Susanna Trossero

scrittrice

Impossibile non rimpiangere la bellezza

Cara vita passata,

quante tracce hai lasciato in me e quante ne lasci in tutti noi… E quando il tempo trascorso ci allontana dall’infanzia, quando l’adolescenza dura un attimo, e la gioventù se ne va, ecco che la nostalgia bussa alla porta mettendo in moto sensazioni e malinconie che proprio la gioventù non conosce.

La Pasqua era il momento in cui – così come a Natale – si organizzavano i pranzi di famiglia e arrivava anche lo zio più grande con la nave, e i cugini più piccoli di me tutti pronti a far festa. Cara vita passata, nella mia famiglia non c’erano discussioni, recriminazioni, non si covavano rancori e nulla c’era di irrisolto tra gli adulti. C’era soltanto la voglia di stare insieme, di condividere il momento e il cibo, di scoprire le sorprese dell’uovo di Pasqua (ciondoli, sempre ciondoli), di giocare a nascondino sotto casa, di finirla in bellezza con la Colomba ricca di mandorle e canditi mentre i “grandi” prendevano un amaro lamentandosi puntualmente di aver mangiato troppo.

Cara vita passata, che bella famiglia ho avuto. Troppi non ci sono più e il tempo che passa alimenta quella nostalgia che speravo proprio il tempo mitigasse.

La Pasqua – così come il Natale – non era per noi un fatto religioso, inutile negarlo: era una scusa. Una scusa per sederci tutti attorno a un tavolo e per far tintinnare posate e bicchieri.

Cara vita passata, ho fatto parecchi errori di scelta e valutazione, lo so. Ma tu nel farmi dei regali mai hai sbagliato qualcosa, e non posso che ringraziarti di cuore, in questa Pasqua 2024, per i doni ricevuti. Si sono trasformati in ricordi e mancanze, certo, ma così avviene quando incontri la bellezza: impossibile non rimpiangerla.

Non mi manca l’infanzia, non rincorro la giovinezza, ma vorrei riavere un’ora di quel tempo per risentire le voci amate e la leggerezza del cuore, per annusare in un abbraccio il dopobarba di mio padre, per scorgere tra lui e mia madre sguardi complici. O per guardare in alto, fuori dalla finestra della mia cameretta, e scovare tra il vento che spinge via nuvole bianchissime, l’atmosfera che nessuno può mai ricreare.

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Un aldilà per i sentimenti

Oggi pensavo a chi passerà il Natale da solo. Ma non a chi ha subito mutilazioni a causa di lutti, bensì a tutti quelli che hanno perduto qualcuno in altro modo: la fine di una storia o di un matrimonio, un figlio che se ne va sbattendo una porta, una frattura in famiglia… Lutti anche questi, ma avvenuti non a causa del destino avverso. Lutti subiti o inferti, ma derivati da una scelta. Sentimenti che parevano tutto, trasformatisi in niente.

Dove vanno a finire i sentimenti, quando muoiono?

Nel pieno della loro presenza si mostrano forti, indistruttibili, avvolgono mente e cuore, capaci di farsi strada ovunque e contro ogni previsione… Cambiano la vita, i sentimenti, e se si è fortunati la rendono più ricca e degna di essere vissuta. Ai meno fortunati creano devastazioni interne, innescano battaglie, stravolgono convinzioni e razionalità.

Insomma, sono potenti, i sentimenti. E li si reputa eterni, mentre invadono tutto il nostro essere. Eterni, vitali. Diventano addirittura indissolubili da noi, bisogni impellenti che al solo pensare di doverne fare senza, soddisfatti o no che siano, ci manca l’aria.

Poi, e accade fin troppo spesso, per taluni muoiono. Una luce che si spegne, una presenza che diventa assenza, più niente.

Dove vanno a finire?

