Susanna Trossero

scrittrice

Ancorati alla banchina del quotidiano

Ancorati alla banchina del quotidiano

Ci sono persone fuorvianti. Persone che danno un’immagine di se stesse tale da far credere ciò che non è. Persone comuni, banali, che indossano l’abito dell’essere superiore. Gli calza a pennello quando incappano in chi è dimentico del detto “L’abito non fa il monaco”, e vantando doti innate e intelligenza senza eguali, riescono a tenere a bada chi intelligente lo è davvero. Un modo subdolo e sottile di andare avanti e sostenere lo sguardo dei più autentici, di chi sa mostrarsi nudo, di chi non ama corazze né barriere e conosce il significato della parola umiltà, che nulla lede alla dignità. Come fanno? Un po’ di eloquio, finta riservatezza, una risposta a tutto.

Io ne ho incontrate alcune, e voi?

Ci vuole tempo, tempo e distanza, per capire. Capire che la loro cultura enciclopedica non è vita. Che le apparenti “idee chiare” sono pensiero d’altri rielaborato. Che ciò di cui sanno parlare è stato sapientemente costruito sul divano di casa, sfogliando volumi di un’enciclopedia. Ancorati eternamente alla banchina del quotidiano, parlano di luoghi meravigliosi senza averli mai visti. Sentenziano di culture differenti senza aver mai interagito con nessuno. Di dolore senza aver mai avuto il fegato di sostenerlo, magari tenendo la mano di qualcuno che se ne sta andando consumato da una malattia.

Parlano di viaggi ma faticano a superare la porta di casa perché viaggiare stanca, e le scoperte si possono fare anche grazie alla rete. D’arte, ma non hanno mai visitato un museo, né sono rimasti abbagliati da quei miracolosi raggi di luce che certi pittori hanno saputo riprodurre sulle tele esposte. Si fa una fila interminabile, per entrare in un museo…

Di musica, e non hanno mai avuto la fortuna di osservare qualcuno che la compone, di udire la magia di una nota che legandosi a quella successiva dà alla luce nuove melodie.

Criticano con supponenza scrittori capaci e non si sono mai cimentati in una narrazione che possieda un briciolo di dignità letteraria.

Giudicano film o registi, stroncandoli senza mai andare al cinema e temono il traffico, la sveglia al mattino, la fatica fisica.

Guardateli, vi prego, e non lasciatevi fuorviare da quella sicurezza che scade in arroganza, un vocabolario più ricco del vostro e un piedistallo sul quale appollaiarsi.

E se, come me, avete girato il mondo, conosciuto tante persone, sofferto per mutilazioni davanti alle quali non vi siete nascosti né sottratti… Se vi siete incantati e stupiti davanti a un Caravaggio, se avete ascoltato prima ancora di parlare, e accettato incombenze, fatica o seccature senza fingervi malati, o se giudicate libri, musica, film solo dopo esservi immersi in tutto ciò sporcandovi le mani… beh, sappiate che siete vivi, avete vissuto. Voi, voi sì.

L’intelligenza non è il risultato di una gara tra chi immagazzina più nozioni; è quel qualcosa che rende curiosi, che spinge ad uscire per scoprire chi o cosa ci aspetta oltre la porta di casa, sia che si tratti di un luogo, di una persona o di una situazione. Il resto è solo una buona memoria, sinapsi allenate, ostentata saccenza. E vita non vissuta.

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Quante ere ci sono, nella nostra breve vita?

Quante ere ci sono nella nostra vita?Di quante ere è composta la nostra breve vita? Di quante stanze allestite al meglio per sentirsi a casa? Quali ricordare oggi, in questo luogo a me familiare?

Erano anni in cui il solo guardare dai vetri diveniva solitudine, in quel galleggiare di provincia; una provincia non mia nella quale sapevo d’essere di passaggio, seppur non conoscendo la vera meta del mio viaggiare.

La finestra era molto piccola e piccolo era lo spazio in cui vagavo, tra pranzi veloci e solitarie cene in camera davanti a vecchi film. Scrivevo lettere, leggevo Montale prima di dormire, e i vestiti del giorno dopo erano già pronti, là, sulla sedia.

Sconosciuta, mi muovevo in lunghe giornate di lavoro, con la biancheria stesa al sole, la via odorosa di pane appena sfornato, e le domeniche ad osservare il mare sognando di andare, andare, andare ancora più lontano di così.

Una vita fa o solo ieri?

Sono tornata dopo anni, in quella cittadina di naufraghi senza storia. Ai muri erano affissi grandi manifesti con il mio nome in evidenza, ho parlato al microfono e ricevuto applausi scroscianti.

Al momento del riposo, la finestra era un balcone che si affacciava sulla via principale e la camera era quella di un albergo.

C’è sempre un luogo da cui provieni e uno in cui vai. E i luoghi del passato si rivestono spesso di un clima autunnale, con piccole foglie arrugginite che planano sul cuore.

Tutti i luoghi, indistintamente.

Quelli dell’infanzia, quelli delle illusioni, quelli delle delusioni e quelli del cambiamento.

E sono tutti luoghi in cui non torneresti più, ma dai quali resti per sempre un poco attratta… Come se, in un angolo piccolo piccolo di te, là ti sentissi ancora a casa.

 

 

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