Cominciasti a soffrire. Ti immaginavo correre da lei per quella via che la ragione disconosce, annullarti in un corpo attraverso cui rinascere e poi, dopo il piacere, tornare qui in fase calante a ricordare noi, quel noi che già sapevi di distruggere. In realtà fui io a farlo, in qualche modo, e mi dà un sollievo malato ricordarlo, quasi che io con il mio potere decisionale fossi l’artefice di tutto e non la vittima. È così che la dignità prova disperatamente ad uscirne illesa? O dovrei chiamarlo orgoglio?
Ti chiusi ogni porta per accelerare quell’attesa che non riuscivo a tollerare. Ti respinsi in ogni situazione: a tavola mentre tentavi di comunicare, al mattino mentre mi raccontavi un sogno, alla sera quando cercavi il mio sostegno in discussioni con amici. Ti levai tutto, consapevole di ferirti con i miei silenzi, di condannarti senza appello con gli sguardi. E quando mi chiedesti aiuto per quella subdola attrazione che ammettesti di provare per lei, ti voltai le spalle indignata.
Quando un uomo si invaghisce della primavera, in piena stagione autunnale, ha forse l’esigenza di esorcizzare la paura, di solleticare una virilità che necessità di prove intriganti. E ha bisogno davvero d’aiuto e comprensione. La stessa che si riserva agli ammalati, ai depressi, agli afflitti. Ma non ne siamo quasi mai in grado, perché troppe “cose” del tutto femminili entrano in gioco. Un uomo sa perdonare, una donna odia.
“Non rovinare tutto – mi dicesti, – o troverò in lei ciò che cerco in te, e che solo da te voglio”
Brano tratto dal romanzo Adele di Susanna Trossero e Francesco Tassiello – Graphe.it edizioni – gennaio 2013