Susanna Trossero

scrittrice

Il crepuscolo dei poeti afflitti

Il crepuscolo dei poeti afflitti

La pagina appare troppo grande, troppo vuota, e troppe sono le righe che la compongono e che la penna invano cerca di riempire, mentre la fantasia abbandona il campo. È questa, una giornata che non passa, un tempo che non scorre; perfino le nuvole faticano a lasciarsi trasportare dal vento, con i pensieri che a loro si agganciano e con loro si disperdono.

È l’ora in cui il tramonto non è più tramonto ma la notte appare ancora restia… il crepuscolo dei poeti afflitti, il momento dei baci rubati, il silenzio di uccelli e cicale.

Solo il vento resiste, provocando mareggiate tra le fronde degli alberi e producendo il fruscio che pare ruscello di montagna.

L’odore è quello della cena dei vicini; si spande nel quartiere per via delle finestre aperte, raggiungendo anche chi non vuol essere raggiunto perché preferirebbe il profumo dell’erba appena tagliata, là, nel giardino.

Ci vuol niente perché tutto si trasformi: all’improvviso ecco il calare del vento e del buio, con le nuvole si fanno minacciose e inducono a levar via i cuscini dalle terrazze; via la biancheria stesa, via le sedie in vimini, via le candele e via noi, abitanti di una serata come tante che si preparano al temporale estivo.
Quando la notte si fa decisa e inarrestabile, ci si arrende all’attesa del giorno dopo, e chissà se sarà quello della svolta, del nuovo che sorprende o del vecchio che mantiene al riparo.

Il foglio non è più bianco, vi si è trasferita la vita dopo il tramonto. Le finestre adesso sono chiuse, c’è un libro aperto abbandonato sul letto, qualcuno al piano di sopra guarda la tv.

Il sonno è di conforto solo a chi, come me, desidera ciò che già possiede.

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Lucciole e lanterne

Lucciole e lanterne

Il tuo vetriolo, versato copiosamente in quattro righe saccenti, era finito in tutti questi anni accanto alle chiavi di una casa non più mia, all’accendino scarico, a un rossetto scaduto e alla lista della spesa, contenuto totale di una borsetta passata di moda dimenticata dentro un armadio.

Ripenso alla nostra amicizia, alle nostre risate e complicità, alle uscite a quattro dopo i rispettivi matrimoni, alle gite fuori porta, alle cene, ai compleanni… Complici indivisibili, una vita vissuta l’una all’interno dell’altra, come il liquido in un bicchiere.

Poi, tutto è cambiato. L’aria si era fatta irrespirabile, pregna di occhi sfuggenti, di assenze improvvise, scuse inventate lì per lì. Ti sottraevi a me e rifiutavi di ammetterlo, insultando la mia intelligenza. E, dopo poco, l’inevitabile scontro.

Altri tempi, tempi in cui accusavo te di doppiezza, lui di tradimento, oramai conscia che fossero doppiezza e tradimento la nuova alleanza. Tu, e lui. Tempi in cui piangevo quando gli sentivo addosso il profumo di casa tua, così inconfondibile, a me familiare, mentre rincasava dicendo d’essere stato in ufficio.

Oggi sono qui, sola, con la borsa dalla cui bocca spalancata viene fuori qualcosa che mi restituisce l’esatta dimensione della mia ingenuità; riconosco il foglio ripiegato così come si riconoscerebbe per sempre il coltello che ci ha quasi dissanguati.

Come dimenticare? Me lo lasciasti allora, sul vetro della macchina, quando non volevo più parlarti dopo aver cacciato di casa il mio uomo. Un foglio ripiegato, solo questo, dove mi scrivesti:

Quando punti un dito alla luna,
per indicare la luna,
invece della luna
gli stupidi guardano il dito.

Una citazione, nient’altro. E io continuai a non capire, a sentirmi derisa. Mi si stava dando della sciocca: perché? Perché infierire? Che cosa avrei dovuto vedere, oltre al mio naso? Quella citazione, riportata sulla carta dalla tua mano, mi tenne compagnia a lungo nel tempo della rabbia.

Poi, più tardi, furono tempi della verità e delle scuse che ti dovevo.

Tempi in cui il tuo uomo e il mio, alleanza che mai avevo previsto, andarono altrove a sudare insieme sotto le stesse lenzuola.

(un mio racconto breve)

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