Susanna Trossero

scrittrice

Il ricordo di un elefante nella vostra libreria

Il ricordo di un elefante nella vostra libreria

Alla fiera della piccola e media editoria di Roma, tenutasi dal 6 al 9 dicembre al palazzo dei congressi, ho vagato come ogni anno tra montagne di libri, avvolta da quel profumo di carta che da sempre attrae il mio olfatto come poco altro. Sebbene io sia rimasta un po’ delusa è stato bello come ogni anno nuotare in quel mare di copertine e titoli. A dire il vero sono rimasta colpitissima da qualcosa di cui avevo solo sentito parlare: la carta prodotta utilizzando per il 75% escrementi di elefante! I libri stampati mediante questo procedimento erano là, esposti insieme a tutti gli altri, e dimostravano anche al più scettico che non c’è nulla di disgustoso in loro, se non una particolarità che li rende differenti dagli altri: il colore. La carta, che non ha alcun odore poco gradito, ha aspetto e consistenza di tutta quella a cui siamo abituati, eccezion fatta per delle macchioline grigie qua e là che, a dire il vero, la rendono più carina e particolare. Insomma, per chi non conosce l’origine di quelle macchie, risulta originale e piacevole,  e per chi invece la conosce l’effetto è curioso ma non sgradevole.

Ho fatto una ricerca in tal senso, scoprendo che gli escrementi utilizzati provengono dagli elefanti dello Sri Lanka, dove nel 1997 – grazie all’idea di Thusitha Ranasinghe – è nata una società che si prefiggeva il duplice scopo di tutelare questi meravigliosi pachidermi rendendoli utili all’uomo e non solo fonte di problemi per i contadini, i quali cominciarono a essere pagati per la raccolta dello sterco necessario alla creazione di una importante materia prima, ad oggi utilizzata da molti paesi del mondo, compresa naturalmente l’Italia. Un modo davvero interessante per limitare i danni che questi animali arrecano ai campi destinati all’agricoltura, e per difendere la specie dall’uomo: più elefanti ci saranno, più carta si produrrà. Dunque elefanti non più considerati un problema bensì come fonte di reddito, un reddito assicurato anche per gli stessi contadini che ne rifiutavano la presenza. Non male come soluzione, non è vero?

Ovviamente mi sono anche domandata come ciò sia possibile e perché non lo si possa fare anche con gli escrementi di altri animali, e ho scoperto che tutto dipende dal differente processo digestivo:

L’elefante mangia di continuo rami, foglie e sterpaglie ed ha una digestione velocissima. Praticamente compie solo la prima fase di sbriciolamento delle fibre. Il suo sterco assomiglia ad un gomitolo di rametti di paglia impastata e non puzza perché non ha il tempo di fermentare nella pancia dell’animale. Gli escrementi raccolti, in un secondo momento, vengono bolliti per un giorno intero, poi disinfettati con un’alga naturale, e infine sottoposti a colorazione con gli stessi pigmenti che vengono utilizzati dall’industria alimentare. Il prodotto finale viene ritenuto igienico con tanto di certificato dall’Istituto nazionale della Ricerca Scientifica di Ceylon.

Io lo trovo fantastico, e voi?

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