Percezione. Ognuno ha la sua, è indubbio. Può dar vita a un presagio, a una intuizione, a un presentimento o a una sensazione.
A dire il vero sono considerati sinonimi del termine, ma a me piace pensare che da esso scaturiscono a seconda di come noi viviamo qualcosa.
Il tramonto, per esempio. A osservarlo con il cuore in pace, pace se ne ricava. Una malia, una suggestione che rinnova il miracolo dei colori, del dipinto che il cielo diventa dinnanzi ai nostri occhi. Può addirittura invaderci di gratitudine.
Ma lo stesso dipinto può trasformarsi in qualcosa che non tornerà più: un senso di perdita, la fine non solo del giorno, l’ineluttabilità. Nessuna gratitudine, no, addirittura qualcosa da maledire, la cui magia ci addolora.
E c’è il tramonto impregnato di nostalgia, di tempi andati sui quali fantasticare riavvolgendo il nastro… Le cose non fatte, gli “avrei dovuto” ma anche i pentimenti per quelle fatte, o il rimpianto per quelle che avremmo voluto fermassero il tempo.
Il sole tramonta comunque, ha scritto Jeffery Deaver, sia sul giorno migliore, sia sul giorno peggiore. Ed è vero, ma per me è sempre un incendio le cui fiamme scaldano o bruciano, a seconda del momento. In entrambi i casi, la bellezza mi lascia senza fiato e le due differenti sensazioni vengono zittite davanti a tanta meraviglia.
Forse è proprio questo che dovremmo imparare a fare: godere di uno spettacolo alla portata di tutti, liberando la mente. E mi piace l’immagine ragalataci da Pablo Neruda nella sua poesia “Ancora abbiamo perso questo tramonto”, quando dice che sempre, nel tramonto, si prende in mano un libro. Un libro… pagine nelle quali cercare l’abbraccio per quel sole che va a morire. Un saluto di parole, un’immagine per godere di quelle scelte per noi da altri.
Oggi il mio libro è “La settima onda” di Daniel Glattauer, ma questa è un’altra storia e ve la racconterò la prossima volta…