Susanna Trossero

scrittrice

Le Funambole

Una mimosa

8 marzo… Convegni, dibattiti, riflessioni, fiori, l’occasione di una pizzata con le amiche, o nulla che distolga dalla normale routine. Sono tanti, i modi di vivere o non vivere questa giornata che è commemorazione.

Io voglio regalare un racconto a tutte le funambole che ci passano accanto, delle quali non conosciamo storia e paure, che camminano ogni giorno sul filo temendo di cadere, mentre noi non cogliamo nello sguardo la richiesta d’aiuto. Sono le nostre vicine, le colleghe d’ufficio, le nostre sorelle, figlie, nipoti. Non sono così lontane, e forse ognuno di noi potrebbe ricordar loro che non sono sole.

Le Funambole

Mio marito dice che avere dei figli dà un senso di potere illimitato su qualcuno che non può prevaricarti. Quando impartisce loro un ordine ben preciso, so che la perfetta esecuzione di questo dipende direttamente dal tono di voce da lui utilizzato, dallo sguardo, dalla mimica facciale. E non è cosa facile far sì che tutto fili liscio e che si riesca nell’intento. Io non ne sono capace, sono troppo buona io. Io sorrido e li cullo… Per avere il dono del comando bisogna dedicare del tempo e delle energie, esercitarsi il più possibile, avere un modello magari.

Io ho Lui. Lui sa sempre come imporsi.

Prima ti fa sedere e ti prepara al fatto che qualcosa non va. Poi fa gli occhi freddi e senza distoglierli dai tuoi ti fa un elenco particolareggiato delle tue malefatte. Poi, con voce calma e quasi suadente, ti minaccia; la gravità del problema si può stabilire dal numero di parolacce presenti nelle frasi che usa: più ce ne sono, più il rischio di eventuali complicazioni è elevato.

Sta sempre molto vicino al tuo viso affinché tu non possa sottrarti alla presa del suo sguardo e quando sei sufficientemente preoccupata per la tua incolumità è pronto ad esplodere. Se sei furba o almeno intelligente, puoi evitare la parte più spaventosa, quella delle urla, della rabbia incontrollata, dei pugni sul tavolo, degli oggetti lanciati contro il muro. Dei lividi e del sangue. È sufficiente che tu non cerchi di giustificarti, di dare spiegazioni, di metterlo nel sacco salvando il salvabile. La verità o le bugie che potresti dire in quel frangente sortirebbero lo stesso effetto senza distinzione alcuna e allora perché peggiorare la situazione? I “ma”, i “se”, i “ti prego” o i tentativi di evitare un’ingiustizia, perdono ogni valore (se mai ne hanno avuto) nel momento in cui lui sente il suono della tua voce… Come osi anche solo pensare di intervenire in tua difesa? Di annullare tutti i suoi sforzi per educarti, per trasformarti dalla bestia che sei in una persona civile? Dio Santo, ma non dovresti essergli eternamente grata per ciò che fa per te in modo così disinteressato? Il suo è altruismo, è come un santone, un guru, un saggio che ti regala la sua sapienza allo scopo di renderti più simile a lui, di migliorarti e farti apprezzare dal mondo intero. È una fortuna averlo accanto, è una fortuna che abbia scelto te per percorrere insieme il lungo cammino della vita.
Ecco perché bisogna seguire certe regole.

Quando la prima parte della sua lezione di vita sta per concludersi annuisci con umiltà, tieni lo sguardo basso, le mani in grembo, stai seduta sul bordo del divano in posizione precaria per dimostrargli apertamente la tensione a cui ti sottopone, sii comunque composta e non morderti le labbra, dignitosa nella tua paura; non fare l’errore di piangere per impietosirlo perché solo i deboli e i perdenti piangono. E allora forse, ma dico FORSE, non perderà il controllo consapevole del fatto che hai capito, che hai imparato la lezione, che le sue fatiche non sono andate perdute.

