Susanna Trossero

scrittrice

I jeans, quelli veri

JeansI jeans, quelli stretti stretti, con il rettangolo di pelle cucito a destra, all’altezza della cintura a mostrare la marca…

Nel cortile della scuola media Sebastiano Satta, vedo tante coetanee che li indossano e li fanno meravigliosamente invecchiare sedute per terra o sui muretti. La tela ne avvolge le forme acerbe raccontando di piccole donne pronte a sbocciare, ma ancora inconsapevoli e prive di trucco. È concesso loro il burro cacao colorato, uno spruzzo di profumo, lo smalto trasparente… È il 1973.

I miei primi jeans me li ha cuciti mia madre, convinta di farmi un bel regalo: su misura, senza tasche, di una tela buona che non si scolorisce. Certo che no, scolorito uguale vecchio e brutto, a me non succederà di andare in giro “in quello stato”, di sembrare un maschiaccio. Giammai!

Beh, neppure con i suoi jeans ben cuciti, dalla stoffa come Dio comanda, sembro una femminuccia. Acerba, magrissima, le gambe ossute da fenicottero, le braccia così lunghe che persino il professore di educazione fisica le usa per minacciarmi: “Trossero, se non fai bene l’esercizio te le annodo quelle braccia!”

Nel pomeriggio vado spesso da un’amica che abita nel mio quartiere, e lei i jeans li porta talmente stretti che deve stendersi sul letto e trattenere il respiro per poterli allacciare. Non è l’unica che adotta questo sistema e io adoro osservare quell’operazione sognando di quando, un giorno, potrò compierla anche io con le stesse difficoltà.

Una mattina, dopo averci ragionato a lungo, attuo il mio piano d’attacco per raggiungere l’agognata meta: qualche chilogrammo in più e anche io dovrò faticare per far scorrere la cerniera fino al bottone.

La sveglia suona alle 6,30, mi serve tempo. Una colazione abbondante è il primo passo: succo d’arancia, biscotti in quantità, una Fiesta, due banane e subito dopo un panino con Nutella a perfezionare la strategia d’attacco alla magrezza.

Per i pasti successivi, si vedrà.

Ma, ai pasti successivi, ci arrivo così disgustata da saltarli, se ingerissi qualcos’altro nell’arco della stessa giornata morirei. Una nausea da mal di mare accompagna quella frustrante giornata e ai jeans – quelli veri – ci rinuncio, ma non per sempre.

Forse… chissà, magari andrà meglio alle scuole superiori.

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Gioia di vivere

Gioia di vivere

Avete sentito parlare di “Libriamoci”? Si tratta di un’iniziativa della durata di sei giorni, terminata il 31 ottobre scorso e promossa dai ministeri per la scuola e per la cultura. Lo scopo? Quello di ricordare ai nostri ragazzi quanto è bello leggere, quanto è importante, e quali effetti benefici può avere sulla loro formazione. In tutte le scuole italiane che hanno aderito, tante sono state le iniziative interessanti, dai reading di lettura agli incontri con scrittori e case editrici, ma anche giornate a tema, durante le quali approfondire i tanti generi letterari. Insomma, la parola scritta, protagonista delle sei giornate, ha accarezzato e attratto le giovani menti di coloro che rappresentano il futuro, ricordando anche ai più maturi (genitori o insegnanti) la grandezza del loro ruolo. “Per imparare a leggere, bisogna veder leggere”, ha detto qualcuno, ed è vero, così come è vero che se è a scuola che si impara a leggere, è soprattutto in famiglia che nasce l’amore per la lettura.

Per quanto mi riguarda, ho dato la mia disponibilità per le scuole romane, e sono stata contattata dall’Istituto Paritario San Giovanni Battista, per parlare ai ragazzi che là frequentano la scuola media, della mia esperienza come scrittrice ma anche come lettrice. Ho dunque avuto modo di conoscere la preside, ospitale e gentilissima, e alcune insegnanti le quali mi hanno accompagnato durante l’incontro con i ragazzi, avvenuto venerdì scorso.

Mi sono ritrovata in una palestra affollata di visi curiosi e attenti, a raccontare di me e a rispondere alle domande vivaci e intelligenti dei ragazzi, ho ricevuto dei fiori e sono stata letteralmente assalita da una inaspettata richiesta collettiva di autografi! Mi piacerebbe elencare qui tutti quei nomi, tra i quali ricordo Francesco, Nicole, Caterina, Giovanni, Rebecca, Ludovica… Ma erano così tanti!

Ho letto alcuni brani tratti dai miei libri e ho ricordato a tutti che leggere è un po’ come vederci meglio, come vivere più vite, e avere più strumenti per destreggiarsi in quella principale, che ci vede protagonisti del nostro tempo e artefici del nostro destino.
Tante, sono state le domande che mi hanno colpita, ricordo per esempio quella del ragazzo che mi ha domandato se – alla fine di una lettura avvincente – io non mi senta privata di un buon amico. Ebbene sì, è così che ci si sente quando ci si lascia coinvolgere da una storia scritta. Ma noi lettori, si sa, siamo poco fedeli: “abbandonati” da un amico, ne cerchiamo subito un altro ed ecco una nuova storia da scoprire!

Voglio ringraziare anche quel ragazzo che mi ha chiesto: “Se lei dovesse scrivere di questo incontro, che titolo darebbe al racconto?”

“Gioia di vivere – ho risposto – perché qui dentro ce n’è davvero tanta, e gli adulti spesso la dimenticano”.

È vero, amico mio, perché nessun altro come voi giovanissimi, può ricordare a noi adulti quanto è stato bello il tempo in cui la freschezza era di casa; nondimeno, non è difficile salvarne un poco e portarla con noi a ogni età.

Voglio ringraziare il corpo insegnante – in particolar modo la cara Serena Rosati – e la preside, per la possibilità offertami, ma soprattutto i ragazzi della scuola media, che mi hanno accolta con calore e che hanno già cominciato a inviarmi i loro piccoli grandi capolavori: chissà che fra voi non si nasconda un talento letterario… Spero, un giorno, di vedere il vostro nome sulla copertina di un libro esposto in libreria ma – nel frattempo – leggete leggete leggete! Solo leggendo tanto, imparerete a scrivere bene.

Per quanto mi riguarda… che dire, aveva ragione chi ha detto che “Scrivere è una malattia la cui unica cura è continuare a scrivere!”

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