Susanna Trossero

scrittrice

Il sadismo della letteratura

Letteratura sadica

“Il silenzio era un urlo muto d’ironia”

“Il languore malato dell’ineluttabilità”

“Stava con lui perché non farlo richiedeva uno sforzo ancora maggiore”

“Come molte debolezze umane, quell’istante passò veloce, ma senza fare prigionieri”…

Quali e quante frasi lette o sentite, ci si imprimono dentro mettendo in moto qualcosa… Quelle sentite fanno parte del nostro vivere, fioriscono attorno a noi, e tante sono quelle che mai avremmo voluto udire, così come tante sono quelle che ci fanno vibrare i sensi affamati di lusinghe, o la mente assetata di gratificazioni. Ma quelle che leggiamo, quelle che stanno sulle pagine di un libro che altri hanno scritto, ignari di noi…

“Pianse in silenzio, aspettando che dal cielo o dall’inferno le arrivasse il dono fragoroso della rabbia”…

Quelle raggiungono i nostri intimi segreti, le assenze che ci hanno mutilati, le presenze che più non vorremmo o quelle che avremmo voluto ancora; desideri inconsci, rimpianti nascosti, sogni abortiti sul nascere: è là che la frase di un libro va a colpire, impietosa, facendo sanguinare ferite mai cicatrizzate o procurandone di nuove. Perché la letteratura, costringendoti a scandagliare aspetti della tua esistenza che preferivi ignorare, diviene più della vita. Più potente e destabilizzante. Assurdo? Nient’affatto: prima di soffermarti su quella maledetta frase, potevi eludere (siamo così allenati a farlo…), ma dopo, dopo eccolo il pugnale sadico che si pianta nello stomaco. Mettendo in moto l’assenza di noi, ride di vulnerabilità e si insinua sotto la pelle levandoci ogni dubbio: siamo deboli, deboli e nostalgici, impregnati di “se”.

Nondimeno, con affascinate masochismo, ci nutriamo di questo in treno, sul divano di casa, durante le domeniche piovose, nelle sale d’aspetto o in spiaggia. E, mai sazi, temiamo che troppo presto arrivi la parola fine.

“Nulla ti appartiene, se non ti è costato qualcosa…”

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Balzac o sesso?

Balzac

Pennellate di buio sul tuo corpo, stasera, con la luce spenta e i sensi accesi a divorare ogni lembo di pelle, mentre i respiri già si fondono in un unico desiderio…

La malìa di tutto questo nero è voluttuosa per la mente che di te ricorda ogni dettaglio, e ogni dettaglio viene reso alla mia vista attraverso le dita affamate. Ecco, la tua nuca, la schiena, la curva dei fianchi, poi risalgo e trovo i seni, le braccia con gli esili polsi, le spalle. Ed ora ritorno alle gambe e quasi mi pare che le ginocchia sospirino sotto il mio tocco. Poi un piede, l’altro… ho sempre amato i tuoi piedi, così delicati, bianchi come il latte, e le tue unghie smaltate a sedurre lo sguardo. Ora è cieco, lo sguardo, ma dotato di nuova vista mi lascio guidare dal tatto, in questa inedita scoperta di te.

Stai ansimando. Non so perché la mia mano destra si allontani per un attimo, a penzolare fuori dal letto, né perché vada a sfiorare qualcosa sul pavimento. È un oggetto, la sua forma la conosco, oh se la conosco: è un libro, un libro aperto, con la copertina rivolta verso l’alto e le pagine spiaccicate contro il parquet. Che libro? Un nome affiora illogicamente dai meandri della memoria: Balzac. Perché Balzac? Ritorno al tuo corpo, ma i polpastrelli rallentano il passo; con una calma per te esasperante ricomincio a percorrerti tutta. Nondimeno, avviene dell’altro che non so mettere a fuoco e che mi riporta all’infanzia, a quando ripetevo più volte la stessa parola – per di più conosciuta – fino a non riconoscerla più. Lettere mescolate tra loro e divenute insensate nel suono: frittata frittata frittata frittata… conchiglia conchiglia… O a quando, mettendo in moto un medesimo meccanismo, fissavo un volto a me familiare, ne radiografavo ossessivamente ogni dettaglio, fino a prenderne le distanze e sentirmelo estraneo. Un alieno che si deformava sotto il mio sguardo!

Balzac.

Chi sei? Di chi sono questi punti spigolosi? Gomiti, costole, scapole, mento. Di chi, queste imperfezioni? A volerlo davvero, potrei sentire i tuoi pori divenire minacciosi crateri, le tue labbra urticanti meduse. Che cosa è cambiato?

Balzac, Balzac, ancora Balzac.

“No amore, non fermarti  – mi dici – continua ti prego, è bellissimo…”

Ma io scopro dimensioni nuove nei tuoi polpacci e nuove rughe sul tuo viso; scopro nuovi nei e nuovi avvallamenti, con mani adesso incerte e angosciate e occhi che sperano nessuno accenda la luce, perché tu non veda che in loro qualcosa si è spento. Una patina di gelo si forma tra la tua pelle e le mie dita, interrompendo il contatto e prosciugando gli umori.

Balzac. Sono forse uscito di senno? Ti sei irrigidita, di lì a poco arriveranno le domande. L’imbarazzo su quel niente da dire prenderà forma e sarò io per te l’alieno. E tu, chi sarai tu? L’amico dal volto estraneo e deformato. La parola assurda e sconosciuta. L’amore finito.

Eccola, la rivelazione: “Una notte d’amore è un libro letto in meno”. Balzac.

Originariamente pubblicato su GraphoMania

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I morti non muoiono mai per davvero

I morti non muoiono mai per davveroBasta poco, davvero poco, perché le persone che ho perduto tornino a me. Forse perché chi “non è più”, non è mai perduto, resta sempre e per sempre in noi, tanto da riapparire in un suono, un profumo, un colore, un antico sapore, una consistenza sotto le dita.

Sensi.

Hanno il potere di resuscitare tutto, i sensi; non è forse vero che attraverso loro si vive? Possiamo anche celarlo ad altri ma è così che funziona, è di questo che siamo fatti: sensi.

Ed è così che mi vengono restituiti volti, parole e sorrisi. Mani callose che foderano il sussidiario perché non si rovini, echi di risate attutite dallo zucchero filato, tintinnio di posate sulla tovaglia buona, i pattini a rotelle la domenica di Pasqua, con la bocca sporca di cioccolato – rigorosamente fondente, amaro, come piace a me –  e quello sfrigolio d’olio e fritture che proviene dalla cucina; la pioggia che lava le strade mentre ci si prepara ad andar per funghi, e quella marmitta chiassosa che non mi fa sentir bene il canticchiare tanto amato…

Solo i vivi si cancellano o ci cancellano, quando non percorrono più le nostre stesse strade o più non si siedono alla nostra tavola. Per un po’ si piangono o magari si maledicono persino, poi scompaiono nel nulla e pare così naturale dimenticarli…

Ma i morti, quelli no, non muoiono mai per davvero.

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