Si alzerà dal divano passandosi la mano destra fra i capelli pensando a qualcosa da fare, ma tu non ti muovere per qualche minuto, fissa il pavimento poi, senza alzare lo sguardo, con un filo di voce dirai: “Posso andare in bagno?”.

In quegli attimi lontano da te si complimenterà con se stesso per essere riuscito quasi a farti pisciare addosso e si dirà che è giunto il momento di dimostrarsi comprensivo e benevolo… carota e bastone, bastone e carota… Gli avrai dato forza e sicurezza, perciò al tuo ritorno dal bagno avrà un tono paterno e ti spiegherà che non è bello dover ripetere sempre le stesse cose, che è facile agire nel modo migliore se si usa la testa, che non può essere sempre lui il perno su cui si poggia tutta la famiglia, che una responsabilità così grande è fonte di un indescrivibile stress e che anche lui è stanco qualche volta. E per un momento, ma solo per un momento, tornerà a posare su di te quello sguardo freddo e dirà: “Che non si ripeta “.

Questo è un Uomo.

Un Uomo vero.

Ed è, purtroppo, mio marito.

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Analogie

Analogie - Susanna Trossero

Analogia. “È  il rapporto che la mente coglie fra due o più cose che hanno nella loro costituzione, nel loro comportamento o nei loro processi qualche tratto comune”, cita Wikipedia.

Parlavo, pochi giorni fa in classe, proprio delle analogie sulle quali lavorare per immedesimarsi ancor di più nei nostri scritti. Raccontare soltanto ciò che si conosce, è apparentemente limitante, eppure in realtà noi conosciamo qualunque cosa, sebbene non ne siamo consapevoli.

Bisogna realmente essere degli assassini, per immedesimarsi in un personaggio che uccide? No, per fortuna! Eppure possiamo delinearne perfettamente la psicologia, se andiamo a ricercare in noi tutte quelle volte che abbiamo faticato, lottato, combattuto, per ottenere qualcosa o perché qualcosa di sgradevole cessasse di trascinarci altrove.

In nome del nostro benessere mentale o economico o ancora lavorativo, un giorno abbiamo modificato la nostra condizione: amici che ci fanno star male, un rapporto importante che non funziona provocando infelicità, un lavoro che ci rende insoddisfatti, un semplice conoscente che ci leva il respiro con la sua invadenza e così via.

Qualcuno di voi può dire con assoluta sincerità di non essersi mai trovato in una situazione di disagio simile o… analogo?

Gli strumenti utilizzati per venirne fuori? Carattere, coraggio, stanchezza, rabbia, determinazione… Ve ne sono tanti e rappresentano il martello demolitore di muri che opprimono e contro i quali siamo stanchi di cozzare. Ebbene, questi stati d’animo possono essere elaborati da chi scrive, esasperati nel ricordo, trasformati negli stessi che spingono a uccidere, che armano la mano di un assassino il quale agisce seguendo il bisogno di cambiare le cose. Analogie.

Non significa accettare l’omicidio come mezzo, bensì caratterizzare le azioni e la psicologia di qualcuno che invece lo considera tale, rendendo il tutto credibile.

Analogie, l’ho detto, e il nostro passato ne è pieno.

Non è importante dunque l’aver vissuto ciò che si racconta, ma lo è cercare in noi uno stato d’animo analogo e ingigantirlo, estremizzarlo per rivestirlo di altri connotati.

Vale per qualunque situazione, incomprensione, desiderio, necessità, delusione, difficoltà o meta da raggiungere, credetemi. E anche nella vita di ogni giorno, ci si può esercitare ad avvicinarci a ciò che non ci appartiene, che non comprendiamo, che va al di fuori della nostra portata o contro la nostra natura.

Empatia. Immedesimazione. Sospensione del giudizio. Apertura mentale. E… nessuna censura.

Se non siete in grado di sviluppare tutto questo, scrivere non vi appartiene.

O, forse, non ancora.

