Susanna Trossero

scrittrice

Siete stoici o epicurei?

Susanna Trossero

Iniziare l’anno riflettendo sul senso delle cose parrebbe cosa ardua e dal risultato amaro, se non fosse che tali riflessioni non scaturiscono da ingombranti bilanci, bensì da una lettura di vecchia data: Luciano De Crescenzo, Storia della filosofia greca, da Socrate in poi.

Ho pensato di cominciare il 2018 condividendo con voi che mi leggete, alcuni passaggi di questo libro che mi è sempre piaciuto grazie allo stile leggero e bizzarro dell’autore; un modo insolito forse, ma perché non curiosare anche tra le pagine che non capita spesso di sfogliare ai non appassionati della materia…

In particolare, oggi mi ha colpito il capitolo sugli stoici e gli epicurei.

Chi sono gli stoici oggi? Quanti ne conosciamo o quanti di noi lo sono?

“Lo stoico è un individuo che crede fermamente nella sua missione morale: deve compierla. Egli ha sempre bisogno di un Grande Progetto che dia senso alla sua vita. Nel timore però, che questo Progetto si possa realizzare sul serio, lo stoico in genere se lo sceglie difficilissimo, possibilmente irrealizzabile, e comunque non alla portata di un normale individuo. L’importante è poter soffrire in nome di qualcosa che abbia un significato morale”.

L’autore prosegue spiegando che lo stoico vuole o tutto o niente; lo è per esempio chi cerca il grande amore ma lo vuole integro, esemplare, che non conosca difetti ma solo virtù, affannandosi verso una perfezione che egli stesso non potrà offrire all’altro, poiché non esiste (per fortuna, aggiungo io) un individuo perfetto! Ma lui non scende a compromessi, non accetta vie di mezzo. Dunque soffre, sta solo e vive da vittima.

E ancora, ci fa notare l’autore, stoici sono i cristiani, e precisa però “quelli veri”. Aspirando al paradiso si mortificano con rinunce e scelte (o non scelte), nella convinzione di raggiungere la giusta elevazione dello spirito. Fra i loro slogan preferiti, “Siamo nati per soffrire” oppure “Gli ultimi saranno i primi”.

Chi è invece, l’epicureo?

“L’epicureo è di tutt’altra pasta: cosciente della precarietà della vita, si fissa piccoli traguardi da raggiungere a breve termine”.

Cerca mutamenti graduali dunque, migliorando la propria posizione passo dopo passo, senza ansie ma con volontà. Il termine epicureo, pare essere oggetto di fraintendimenti; una versione di alcuni anni fa del vocabolario Zingarelli, traduce il termine con “uomo agiato e dedito ai piaceri”, ma se si legge con attenzione il pensiero di Epicuro attraverso parole da lui pronunciate, il senso appare tutt’altro:

“Il mio corpo trabocca di dolcezza quando vivo a pane e acqua, e sputo sui piaceri della vita sontuosa, non per loro medesimi sia chiaro, ma per gli incomodi che essi comportano”.

Tra le distinzioni delle due correnti di pensiero, appare chiaro nel testo di cui parlo che gli epicurei sono individui più sereni, in pace con il mondo, poco problematici ma non per questo privi di progetti o di mete da raggiungere, anzi!

Al contrario, gli stoici appaiono problematici, malinconici, mutilati ma sempre pronti a mettere il massimo impegno in tutto ciò che fanno.

Dice De Crescenzo: “Pirelli, per diventare Pirelli, di certo sarà stato uno stoico; un epicureo al suo posto si sarebbe accontentato di fare il gommista!”

Si sorride, con questo libro, ma non solo. Ne proseguirò la lettura molto volentieri e vi aggiornerò, ma nel frattempo, ditemi: vi sentite più stoici o epicurei?
Buon anno, che il 2018 vi sia lieve e gentile.

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Vendere l’anima al diavolo

Vendere l'anima al diavolo

Passeggiando per Villa Borghese, si avverte la presenza dell’autunno nonostante il tepore: le foglie, sebbene ancora poche, cominciano a cadere, e il sole che tramonta accorcia le giornate avvolgendo il tardo pomeriggio di un’aria profumata, che sa di umido e di terra.

L’energia che sprigiona il parco mi ritempra e, di volta in volta, mi soffermo su qualcosa che mi era sfuggito la volta precedente. Per esempio la bellissima statua dedicata al grande scrittore e poeta Johann Wolfgang von Goethe. Incantata da tanta bellezza, ne ho ammirato ogni dettaglio… Un vero e proprio monumento alto otto metri composto dalla statua dello scrittore e da altri tre gruppi di statue che ricordano lui e la sua opera (il dramma, la lirica, la filosofia). Fu inaugurato nel 1904 e sebbene abbia subito importanti danneggiamenti, è ancora là in tutta la sua imponenza e bellezza.

