Susanna Trossero

scrittrice

Quale domani vorremmo?

Sì, mi distraggo. Sì, sono reattiva e faccio cose che mi piacciono, che mi rilassano… Leggo, scrivo, guardo un bel film, preparo una torta con il mio compagno, chiacchiero al telefono con chi è lontano, mi concentro su piccole cose. Osservo. Penso.

Sì, mi distraggo. Come tutti del resto, anche se forse con meno difficoltà di altri perché non so cosa sia la noia, e non tanto perché la evito facendo di tutto bensì perché anche a stare in silenzio a pensare non mi annoio.

Eppure è tutto così irreale…

Ci siamo dentro fino al collo, lo so bene, ma a voi non capita di ritrovarvi sul divano di casa – magari dopo una commediola leggera in tv (di quelle che distraggono, appunto) – a pensare che è impossibile? Che non sta succedendo davvero?

A me capita ancora, lo ammetto. Chiusa in casa da tempo, un tempo che non può essere quantificato perché si è fermato, non riesco a volte a capacitarmi di questa nuova realtà. Se non fosse per quei numeri orrendi – a ieri 27 marzo, in Italia 62.013 contagiati, 10.361 guariti, 8.765 morti – e per quel silenzio innaturale che racconta di una natura più viva grazie all’orrore di una pandemia per tanti, troppi, letale. Vivo a Roma. Ho visto una farfalla gialla grandissima, dei piccoli roditori si inseguivano festosi tra i rami di un albero. Le volpi, di notte si aggirano per il quartiere. E quanti e quali uccelli che non ricordo di aver mai visto prima? Sono tornati anche i pettirossi e nelle fontane romane deserte, oggi vivono anatre multicolori.

Ma è davvero questo, il prezzo da pagare per tale bellezza? Riusciremo a tornare a quel “prima” dopo tanta paura, perdite, dolore, senza imparare niente?

O, finalmente, saremo un po’ meno arroganti, ci sentiremo meno immortali, e avremo scoperto che tante – troppe cose – che ritenevamo vitali e necessarie, forse non valgono niente?

Non sento auto, clacson, frenate, accelerate, imprecazioni. Neppure il tic tac della sveglia, perché adesso della sveglia non importa poi molto.

Ma sento il bisogno, per il mio “dopo virus”, di proteggere ciò che ho scoperto e che – credetemi – non è poca cosa: esistere significa riconoscere come fondamentale tutta quella vita che attorno ci respira discreta.

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