Il silenzio è ciò che più annienta. Il silenzio generato dalla mancanza, dall’assenza delle telefonate quotidiane, dal suono dell’acqua che bolle e del sugo che borbotta mentre apparecchiate insieme. Il silenzio provocato da una voce scomparsa all’improvviso, dal rumore di passi che non esistono più. Tutto è silenzio, quando qualcuno se ne va.
Non poter più dire “mamma”, non scrivere più nulla nel suo calendario, non domandarle se ha preso la pastiglia per il diabete o che cosa desidera per cena.
Levar via le sue medicine, l’occorrente per sterilizzare l’apparecchio acustico, gli appunti sui valori della sua pressione da dare al medico. E scoprire nel fondo di un cassetto abilmente nascosta da altro quasi per pudore, la biancheria di tuo padre profumata e in ordine da ben 35 anni. Forse torna, avrà pensato qualche volta. Ma da quell’altrove che nessuno di noi conosce no, non si torna. Adesso c’è anche lei, forse stanno insieme, di nuovo, finalmente. C’è andata il 29 ottobre, rendendomi orfana.
Si dice che la cosa migliore dopo un lutto è riappropriarsi al più presto della normalità, ma non è forse una contraddizione, nel momento che nella normalità c’era chi adesso non c’è più? Tutto va ricostruito invece, daccapo, attorno a quella assenza; è un ricominciare claudicante, questo. Dovrebbe essere d’aiuto la consapevolezza che i figli sanno che perderanno i genitori, questa è la natura delle cose e della vita, e lucidamente lo sappiamo tutti ma…
Sì, “ma”. Un ma che non so spiegare e che al momento opprime, devasta, elargisce un senso d’angoscia al risveglio e una soffocante idea di perdita alla sera. Durerà, lo so bene, bisogna imparare a conviverci e accendere tante luci attorno per non precipitare nel buio che si fa gioco di ogni tentativo.
Durerà.
“Nella lingua italiana, “orfano” è il figlio a cui mancano i genitori. Esiste anche un altro termine: “orbato”. Come se venisse a mancare la luce ai propri occhi. E’ terribilmente vero.”
(Fabrizio Caramagna)
Ciao mamma