Susanna Trossero

scrittrice

Bologna che trema

Non so bene se ciò che mi sveglia nel cuore della notte è una sensazione astratta o concreta. Mi strappa dal sogno e fatico a realizzare quanto ci sia di vero o quanto appartenga al mondo onirico nel quale navigo da poco meno di un’ora.

Serve la luce, dov’è l’interruttore? Ecco, sono sveglia, adesso sì, lo sono.

Ma il lampadario oscilla, la porta della camera sbatte contro lo stipite e sbattono le ante dell’armadio non mio, in questa casa che mi ospita tra il verde dei colli bolognesi: non è un sogno dunque…

La terra è cosa viva, respira, trema e inghiotte, risputa e ancora inghiotte. Non si ferma. Vibrazione interminabile, cupa come quel vago suono ovattato sotto i piedi. Vertigine, batticuore, e più tardi ancora e ancora, fino all’alba. I passeri che tacciono, non un alito di vento, ma comincia a piovere. Come sempre, del resto.

È viva, la terra.

Ti ascolto, respiro la tua rabbia, il tuo violento movimento che dal profondo affiora.

Non scappo, e tu mi lasci andare. Torno a casa.

Scopro soltanto più tardi che molti altri, la casa, l’hanno perduta.

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Vecchi ragazzi in festa

 

I colli bolognesi, una villa immersa nel verde e in basso la vecchia città che sonnecchia respirando il maggio emiliano. Classe 1960/66, una tavola imbandita di salumi regionali, pane casereccio, lasagne, buon vino, le crescentine (o gnocco fritto, se preferite).

Cimeli di famiglia impreziositi dall’età sono sparsi in ogni dove, ritratti ingialliti dal tempo, una libreria che lascia senza fiato! La classe ‘60/66 è là, al centro della grande stanza, che si dimena al suono della disco music anni ’80: avvocati, musicisti, scrittori, un’attrice, un filosofo, professori universitari, storici, un ingegnere cubano che ha scelto la libertà italiana, una poetessa, delle professoresse. Ragazzi a una festa, alleggeriti da adulti pesi, che bigiano il quotidiano e mangiano in piedi, ridono, si raccontano storie e riconoscono quel pezzo di Donna Summer e, ti ricordi? Quel Disco Inferno di quella volta lì.

Nessuna traccia di nostalgia o rimpianto, solo un divertirsi come allora e come allora  i gruppi che si formano e le domande di rito: “Ma tu non sei di Bologna, vero?” e via di seguito. Ma ce n’è una che, allora, non veniva mai formulata ed è “Tu cosa fai nella vita?”

C’è un tempo in cui tutti fanno le stesse cose, poi quel tempo finisce e comincia una strada differente per ognuno di noi, la strada delle scelte, del costruire o dell’affondare.

E tu cosa fai adesso?

Vado ancora a  una festa, ballo al centro di una stanza piena di fumo, il bicchiere in mano, è il compleanno di Andrea e stasera siamo tutti amici.

Classe 1960, 61, 62, 63, 64, 65, 66…

E, più tardi, si migrerà verso la mansarda della villa, con il sax e il piano che indurranno al silenzio, la bellissima voce della cantante del Kansas piovuta là alle due del mattino, le luci soffuse, la notte incantata che spia dai vetri chiusi. E tutti torneranno ad essere adulti, o vecchi ragazzi ancora capaci di sognare, di gustare l’intimità del “gruppo”, con lo sguardo perduto in un altrove che ai veri ragazzi è sconosciuto.

Classe 1960/66. Non siamo venuti poi così male.

Poche ore dopo, il terremoto. Ma questa è un’altra storia.

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