arti, fra le quali l’autodistruzione primeggia, regina incontrastata. Ma io, povero piccolo essere umano incatalogabile, grido in un silenzio claustrofobico e senza via d’uscita.

Anche i grilli rantolano serenate non richieste e le finestre spalancate sul niente mi privano di intimità vitali, senza null’altro concedere in cambio. Un alito di vento è solo fantascienza mentre il calore delle lenzuola mi ustiona l’anima.

Ma respiro, dunque sono vivo e la vita, nella sua caducità, mi accompagna in questo girone dell’inferno dal quale mi è impossibile fuggire. Se volessi tradire il mio Dio, non avrei neppure quei miseri trenta denari necessari; per andare lontano poi, ne occorrono molti di più.

Chi ha detto mai che l’uomo non possiede alcun potere sul tempo? Situazioni a noi aliene ci corredano di occhi capaci, con un solo sguardo, di rallentare fino all’inverosimile le lancette di qualunque orologio… Ma questa strana dote va perfezionata poiché non siamo ancora in grado di gestirla al meglio: ahimè, è risaputo che allo stesso modo è la nostra gioia ad aumentarne la velocità.

Un potere innegabile, certo, tuttavia così ingannevole da far impietosire il tempo stesso. Tutt’altro che defraudato, ci osserva in silenzio sorridendo magnanimo, nella veste di un padre che osserva il suo bambino fare un uso scorretto e confuso delle posate, perdendo irrimediabilmente buona parte del contenuto del suo piatto.

Che poveri sciocchi siamo…

Una notte eterna dunque è ciò che mi attende e le ali della fantasia, tarpate da tanta canicola, non mi saranno d’aiuto.

Un miraggio inopportuno, in bella mostra dentro il frigorifero, mi disseta solo momentaneamente. Ma l’arsura è dietro l’angolo, sul cuscino, in attesa ch’io tenti di dormire.

Non trovo pace e il calvario è autoalimentato da pensieri negativi, ma come averne di diversi in situazioni così ostili?

Manca l’aria, ho paura, e se domani tutto si ripetesse come adesso? E poi dopo e dopo ancora? E se durasse dei mesi? Se fosse questa la fine del mondo profetizzata dai Maya?

Su questa domanda, non so come, tutto mi sfugge di mano e precipito in un sonno tutt’altro che ristoratore, fra creature minacciose e uomini deformi, tutti in fila per due in attesa di salire su di un’arca rattoppata alla meglio e per niente affidabile.

Non molto tempo dopo albeggia e so di essere sopravvissuto. Come tutti, del resto.

Accade ogni anno.

È  arrivata la bella stagione.

 (Pubblicato nel 2008 da Giulio Perrone Editore, nell’antologia “Arrivano le vacanze”)

 

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