Susanna Trossero

scrittrice

Soffrire per amore

…è ovunque, ci circonda, ci frastorna e confonde, ci assale per la prima volta quando ancora giovanissimi restiamo senza fiato, o all’opposto riempiamo il vuoto con le parole sperando ci aiutino a capire. Ma da capire non c’è niente, niente. Ci arriviamo da adulti: è solo male. Male dentro e male fuori. Male d’amore. Ed è ovunque.

Quando l’ho scovato nei romanzi classici scritti secoli e secoli fa, ho compreso che ogni essere umano – in ogni tempo e paese – è fatto sì di carne e sangue ma anche di quel male che è mutilazione, delusione, rigurgito di fiele per assenze non digeribili. Insito nell’essere umano sempre ci sarà, facciamocene una ragione.

C’è chi non sa amare più di quanto ami se stesso e chi così poco si ama da farsi distruggere. Chi soffre in silenzio e chi fa soffrire, chi spera e chi delude ogni aspettativa…

Ne ho scritto sul mio “Lame e Affini”, ne ho scritto su “Adele”, ne scrivo da sempre ma è poca cosa rispetto a ciò che voi mi state raccontando. E così ho deciso di darvi voce qui sul mio blog o sulla mia pagina fb che parla di lettere,, anonimi viandanti che spazio mi chiedete, perché il male d’amore non sia sminuito né ridicolizzato bensì accolto, rispettato, compreso, letto o raccontato. Condiviso.

Mandatemi – anche in forma anonima – le vostre storie su maldamore_2021@virgilio.it e ogni volta che appariranno su questo blog saranno accompagnate dall’immagine di un cielo al tramonto: ogni male d’amore rappresenta la fine di qualcosa, ma anche l’attesa di un nuovo giorno mentre lui, il cielo, sta a guardare.

Vi aspetto

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Quando la passione incontra la passione

editoria

Miei cari amici, oggi vorrei condividere una riflessione con voi che amate leggere ma soprattutto con chi ama scrivere. L’uscita del libro Il pane carasau. Storia e ricette di un’antica tradizione isolana edito dalla Graphe.it e scritto a quattro mani da me e dalla cara Antonella Serrenti, ha rappresentato il mio ottavo libro pubblicato. In concomitanza con questo ennesimo traguardo, ho notato molto interesse sull’argomento “editoria a pagamento”, ovvero all’improvviso in molti mi hanno domandato se è vero che io non pago gli editori per pubblicare i miei libri. Mi è stato chiesto con tono scettico, e il mio “no” continua a lasciare tutti stupiti e dubbiosi. Vorrei premettere che non ho niente da dire su chi si avvale delle case editrici a pagamento, se non che si tratta di una libera scelta del tutto rispettabile, ma devo contestare chi insiste nel dire che oramai l’editoria è questa.

L’editoria è tante cose: è crisi ma è anche volontà, può essere grande passione o trasformarsi in una mera questione di denaro. L’editoria a pagamento non è solo da demonizzare: è fatta anche di persone oneste e chiare, che non riescono a sostenere le spese e chiedono agli autori dei contributi, compiendo una selezione fra i manoscritti inviati e apportando le opportune modifiche per migliorarli. Ma è anche fatta di imprenditori scaltri pronti a pubblicare qualunque cosa purché l’autore metta mano al portafogli, fungendo da semplici tipografi (i quali ovviamente neppure leggono ciò che confezionano). Molti sono purtroppo coloro che si affidano a questi ultimi, i numeri ce lo raccontano, e spendono cifre consistenti in cambio di un nome in copertina. Perché? Ego? Vanità? Perché appare più semplice prendere una scorciatoia? Neppure su questo intendo discutere: scelte, si chiamano. Ma non mi appartengono.

Scrivere ha sempre fatto parte di me, del mio essere, della mia essenza, e non ho un ricordo che non mi veda con una penna in mano. Quando ho cominciato a pensare di farmi leggere, sebbene già in possesso di una buona tecnica, mi sono dedicata alla cura di ciò che scrivevo; corsi, laboratori, concorsi letterari per avere dei giudizi o delle critiche, e nella mia libreria si sono moltiplicati i manuali di scrittura. Sempre pronta ad accettare consigli, non manca sul mio scrittoio un dizionario dei sinonimi e contrari, l’enciclopedia della scrittura, un buon libro di grammatica. Credetemi, non si finisce mai di imparare e gli errori – fosse anche per distrazione – sono sempre in agguato, pronti a farsi beffe di noi. Tuttavia, in coscienza seppur non offrendo garanzie, posso dire di fare del mio meglio per evitarli.