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Incontrarsi per parlare di scrittura

Susanna Trossero

Siete pronti a rimettere in moto? Rigenerati dalle vacanze o ancor più stanchi di prima, è arrivato il momento di lasciar spazio al vostro lato artistico, prima che la normalità prenda il sopravvento e vi sentiate soffocare dagli impegni.

Mi rivolgo agli amici di Roma e zone limitrofe: vi propongo un corso/laboratorio di scrittura narrativa particolarmente ricco ma non così impegnativo dal punto di vista pratico poiché non richiede molte lezioni settimanali, bensì diluite nel tempo: un solo incontro alla settimana della durata di un’ora e trenta, per ventiquattro lunedì… come vi sembra?

Intanto vediamo i principali temi trattati:

Perché scrivere? L’immaginazione / Vocazione, talento, tecnica / L’importanza della lettura / Il racconto e il romanzo / Come sviluppare la creatività / Imparare a scrivere, descrivere, mostrare / Allenamento costante: il quaderno delle idee e le recensioni / Le regole: tecniche e strategie / Le parole e la punteggiatura: far parlare un testo / Incipit e trama / La voce narrante / I personaggi / I dialoghi / Documentarsi: ambientazione, epoche, atmosfere / Credibilità e coerenza / I cinque sensi nella scrittura / Generi di scrittura / Spaventare il lettore / L’autobiografia / Il diario in letteratura / La scrittura come terapia: espellere per rinascere / Le lettere mai spedite / Scrivere una fiaba/ La parola fine e la revisione del testo / Farsi pubblicare.

Durante le lezioni verrà riservato uno spazio alla lettura degli esercizi da voi svolti, allo scopo di evidenziarne punti di forza o eventuali lacune.

Il corso è promosso dall’associazione culturale FO.RI.FO. che opera da trent’anni nel campo dell’educazione degli adulti e propone una grande varietà di materie il cui elenco è consultabile sul sito www.forifo.org ; quest’anno si accettano anche giovanissimi (ragazzi di età non inferiore ai sedici anni).

Come vi ho detto, la durata del corso di scrittura narrativa è di 24 settimane, gli incontri si svolgeranno ogni lunedì a partire dal 17 ottobre, dalle ore 17 alle ore 18,30, nelle aule dell’Istituto Comprensivo “Viale Vega”, in viale Vega 91 Ostia (a pochi metri dalla fermata “Stella Polare” – trenino Ostia Lido) Il costo è di euro 191,00 più 9 euro di quota associativa (se preferite il versamento può essere effettuato in due soluzioni).

Per informazioni sull’iscrizione e sulle modalità di pagamento, potete consultare il sito di FO.RI.FO. alla pagina delle iscrizioni oppure contattare la direttrice dei corsi Professoressa Lai, al numero 339 2756008 o via mail all’indirizzo dir.corsiforifo@gmail.com.

Le iscrizioni sono cominciate oggi 12 settembre e i posti sono limitati, ci vediamo in classe, vi aspetto!

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Quante facce ha, l’estate

Quante facce ha l'estate?

Ultimi giorni d’agosto, e sebbene l’estate sia ancora tra noi questa data significa molto un po’ per tutti… Le ferie sono finite, il lavoro riprende, i progetti rimandati a dopo le vacanze ci invadono la mente con la pretesa d’essere concretizzati (“non hai più scuse”, incalzano), le finestre di scuole e università stanno per spalancarsi sulla via.

Accade ogni anno, niente di nuovo.

Tante cose sono successe, in bene e in male, sotto un sole prepotente. Il terremoto del centro Italia ha inghiottito la vita e il quotidiano di paesi e famiglie, lasciandoci attoniti davanti alle immagini della televisione. E quando i numeri sono diventati storie, è stato ancora peggio.
La solidarietà è ciò su cui ci si dovrebbe soffermare adesso, quella concreta che ha molto da insegnare a tutti noi e che mi ha commossa, mentre sui social network si polemizzava contro chi si è preoccupato di salvare non solo la gente ma anche gli animali sepolti sotto le macerie. Chi ha mosso le sue rimostranze, non ha sentito di quante persone sono state ritrovate sepolte dalla loro stessa casa mentre tenevano abbracciato il loro cane o gatto, nel disperato tentativo di salvarlo. Non ha ascoltato le parole di chi supplicava “cercate il mio cane, vi prego” o di chi piangeva tenendo abbracciato un gatto perché solo lui gli era rimasto.

