Adoro i piccoli borghi: quelle stradine strette di vecchi sassi che si insinuano tra le case abbarbicate sulle colline, i balconi minuscoli ma sempre fioriti a macchiare di colore tutto quel nocciola attorno. Presepi che hanno resistito al tempo, che celano profumo di camino, culle di cibi genuini e vino buono, nascosti così bene che quando ti appaiono all’improvviso dopo una curva, rallenti stupita e non puoi fare a meno di andarci, modificando la tua rotta.
Tra le mura che spesso li circondano, vedi nascere in piccole crepe piante rigogliose, rampicanti che si moltiplicano a dispetto della totale assenza di terra e di cure, o cascate di verde che resistono a gelate invernali, all’arsura estiva, a venti e piogge, quasi a voler dimostrare che basta la voglia di vivere per farcela sempre e comunque. E i portoni… mi incantano, così logori e forti, così segnati nel legno scuro, custodi di segreti celati all’interno di ogni casa. Incontro sempre gatti, tra le viuzze di questi borghi profumati di pane appena sfornato: placidi, mai denutriti, schivi ma curiosi, sonnecchiano sui selciati o sulle soglie, di certo non turbati dal traffico. Mi domando come si passa il tempo, in questi luoghi dove il tempo si ferma… Una briscola al bar, due chiacchiere con i vicini, una cena tra amici davanti al camino di uno o dell’altro, forse. Eppure vorrei trascorrerci saltuariamente almeno un mese, in una di queste case dai muri robusti, a scrivere nel silenzio interrotto dallo scrosciare della pioggia, a rabbrividire di inverni ben più rigidi di quelli di “casa mia”, ad ascoltare i pensieri che di solito si scacciano, o ad annusare l’aria frizzante del mattino, magari sulla porta del panettiere, o della signora che vende le sue torte in bottega. Un po’ di quella serena semplicità che rende la penna più spedita e la fantasia più dolce e malinconica, e niente ha a che fare con il senso di isolamento che – al contrario – si avverte prepotente in città sovraffollate.
Andare a caccia di borghi, in Umbria e in Toscana, non è solo un passatempo, credetemi, ma una necessità dell’anima (che si ritempra di volta in volta) e… lo ammetto: del palato!