Lavoro oramai da anni con la Graphe.it di Perugia, una casa editrice onesta e attenta che investe sui suoi autori, che offre tutto ciò che può offrire – in termini pratici e umani – e che si confronta non senza difficoltà con un mercato difficile, spesso poco limpido. E mi sento fortunata di farne parte . Ad oggi, l’ultimo nato (Il pane carasau. storia e ricette di un’antica tradizione isolana) è stato accolto da tutte le librerie Feltrinelli e Mondadori, citato nella rubrica Eat Parade del Tg 2, e il mio precedente romanzo Adele – per esempio – è stato ben recensito dall’Almanacco della scienza del Centro Nazionale di Ricerca; inoltre tante sono le gratificazioni che i miei lettori in questi anni mi hanno elargito! Ma so anche che ho saputo aspettare, poiché non era la vanità a spingermi bensì l’amore per la scrittura, il desiderio di essere apprezzata per ciò che creavo. Non avrei mai pagato nessuno per ottenere questo perché non ne avrei tratto alcuna soddisfazione. Scelte personali, desideri del tutto individuali. Ma per tutto ciò vi chiedo di non storcere il naso quando rispondo che ho trovato una casa editrice che investe sui suoi autori, senza cercare scorciatoie per affrettare i tempi: io di tempo ne avevo, la mia passione sognava di incontrare altrettanta passione, e ho scoperto che l’editoria è anche questo, nonostante tutto.

Sappiate che esiste un sito che elenca gli editori che non chiedono contributi all’autore e sono più di mille: più di mille che investono sui loro autori, e tra questi tanti di certo si preoccupano della qualità a discapito della quantità, immettendo sul mercato pochi titoli rispetto alla valanga a cui ci siamo abituati.  Contattarli non significa pubblicare né significa fare solo incontri fortunati, significa semplicemente tentare, mettersi in gioco lasciando in tasca il portafogli. Credetemi, ne vale la pena.

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Quando una vita non basta

vistarini

Sette anni di incontri e di libri presentati, di volti sconosciuti o familiari, di parole a raccontare dei perché e “per come” di questa o di quella storia, ma la domanda si ripete spesso e rivela una comune perplessità: “Come fai a raccontare ciò che non conosci?”

E non importa da chi è formulata, giacché l’ho risentita anche ieri, ad una presentazione non mia; Carla Vistarini, che – tra le tante cose che hanno lasciato il segno – ha scritto canzoni indimenticabili e un’infinità di testi per trasmissioni televisive di successo, parlava ieri del suo romanzo appena nato Se ho paura prendimi per mano (edizioni Corbaccio), a un pubblico curioso e attento del quale facevo parte, quando la signora Rita Dalla Chiesa le ha posto con autentico stupore e ammirazione, la medesima domanda, ovvero come fai a scrivere di cose che non hai vissuto, che non conosci.

La risposta è stata tra le migliori da me udite: “Io amo la gente, la osservo, la ascolto…”

Quanto avrei voluto alzarmi in piedi per associarmi a quella risposta! Se non ti guardi attorno, se non osservi, se non ascolti, se non vivi ciò che attorno a te vive, e soprattutto se non cerchi di immedesimarti nel punto di vista altrui e di sospendere il giudizio, non puoi dar vita a personaggi che divengano persone.

In agosto, un’attempata signora mi ha domandato con tono quasi risentito come io abbia fatto a scrivere Adele dando voce a dubbi, crisi esistenziali e intime paure dell’anziana protagonista.

“Sei molto più giovane di me – ha insistito – come puoi conoscere certe cose, se ancora devi viverle?”

Forse è un dono, il provare empatia per ogni essere umano, forse è un dono l’avere fantasia o forse lo è il far proprie le storie che ci passano accanto, il non ignorarle, non so. Io, nei miei racconti o romanzi, sono stata la voce narrante di uomini e donne, di adulti e bambini, di assassini o di persone capaci di provare un odio feroce, di altre con turbe terribili o di un angelo dall’anima pura… Sono stata la vittima di un sequestro o la voce di chi vende il proprio corpo, un barbone o una vedova, e sono stata madre, sebbene io madre non sia. “Nasciamo tutti genitori – ha detto ieri la signora Vistarini – e non importa se lo diventiamo o no, lo siamo comunque”.

Scrivere è vivere un’infinità di vite, nel bene e nel male, è non fermarsi mai alle apparenze, è non stupirsi di nulla, è cercare sempre e comunque di comprendere le azioni o reazioni altrui anche quando non ci appartengono, o quando non le condividiamo.

Scrivere non è per chi galleggia indolente sull’acqua senza porsi domande: è per chi osa trattenere il fiato per raggiungere il fondo, desideroso di scoprire che cosa si nasconde tra la sabbia o le rocce sommerse…

E adesso vi lascio, devo leggere il romanzo di Carla Vistarini!

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La magia delle parole

magia delle parole

Quante piccole magie si nascondono, dietro le parole… Incontri, scoperte, condivisioni, scambi, nuove conoscenze e ancora parole. Alessia, che scrive dei versi bellissimi, si stupisce del fatto che io ne abbia condiviso alcuni sul mio blog, perché è più facile incontrare critiche e giudizi o usare parole altrui senza citare la fonte rispettandone l’appartenenza. “Mi ha rallegrato la giornata – scrive Alessia – l’aver capito che c’è chi, prima di essere scrittore, ama le parole, e non gli importa che provengano da chi è conosciuto oppure meno noto.”