Nel ricordo, per alcuni. Conosco persone che non dimenticano mai ciò che è stato, a dispetto di come è andata a finire. Rammenteranno comunque le vibrazioni nello stomaco, il subbuglio nel quotidiano, l’abbraccio di una sorella, la risata di una madre, l’intimità di un’amicizia, o della volta che uno sguardo ha detto più di mille parole. E manterranno intatta la bellezza di quella forza prima che si trasformasse in qualcosa di blando, addirittura sgradevole. Prima che la luce si spegnesse.

Coloro che ne sono capaci, che sanno ricordare il bello, hanno un angolo del cuore in cui è sempre autunno, e sotto lo strato di foglie cadute custodiscono segretamente nomi e fotografie di volti indimenticabili e indimenticati, tasselli che compongono nostalgie e rimpianti. Malinconie piene di “se soltanto” e di “avrei dovuto” cementate dentro, in una stanza privata.

Per altri invece, spenta la luce tutto scompare come se non fosse mai avvenuto. Un nome che niente è più in grado di riesumare, un luogo speciale divenuto di nuovo e semplicemente un luogo. Una canzone le cui parole lasciano indifferenti o un profumo che non raggiunge la memoria.

É strano, anche amaro. O forse vitale. O magari addirittura normale.

L’irrequietezza dell’essere umano, spinge sempre verso nuovi sentimenti da sperimentare, nuove ascese che fanno dimenticare l’assenza di vere ali grazie alla capacità di riprendere il volo, sempre e comunque. A volte anche ridimensionando qualcuno di cui non si poteva fare a meno.

Oscar Wilde ha detto che “C’è sempre qualcosa di ridicolo nei sentimenti di chi non si ama più”. È così triste, così privo di rispetto per ciò che un tempo è stato, non è vero?

Chissà se c’è un aldilà per i sentimenti che muoiono. Se ci osservano da là prendendosi gioco di noi, degli abbracci sepolti, e di quelle eternità promesse e dimenticate o rimpiante.

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Numero 41

FioriPoco più di una settimana fa, siamo arrivati a 41 dall’inizio dell’anno. C’è addirittura una media, quasi che non possa passare una settimana senza che accada, e temo che al numero 41 già vada ad aggiungersi qualcosa, nel momento in cui il mio post è on line.

Sono le nostre amiche, sorelle, vicine di casa, le nostre dipendenti o datrici di lavoro. Le nostre madri o mogli o figlie. Non sono nomi sconosciuti che fanno parte della cronaca, sono persone che in un qualunque modo ci vivono accanto, fosse soltanto perché ogni mattina prendono il nostro stesso autobus per andare al lavoro.

Il femminicidio ci riguarda tutti eppure pare non riguardare nessuno, a me non può succedere/ no, lui no: è notizia al telegiornale della sera, è fiaccola accesa quando oramai la tragedia si è consumata.

Eppure, tutti noi, uomini e donne indistintamente, ne facciamo parte e forse, alcune volte, potremmo avvertire l’imminente esplosione e contrastarla. Almeno alcune volte. Non può non esserci un percorso interiore o dei segnali lanciati all’esterno, in questi uomini. Non possono tutti essere muti e isolati dal mondo. Hanno una famiglia che conosce la situazione e l’incapacità di metabolizzare la fine di una storia? Che intuisce anche soltanto quella malevola propensione a non accettare un “no”? Hanno un amico che presta la spalla agli sfoghi? Sono davvero tutti soli al mondo e con nessuno hanno pianto e sbraitato o minacciato, prima? Che tutti imparino ad aprire gli occhi, a monitorare meglio le situazioni, a proteggere, a non sottovalutare, a non tentare di giustificare o – peggio ancora – a non voltarsi dall’altra parte.