Non so perché in molti abbiano pensato che chi si preoccupava di un animale non si stava preoccupando degli uomini, sappiamo tutti che non è così e dobbiamo soltanto ringraziare chi si è prodigato riuscendo a salvare tante vite.

L’estate calerà il sipario anche su questo, più silenziosa e discreta degli uomini.

Un’estate senza pioggia per buona parte del nostro paese, cosa che davanti alla mia finestra ha mostrato foglie morte in largo anticipo.

Un’estate in cui persone a me care hanno intrapreso la loro personale battaglia per riacquistare la salute, con la forza e il coraggio necessari a vincerla in attesa di una stagione migliore.

Un’estate di incontri avvenuti senza che io dovessi viaggiare, perché l’Argentina ha fatto capolino alla mia porta regalando aria di luoghi lontani e una lingua che adoro.

Un’estate in cui il libro Il pane carasau ha dimostrato a noi autrici (Antonella Serrenti ed io) che ci sono libri che proseguono il viaggio anche a distanza di qualche anno dalla data di pubblicazione: ospitato da uno stabilimento balneare in Sardegna (il Penelope Beach di Giancarlo Melargo) ha catturato i turisti ed ora ha uno spazio nelle loro librerie.

Un’estate di code ai caselli autostradali o affollamento agli aeroporti per tanti, e per altrettanti un agosto di “vacanze sì – vacanze no” dovuto al timore degli attentati o per la crisi economica che ancora miete le sue vittime.

Un’estate che ha accompagnato il mio scrivere appollaiata sul divano di casa, con il condizionatore acceso e una scorta di gelati nel frigorifero. Perché a volte si può forse dire “per le vacanze c’è sempre tempo”, in nome di qualcosa che ci preme di concludere.

Ma è anche un’estate che mi ha condotta in uno dei tanti ospedali a lunga degenza a trovare una persona anziana, luogo dal quale sono entrata sana e uscita con un grande malessere in corpo per quanti stavano là, da soli, imboccati dal personale di turno all’ora dei pasti.

Lamenti, solitudine, due infermieri per ogni quarantacinque pazienti, i parenti in vacanza e uno stato fisico degenerativo che parla di conclusione, di cerchio che si chiude.

Quante e quali facce ha, l’estate?

Quale autunno ci aspetta invece, è un’altra storia… C’è ancora un po’ di tempo, per scriverla insieme.

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Verità o menzogne

Verità o menzogne

Realizzare un’intervista con il proprio padre che non c’è più: conoscerlo così bene da immaginare le risposte, intuire lo stato d’animo, o immedesimarsi a tal punto da sentirlo realmente vicino…

Entrando nella piccola camera a due letti ho quasi il timore di profanare qualcosa e mi vergogno un po’ del mio registratore tascabile. L’aria è quella di tutti gli ospedali: malinconica, eterna, odorosa di disinfettanti e paura; il lento ciabattare nei corridoi, una tv a basso volume, le infermiere che si raccontano l’un l’altra della sera precedente, quella trascorsa fuori da là, magari con gli amici in pizzeria.

Lui sembra assopito, tanto magro da somigliare a un bambino. Molto presto non ci sarà più, non c’è più tempo.

“Papà, sei sveglio?” quasi sussurro.

“Sei tornata… sì, sono sveglio. Cos’è quello?”

Gli spiego che si tratta di un piccolo registratore, che serve per ricordare le cose.

“Ricorderesti comunque, la tua memoria è proverbiale!”