Chi ama la scrittura, chi la vive come parte integrante di se stesso e non come cibo per l’ego, ama anche chi regala parole, chi esprime la propria interiorità attraverso di esse. E per fare ciò, per esser capaci di raccontarsi o raccontare, non occorre essere nomi noti, andare in tv o scrivere best seller che occupano le vetrine delle librerie: passione autentica, sensibilità, coraggio di esprimere ciò che nasce e cresce dentro. Questo ho trovato nei versi di Alessia Auriemma, anima profonda incontrata in rete per una di quelle piccole grandi coincidenze quotidiane che ci meravigliano sempre.

Un autrice che ama le panchine solitarie, persona reale che si avvicina come per magia all’irreale protagonista del mio romanzo “Adele”, fondendo le due dimensioni fino a creare un mondo fatto solo di parole, che tutto possono e tutto fanno.

“Basta sedersi sulla panchina e attendere. Si ferma sempre qualcuno alla mia panchina, magari un vicino di casa incuriosito dall’anziana signora che sorride al cane, benevola. A volte non è neppure un vicino, né qualcuno che porta a spasso il cane, ma qualche anima solitaria in vena di chiacchiere, o un’anonima ragazza in lacrime per il suo perduto amore. Io sto qui, sulla panchina, e senza alcun ferro per l’uncinetto osservo, ascolto. La realtà è anche meglio dei libri.”

Dal mio “Adele” – Graphe.it Edizioni.

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Ci sono giorni che sono storie

Ci sono giorni che sono storie

“Ci sono giorni che sono storie, che sono una vita intera condensata, e che non basta una vita per raccontarli. Giorni la cui lunghezza non ha alcuna rilevanza, ma dalla profondità terrificante. Giorni che scavano voragini nelle viscere, pozzi neri che mai si prosciugano del tutto, e che li rendono immortali nel ricordo. E non importa che siano stati dolorosi o felici (mio Dio quanto può essere dolorosa da ricordare, la felicità…), sono giorni destinati a restare. Giorni di cui, forse dopo anni, continuerai a parlare con l’amica dell’anima. È stupefacente quanto la vita sia fatta di pochi di questi giorni. Tutto il resto sono spesso solo ore non vissute: per pigrizia, per noia, per quieto vivere, per stupidità. E maledette siano, allora, le ore non vissute!

E benedetto il tormento del ricordo. Il tormento del tempo che passa. Solo chi ricorda, ha vissuto.

Ma passa il tempo, passa sempre più veloce sulle nostre giornate, sui mesi e sugli anni. Le lenzuola ancora ardono, ma io cambio. Cambia la mia pelle, il mio corpo dà inizio a quel sottile e inesorabile tradimento, cambia la luce; la marmorea figura, che rende le donne presuntuose, lascia spazio ad un quasi impercettibile cedimento, almeno all’inizio. Cedimento che si trasferisce dentro la mente ed è là che attecchisce e mi affligge.

“Sei bellissima”, mi dici, e i tuoi sguardi bramosi sono ancora sinceri, sincero il tuo desiderio senza fine. Siamo sopravvissuti alle mancanze, a crisi finanziarie, ad un cambio di ruoli che ci ha visti crescere e raggiungere la dimensione più matura dei compagni, dopo essere stati giovani amanti; sopravviveremo ad ogni altro cambiamento ma… un infido e sottile disagio ora è parte di me: e se non ti piacessi più, domani? “Domani” è già là, dietro la porta, ridacchia, malevolo e sornione…

Che farei dei miei pensieri se non fossero diretti a te? Ti appartengo. Conosco il tuo torace glabro, la piega che prendono i tuoi capelli dopo l’incontro con il cuscino, piega che tu trovi irritante e io deliziosa. Conosco ogni sfumatura del tuo sguardo che, da rilassato e distratto, diviene iroso o contrariato. Conosco le righe verticali che la rabbia deposita sopra il tuo labbro superiore, proprio sotto il naso. Conosco la forza di ogni tuo sorriso, capace di trasformare l’asimmetrico volto. Conosco le tue manie, i tuoi timori, la tua arroganza e la tua bontà.

Il tuo insopportabile temperamento artistico, senza il quale non saresti mai stato così affascinante e contraddittorio.

Il tuo bisogno di essere rassicurato sulla tua stessa forza nei momenti di grande debolezza, di essere appoggiato e sostenuto mentre ti racconti di quanto tu non necessiti d’appoggio e sostegno.

Conosco il tuo sapore, il tuo odore, i tuoi vuoti, le tue inconsistenze. La tua concretezza o l’incalzare dei tuoi volubili bisogni.

Che cos’è l’amore?

“Ti amo” è forse solo una parola?”

Dal romanzo Adele – Susanna Trossero / Francesco Tassiello – Graphe.it Edizioni.

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