Tanti anni fa, una studentessa delle superiori fu percossa e violentata sul cofano di un auto in pieno centro a Cagliari, all’ora di pranzo, all’uscita di scuola. Nessuno se ne accorse, ma accadde sotto le finestre di tante persone, molte aperte per via della primavera inoltrata. Ed è più recente l’immagine di una giovane donna a Roma che corre per strada chiedendo aiuto, sbracciandosi, e auto o moto proseguono senza fermarsi. Un momento dopo, il suo inseguitore, la strangola, le da fuoco e lei muore atrocemente. O ancora, e questo accade fin troppo spesso, ricordo la ragazza che lasciò il compagno perché divenuto violento. Tempo dopo andò a riprendersi i suoi vestiti dalla casa che avevano in comune, accompagnata dalla mamma e dal papà, i quali temevano reazioni violente. Il papà purtroppo restò fuori per non inasprire la situazione, e l’uomo uccise a coltellate la ragazza e sua madre che tentava di difenderla.

Inutile fare altri elenchi: si chiama “sottovalutare”.

Le storie finiscono ogni giorno, le reazioni non sono tutte violente, per fortuna. C’è un dolore da assorbire, è naturale. Una frattura. Ma vi sono persone che mandano segnali evidenti di fragilità emotiva che può sfociare in rabbia pericolosa, altre che già si mostravano violente con le proprie compagne, nel quotidiano. Davvero, almeno in questi casi, nulla che si sia avviato, si può fermare?

Vittime e carnefici, sono sempre così soli? Così ciechi (o ingenui) coloro che gli stanno accanto? E perché noi donne abbiamo la tendenza a credere che quelle notizie della sera non possano portare il nostro nome? “Lui no, non lo farebbe mai, impossibile”. Frasi dette anche in seguito a precedenti manifestazioni violente… “è stato solo un momento, poi si calma, bisogna saperlo prendere”.

Non è la legge, che li ferma: lo fa quando tutto si è già compiuto.

È doloroso, ogni settimana, aggiungere un nome a quella cifra di cui sopra. Ci siamo dentro tutti… Tutte. Avevo 19 anni quando un ragazzo più grande di me cominciò a starmi dietro insistentemente. Non lo fece mai con modi aggressivi, ma si rivelò così fastidioso che imparai presto ad esserlo anche io e smisi di tornare a casa da sola. Si stancò, e cominciò a guardarsi attorno. Io non lo seppi, se non quando vidi la sua foto sul giornale, ma aveva cominciato ad assumere lo stesso atteggiamento con un’altra ragazza. Lei, al mattino presto, si muoveva da sola in un sentiero di campagna, dove correva per tenersi in forma. La uccise là, a coltellate. Non avrei mai pensato fosse capace di simili gesti. Mai. Neppure lei… A volte, è impossibile prevedere. Addirittura impensabile. Ma a volte no.

Nel quartiere in cui vivo, una mattina ho visto le macchine della polizia scientifica, e due corpi riversi a terra. Lui, incapace di accettare la fine di un matrimonio, chiede un ultimo incontro, uccide prima lei con un’arma da fuoco e poi la rivolge contro se stesso. Erano là, per terra, davanti ai miei occhi, non li conoscevo, ma mi sono chiesta perché la ragazza fosse andata da sola in quel parcheggio… E mi sono chiesta che cosa hanno fatto gli amici o i familiari di lui, assistendo al crollo psicologico. Non sto attribuendo colpe, non sono nessuno per farlo. Nè penso a un regime del terrore in cui le donne non debbano più uscire da sole.

Uomini e donne non dovrebbero vivere nella paura e guardare sempre tutti (o se stessi) come possibili assassini. Non è vita.  E allora? E allora l’educazione alla non – violenza, comincia da molto lontano eppure ci è tanto vicina e nasce in famiglia, a scuola, sul lavoro, sulla strada.  Non può essere basata solo sul timore delle conseguenze, bensì sul rispetto della volontà e dell’identità dell’altro. La mia amica, aggredita alle 5 del mattino mentre si recava al lavoro, si sentì domandare dai carabinieri come fosse vestita, se indossasse qualcosa di provocante. I commenti non servono, vero?

Gli stessi uomini dovrebbero insegnare  ai propri figli, amici, colleghi, il rispetto per l’altro, facendo sentire la loro voce. Forse quel “41 vittime” potrebbe risultare almeno inferiore, se tutti ricordassimo di quanto in quel numero siamo coinvolti. Di poco, di molto, chi può dirlo… Ma vorrei tanto smettessimo di pensare che il ridurlo è un desiderio utopistico. Lo vorrei con tutta me stessa.