Sorride stanco, e gli chiedo se se la sente.

“Sì, ormai te l’ho promesso, no? Qual è il tema?”

Verità e menzogne… Glielo dico e mi risponde:

“Non è troppo complicato? Per uno che ha fatto solo le scuole elementari per colpa della guerra è già tanto capire quello che legge” e indica un quotidiano ripiegato sul letto. Sorrido pensando che è già menzogna, perché è lui – gran lettore – che mi ha insegnato a scrivere senza alcun errore quando avevo solo cinque anni.

“No, tu sei un genio papà… ma perché adesso, in questo letto, hai deciso di mentire con noi?”

“Le cose non dette, Susanna, sono più facili da ignorare. Non si tratta di vere bugie ma di omissioni: non si dice e non si nega. Quasi si dimentica”.

“Ti fa star meglio con te stesso?”

“Mi fa sentire ancora vivo. Non potrei sopportare di vederli qui tutti a provare pietà senza più curarsi di nasconderlo; di che si parlerebbe? Dovrei fare raccomandazioni, dare disposizioni, rassicurare. Te l’immagini? Io che già ogni sera, dopo che l’infermiera di turno mi rimbocca le coperte e cambia il flacone della flebo, gioco a scacchi con la morte illudendomi ancora di poter barare…”

“Eppure tu lo sai che noi tutti sappiamo…”

“Sì, ma non siete certi che sappia io, così continuate a recitare a mio beneficio e quasi ci credete, a questa mia imminente guarigione! È così bello sentirvi fare dei progetti che includono anche me e giocare al vostro gioco, mentre fuori piove e io frugo tra i miei ricordi per ritrovare quell’odore di terra bagnata che mi piace tanto”.

“Che cosa provi?”

“Stanchezza, rimpianto per le cose che non farò in tempo a vivere, per le persone che non avrò il piacere di conoscere, per le parole che avrei potuto dire e non ho detto. Anche paura… La paura dei vinti. È diversa da quella che provavo da bambino mentre Cagliari veniva bombardata. Quella è la paura di chi sa di avere una via di scampo ma non conosce la strada per arrivarci, la paura di chi vuole combattere per la sopravvivenza ma non ha certezze. A me, il cancro ha tolto quelle stimolanti scariche di adrenalina e in cambio mi ha dato certezze: non ho alcun dubbio riguardo al mio futuro. La guerra non ti toglie i sogni e le speranze, questo male invece sì e ti porta a mentire per avere l’illusione di sopravvivere da sano almeno un attimo in più”.

“Sarebbe meglio affrontarla e condividerla con noi, la verità… me lo hai insegnato tu, ricordi?”

“Sì, e voglio che tu lo tenga bene a mente. Io, la mia verità ce l’ho davanti, in un corpo smagrito, nei dolori che stanno aumentando, negli occhi arrossati di tua madre. In qualche modo, sottrarsi a questo non è sottrarsi alle proprie responsabilità: è cercare un equilibrio tra la sofferenza e il tentativo di non sciupare gli ultimi giorni mettendola al centro di tutto. Io credo ancora in ciò che ti ho insegnato, ora più che mai, questo tu lo sai non è vero?”

“Sì, lo so, così come so che se tu ti aprissi con noi potresti alleggerirti di un peso che invece ti ostini a portare da solo”.

“Punti di vista. Ricordati che ho poco tempo, e davanti ai miei conti alla rovescia mattutini, tutto assume una dimensione più vaga. Pesa molto di più non andar per funghi, non sentire il profumo dei sughetti di tua madre, non saperti serena per causa mia. Sarà più facile per tutti voi ricordare le mie fesserie, le battute divertenti, piuttosto che inutili e imbarazzanti piagnistei. E sarà più facile per me lasciarvi soli”.

“Che posso fare per te, papà?”

“Stai ancora registrando?”

“Sì”.

“Puoi ricordare questo: menti agli altri solo quando hai il coraggio sufficiente per affrontare la verità con te stessa”.

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