Mentre le cicale continuano a cantare festose sotto le mie finestre, io penso a banalità del quotidiano, a gesti che ci accompagnano nella vita di ogni giorno, che si adottano senza neppure farci caso e subito dopo si dimenticano, spesso compiuti quasi meccanicamente, come ad esempio la stretta di mano: sincera, dovuta, educata o cordiale, obbligata, molliccia o stritolante….
Ma è davvero una banalità?
Dal libro “Perché mentiamo con gli occhi e ci vergogniamo con i piedi?” (Allan e Barbara Pease, psicoterapeuti australiani – Sonzogno):
L’atto di stringere la mano è un retaggio del passato. Quando le tribù primitive si incontravano in circostanze amichevoli, i vari membri protendevano le braccia tenendo il palmo in vista per indicare che non nascondevano nulla. Nell’antica Roma era diffusa la pratica di portare un pugnale nascosto nella manica, perciò quando due persone si salutavano, per la propria incolumità adottavano la stretta dell’avambraccio. La versione moderna di questo antico saluto è la stretta di mano, gesto usato in origine nel diciannovesimo secolo per suggellare transazioni commerciali.
Tutto ha una sua storia dunque, anche la stretta di mano. E da un’usanza, una tradizione universalmente accettata, si può evincere chi ha intenzioni dominanti, chi l’indole del sottomesso, chi instaura rapporti paritari, chi tendenzialmente prevarica sul prossimo!
Leggendo questo curiosissimo libro, ho scoperto alcune cose sulla “doppia presa” che mi hanno dato da pensare. Mi capita, quando sono molto felice di un incontro, quando sono grata a qualcuno per qualcosa, quando sono sinceramente lieta di aver avuto a che fare con una persona o di averla conosciuta, di porgere la mano destra per la tipica stretta e poi poggiarvi sopra quella sinistra. È un mio modo per rafforzare il significato di quel saluto, per conferirgli un calore maggiore, per trasmettere entusiasmo, ecco tutto. Ma… Considerata la “stretta del politico”, pare sia mirata ad ottenere il controllo sull’interlocutore poiché gli blocca la mano destra. E, in aggiunta, a convincerlo che siamo onesti e affidabili. Fuori luogo con uno sconosciuto, andrebbe adottata solo quando un abbraccio sarebbe accettabile, dunque con vecchi amici ma mai con conoscenze occasionali, figurarsi con sconosciuti.
Comunicazione non verbale, traduzione di semplici azioni quotidiane, rivelazioni sui loro veri significati, consci o inconsci: una scienza che traduce atteggiamenti di tutti, decodifica, insegna, ci serve davvero?
Possibile mai che si possa tradurre il vero intento di chi, come me, in assoluta serenità e apertura, quando adotta la doppia presa sta dicendosi semplicemente felice di aver incontrato una persona straordinaria? Deve davvero esserci dell’altro?
La dedica di questo libro è la seguente: “Dedicato a tutte le persone che hanno una buona vista ma non sanno vedere”; siamo sicuri che dietro ogni gesto ci sia un segreto da carpire, un significato nascosto e maligno, un bisogno di apparire ciò che non siamo o un pensiero che dobbiamo assolutamente conoscere?