E l’assurdo è che lo vedrò crescere.

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Un anno che lasci il segno

Un anno che lasci il segno

Un altro anno che si conclude entrando a far parte del ricordo, con la sua lista di fatti accaduti, di incontri e scontri, delusioni o gioie, di momenti indimenticabili e altri da dimenticare, parole dette o taciute, e chissà quando altro.

Si sommano, gli anni, forgiando ciò che siamo o ciò che diventeremo e dunque lasciando segno indelebile nella nostra vita. Ve ne sono di particolarmente significativi ma anche di scialbi e deludenti, ed io spero che il prossimo sia per voi l’anno giusto, quello che si ricorderà per sempre come il più importante, il più ricco di buone nuove e di cambiamenti tanto attesi.

Per me, il 2015 è stato una mescolanza di motivi di riflessione, nel bene e nel male.

Nel male perché purtroppo persone a me care fanno i conti con una salute ballerina e dispettosa… O, nel male perché, ancora una volta, mi sono scontrata con bassezze umane, con la pochezza di coloro che pur di raggiungere mete effimere non guardano in faccia a nessuno. Deludente, certo, ma non più sorprendente, e questo no, non è un bene. Perché bisognerebbe sorprendersi sempre, davanti alle meschinità, altrimenti si rischia di abituarcisi e indignarsi sempre meno.

Ma, ad avere occhi per guardarsi attorno, si continua a trovare sempre qualcosa di bello. Motivi di riflessione, ho detto, nel bene e nel male…

E, dunque, nel bene perché la mia vita si è arricchita di presenze importanti, di gioventù e vivacità contagiosa, di aria di famiglia, di calore e amore, di contatto umano che completa.

Nel bene perché continuo a sentirmi fortunata nonostante momenti difficili che nella vita si presentano a tutti, e nel bene perché ancora so ridere e provare gioia per le piccole cose. Nel bene perché coloro che mi circondano mi regalano tanto ogni singolo giorno, chi in un modo e chi in un altro, facendomi sentire fortunata.

Così, ogni anno e tirando le somme, preferisco ringraziare la vita per tutto il buono che continua a riservarmi, per gli abbracci che ricevo, per la voglia di fare progetti, per la convinzione che alcuni di essi andranno in porto, e per quell’emozione che ancora provo nell’osservare un cielo terso, o… nello scrivere un pensiero.

Che dire Amici miei, che il 2016 dia respiro a chi si è sentito levar l’aria, alleggerendo pesi e angosce, mantenendo invece intatta la gioia di chi bene ha vissuto fino ad ora.

Felice anno nuovo,

vostra Susanna

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Un Natale per tutto l’anno

Una palla dell'albero di NataleQualcuno ha detto che il Natale è uno stato d’animo, e forse è proprio così. Per me va ben oltre una ricorrenza religiosa, un’abitudine consolidata che ogni anno si ripresenta, una festa comandata… Per me è quella voglia di stare con le persone care seduti ad una tavola, con il profumo di buono che inonda la casa. È famiglia, chiacchiere, pacchetti da scartare, mani da stringere, con il freddo fuori dalla porta. È condivisione di buon vino e sorrisi, dunque il Natale mi è spesso di casa, perché lo vivo nel quotidiano, quando il quotidiano me lo permette. Lo vivo quando rivedo chi mi è caro, quando posso riabbracciare chi è lontano, o quando qualcosa mi sorprende. Lo vivo quando respiro amore tra le mura della mia casa, quando un amico mi sorride, quando apparecchio la tavola in modo colorato o quando qualcuno divide il cibo e le chiacchiere con me.

E allora, a tutti voi e a me stessa, adesso che il 25 dicembre è appena trascorso, auguro un Natale che faccia capolino anche in tutte le giornate, in quelle più “normali” e nell’anno che verrà, con affetto sincero.

Vostra Susanna

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