Susanna Trossero

scrittrice

Un libro, questo sconosciuto…

Scopri di più su come si fa un libro grazie a un'iniziativa lanciata dalla Graphe.it edizioni: una serie di video che raccontano i vari aspetti del mondo editoriale.

Vi siete mai domandati che cosa c’è dietro un libro? Quanti ci lavorano o come ci lavorano, al di là di chi lo ha scritto? In quali gineprai si deve destreggiare l’editore, che cosa accade dopo la scelta adatta per una collana (e come “funzionano” le collane), in quale modo si interviene nel testo, e poi la scelta della copertina, la tipografia, il lieto evento rappresentato dalla pubblicazione e così via?

Ebbene, se vi interessano il punto di vista e l’esperienza di quella mia seconda famiglia che è la Graphe.it, vi suggerisco di guardare questi video a tema: rappresentano le prime tre tappe di un affascinante viaggio nel mondo del libro, viaggio che prosegue il martedì affrontando ogni dettaglio sul tema.

Al momento sono in rete una breve introduzione al “viaggio”.

Di seguito eccovi la prima sosta per sgranchire un po’ le gambe e chiacchierare con gli editori.

La seconda tappa ci spiegherà cosa è una collana – ossatura del catalogo di una casa editrice – e come lavora chi la dirige.

Nella terza, incontrerete anche il mio punto di vista su un argomento che mi sta a cuore: tre domande e tre risposte grazie alle quali potrete scoprire come si interviene su un testo e come vengono affrontati eventuali problemi legati ad esso: funziona? Non funziona? Può migliorare? E come?

Per le altre tappe del viaggio, dovrete attendere il martedì sera (oppure su Facebook, se preferite)…

Quale è la meta? Chissà, forse una vostra pubblicazione, o la possibilità di comprendere meglio come raggiungerla. Vi aspettiamo numerosi, sia che vi piaccia leggere sia che siate appassionati di scrittura. Perché, per entrambe le due possibilità, direi possa valere la frase di Fabrizio Caramagna che dice:

Quando finisci un libro e lo chiudi, dentro c’è una pagina in più. La tua.

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Tra le foglie cadute

La mia dottoressa oggi mi ha detto che non avere tempo è impossibile.

Impossibile non trovarne per ciò che ci fa star bene, mi ha detto, e io ci ho riflettuto molto. La prima risposta, quella istintiva, sarebbe “Che caspita dici, con tutto quello che ho da fare io il tempo non ce l’ho davvero!”

Ed è la risposta di tutti noi, inutile precisarlo, so che vi riconoscerete anche voi in questa reazione. Ma, in seconda battuta, ci ho riflettuto.

Corriamo tutto il giorno per mille motivi e, quando ci fermiamo, non ottimizziamo neppure quelle poche preziose briciole per ritagliarci uno spazio privato in cui mettere comoda la nostra anima.

Non troviamo il tempo per fare una telefonata a quell’amica che abita dentro di noi da sempre, lasciandola in un silenzio che le provoca silenziosi dispiaceri.

Non troviamo il tempo per camminare, e di camminare tutto il nostro organismo ha bisogno, molto più di farmaci e integratori vari, o di massaggi dall’estetista.

Non troviamo il tempo per leggere, e la lettura – come anche la meditazione – ha un incredibile effetto sugli ormoni dello stress.

Non troviamo il tempo per guardarci attorno, per respirare meglio, per assaporare o ascoltare.

E non troviamo il tempo per scrivere di tutto ciò, per lasciar andare i pensieri, per liberarli o regalarli a qualcuno.

Io stessa non mi ero resa conto per esempio, di aver abbandonato il mio blog. Certo, non è fondamentale averne uno, né curarlo costantemente, lo so bene. Ma so anche che per me è una finestra sul mondo, e quando la tengo chiusa per troppo tempo sento che mi manca qualcosa: il contatto con voi che passate di qui, che avete la pazienza di aspettarmi quando le mie assenze si prolungano (non è la prima volta…), che mi leggete e a volte mi rispondete.

Non sapete quale gioia mi dà trovare qui i vostri commenti, punti di vista, critiche o lodi.

Insomma, questa finestra mi è necessaria così come lo è camminare, telefonare a un’amica, leggere. Perchè mi fa guardare fuori e scoprire che ancora ci siete, in mezzo a tutto un crepitio di foglie cadute che da sempre mi ammalia e mi ispira. Foglie che non vedo mai morte bensì portatrici di poesia, sotto un cielo che può essere traparente anche d’inverno.

Vi saluto con le bellissime parole di Fabrizio Caramagna:

“Anche quando sembra non fare nulla e non c’è nessun umano al suo davanzale, la finestra è molto occupata. Suddivide l’aria in geometrie invisibili, orienta i passaggi delle nuvole, calcola le radici quadrate delle stelle, ascolta la voce del vento. C’è solo un punto della notte in cui dorme anche lei, e chissà cosa sogna: forse gli angeli o il mare (ma le finestre di città hanno mai visto il mare?) o il cielo trasparente e infinito da cui proviene”.

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Sognando di te, Amica lontana

Gustava Klimt, L'abbraccioIl silenzio accompagna quell’inevitabile lasciarsi andare notturno, quando solo il latrato di un cane lontano o una tortora insonne danno segni di vita.

Il pianeta è soltanto marciapiede sotto casa, lembo di cielo, palazzi del quartiere, e far parte di una piccola porzione di qualcosa, rende l’esterno rassicurante, e l’interno piacevole culla.