Personalmente sono rimasta affascinata dalla parte che racconta di Faust tentato da Male, con quel grande e austero vecchio che sfoglia un libro e che altri libri ha sotto i piedi, mentre gli sussurra qualcosa un terrificante Mefisto, dalle lunghe unghie appuntite, le corna e il ghigno cattivo.

Fissavo i volti scolpiti sul marmo e pensavo alla storia dell’uomo che vende l’anima al diavolo per ottenere qualcosa, al concetto di bene e male, alle tentazioni e alle vulnerabilità, ai desideri che scaturiscono dalle insoddisfazioni. Niente ci basta mai, e facciamo parte tutti noi di quella mescolanza perennemente in lotta: posseduti da una forza che spinge verso ciò che “non si dovrebbe fare”, ci imponiamo di operare contro i nostri stessi segreti desideri.

Ma, nell’opera di Goethe, il patto con il diavolo viene stretto non per ottenere ricchezza, potere, piaceri, bensì per conoscere. Faust è disposto a consegnare la sua anima al diavolo per soddisfare la sua sete di conoscenza, di arricchimento intellettuale, per studiare le leggi che governano la Natura e il mondo.

Ma finisce sempre allo stesso modo… Mai saremo del tutto appagati: schiavi di beni materiali, desiderosi di fama, denaro, potere, preda di passioni e incapaci di accettare un rifiuto, invidiosi e spesso traditori… Ogni giorno, metaforicamente, quanti di noi vendono o venderebbero l’anima al Mefisto di Goethe? E la dannazione sta in agguato, dietro l’angolo, in attesa.

Due passi nei viali di Villa Borghese, una statua che racconta di sommosse, turbamenti, una carezza al volto del vecchio Faust e l’ultimo sguardo alle fattezze del male, così ben rappresentato…

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Curarsi con la filosofia

Oggi mi sento affascinata da Epicuro, il quale considerava la filosofia come un farmaco efficacissimo nella cura di ben quattro malattie:

Libera dal timore degli dei.

Che vai a fare in un tempio a pregare Dio, quando puoi distruggerlo? Inoltre, chi ti dice che Dio sia nel tempio e non in te? Sii Dio di te stesso, rivolgiti le tue stesse preghiere…

Libera dalla morte.

Quando noi ci siamo ella non c’è, quando lei c’è noi non ci siamo più.

Libera dal dolore.

Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per essere felici. Uomo o donna, ricco o povero, ognuno può essere felice.

Provoca un moderato piacere.

Dei desideri alcuni sono naturali e necessari, altri naturali e non necessari, altri né naturali né necessari, ma nati solo da vana opinione.

E invita a inseguire piaceri durevoli, a godersi ogni momento della vita come fosse l’ultimo, a pensare all’oggi e lasciar tempo per il domani senza affliggerci, definendo il vero piacere – quello fondamentale per la nostra serenità –  la capacità di sapersi accontentare della propria vita improntandola verso la moderazione: meno hai meno perderai.

“Accontentarsi” non fa parte della natura umana, dunque mi pare un’impresa difficile, tuttavia è una sua verità che fa riflettere, visto che buona parte delle nostre insoddisfazioni è data dal fatto che vogliamo sempre di più, di meglio, e tendiamo a inseguire ciò che non abbiamo ridimensionando ciò che invece abbiamo già. Vista in questi termini, per noi l’insoddisfazione è una malattia inguaribile che mai ci lascerà…

La felicità che egli intende equivale a tranquillità interiore, raggiungibile con la ricerca di piaceri semplici (il cibo è uno di questi) e non ammette l’arricchimento perché la ricchezza rappresenta l’accumulo del non necessario.

Invita l’uomo a cercare rifugio nella propria interiorità, Epicuro, per sfuggire le avversità e gli scherzi crudeli del destino, e se davvero questo bastasse sarebbe meraviglioso. Crederci almeno un poco non fa male, e a me piace provarci davanti alle magie della natura, a scenari malinconici e per questo meravigliosi che sempre hanno l’acqua come protagonista: acqua che suadente lambisce la riva, l’acqua che accoglie la durezza dei sassi e con pazienza la modella, l’acqua minacciosa delle giornate di vento, quando si infrange impietosa contro un faro solitario.

“L’uomo che vive con animo sereno è paragonato a coloro che, al sicuro sulla terraferma, osservano il mare in tempesta, l’altrui pericolo” ho letto in un sito che spiega la filosofia di Epicuro…

Nondimeno, il caso, ha sempre grande voce in capitolo.

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