Il cuscino accarezza, le palpebre calano come minuscole saracinesche, lasciando tende e mobilio fuori dalla porta del sogno. Ed è là che d’improvviso ti incontro, amica lontana ma al cuore vicina. Nel silenzio di quel niente confuso, allarghi le braccia nella mia direzione, invitandomi a far parte di te. Nessuna parola, non un suono né ambiente o circostanze: nel sogno tu che mi accogli, io che raccolgo l’invito. Mi avvicino quel tanto che basta a lasciarmi abbracciare, mi avvolgi di te ed è in te che scopro anfratti e piccole valli in cui inserirmi: l’incavo del collo, la tua mascella e il volto tutto, braccia e busto… mi ci adagio pensando alla meraviglia di due tasselli di un puzzle che finalmente si uniscono senza forzare la congiunzione… Lo stesso colore, la forma adatta dell’uno che l’altro accoglie, l’unione che risolve.

Io e te, senza porci domande, senza spiegazioni da dare, telefonate non fatte, parole non dette, compleanni o Natali da passare lontane. Io e te in un abbraccio che ricorda un quadro di Klimt, composto di fiori e calore…

Nell’abbraccio – ciò che è stato spigolo, linea interrotta, groviglio – diventa di nuovo, come per miracolo, cerchio perfetto… (*)

Il mattino mi coglie impreparata a lasciare la tua stretta e la nostra antica perfezione, e già so che l’incanto si è dissolto nella giornata che avanza. Non ti chiamo per dirti di noi, e mi illudo che tu quel noi sia capace di sentirlo a distanza così come me, oltre il mare che ci separa, e i voli di uccelli migratori, e nuvole e cielo.

Nel tuo abbraccio lontano io ti sento vicina, ed è là che sta ogni mio momento difficile, ogni risata gioiosa, ogni amara riflessione da condividere con un’amica, ogni ricordo comune, progetto futuro, nostalgia del passato o soddisfazione del presente.

È alto, il sole, frenetiche le ore, il pensiero già altrove, i pezzi del nostro puzzle fra le lenzuola di un letto sfatto.

Buona giornata, Amica mia.

(*) Fabrizio Caramagna

Foto | Gustav Klimt [Public domain or Public domain], via Wikimedia Commons

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Il primo ricordo impresso nella memoria

Il primo ricordo impresso nella memoria

Il primo ricordo impresso nella memoria, è di me seduta sul pavimento di una stanza vuota; né mobili, né scatole, né sedie. I perché, i come e i quando, mi sono giunti dopo, negli anni, quando ho chiesto spiegazioni a queste immagini senza parole ancorate alla mia infanzia: il trasloco è già stato fatto, mia madre guarda fuori dalla finestra dandomi le spalle, in attesa di scorgere la proprietaria di casa che venga a riprendersi le chiavi.

La luce, in questo fotogramma, ha un che di estivo, ma non potrei giurarlo.

C’è un quadro, solo un quadro, per terra accanto a me. Io lo rammento di grosse dimensioni, ma di certo perché sono io quella piccola, e ciò modifica la realtà degli oggetti. Lo tocco, lo guardo, è un ritratto, forse una Madonna ma non potrei giurarlo. Non so perché verrà lasciato là al suo destino, nessuno me lo ha mai saputo spiegare, però sono sicura che non ci ha mai seguiti nella nuova casa, quella che mi ha vista crescere.
Anche gli oggetti, muoiono…

Credo di essere nata quel giorno, sebbene oggi io sappia che avevo appena compiuto due anni. Non sei al mondo se niente puoi imprimere nella memoria; non esisti se non hai traccia di te, di chi eri, di cosa provavi. O di cosa hai fatto.

Galleggi in un limbo fatto di necessità elementari: nutrirsi, dormire, ripararsi dal caldo o dal freddo. Neppure hai idea di chi sarai, seppur esistendo.

Riflettendo su questo mio primo ricordo e sui due anni dei quali niente mi è rimasto, mi domando che cosa si provi a perdere la memoria. È come un ricominciare? È avere una nuova possibilità, un rinascere, o è soltanto terribile mutilazione? È vivere più vite, o è afflizione perché troppo si è perduto?

Se dovessi resettare la mia, di memoria, con la possibilità di selezionare che cosa salvare e cosa no, eliminerei alcune scelte che non hanno portato a niente, ma non tutte perché le ritengo necessarie: gli errori di valutazione spianano il terreno, insegnano a vivere.

Il resto, lo lascerei intatto. Anche il dolore per le perdite subìte, affetti che non vedrò invecchiare ma che tanto mi hanno donato. Se cancellassi la terribile sofferenza che ogni mutilazione infligge, non ricorderei l’amore provato né quello ricevuto, dunque che niente di ciò sia modificato, in quel vecchio edificio in parte trascurato che è la mia memoria. All’apparenza fatiscente, è ricco di storie, abitato da fantasmi, accarezzato dai venti del tempo.

“La memoria umana è veramente qualcosa di strano. Sfioro un braccio e trovo la voce di un’altra persona. Tocco dei volti e i loro occhi si allontanano. Scopro un cielo azzurro e tutte le forme intorno si nascondono. Attraverso un ponte e non c’è nessun fiume sotto. Come sono inafferrabili taluni ricordi nel loro essere appesi a niente, forme in continuo movimento che restituiscono il niente in un niente più grande.” (Fabrizio Caramagna)

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