Susanna Trossero

scrittrice

Il primo giorno e l’ultimo

C’è un primo giorno, quello dell’incontro, della storia che nasce, della porta che si chiude alle sue spalle e di quella che si spalanca regalandogli un futuro insperato.

E c’è l’ultimo, quello dell’addio mentre lo accarezziamo facendogli sentire che non è solo, della malattia che se lo prende così come accade alle persone.

Nel mezzo, tra quel primo giorno emozionante e l’ultimo fatto di lacrime, una nuova realtà aveva preso piede: mescolando impegno e amore, aveva costruito qualcosa di solido fatto di piccoli dettagli se presi singolarmente, ma che nell’insieme hanno dato vita al nostro per sempre. Il rumore delle tue unghie sul pavimento, la tua adorazione per i centri commerciali, quel titubante vagare per casa con la copertina sulle spalle come un’anziana signora, l’imbarazzo nell’indossare l’impermeabile quando pioveva, il respiro regolare del sonno, gli sbadigli rumorosi, le improvvise gioie, il peso del tuo testone addosso, la tua paura del calzascarpe, quel brontolare se stavo troppo al pc, la curiosità buffissima per i cartoni animati…

Nel mezzo. Tra il primo giorno e l’ultimo.

Là c’erano tante di quelle piccole magie ed emozioni che ora la casa ci appare come un pozzo nero, senza fondo né luce. Tu sei stato il nostro Natale, persino un libro lo racconta rendendoti immortale fino a quando ancora qualcuno lo leggerà.

La casa è ancora piena di te e del tuo vivere anche in tua assenza, morire non era contemplato nel nostro quotidiano insieme. Avremmo voluto vederti invecchiare ma la sorte non ci ha concesso questo grande dono, Amico mio.

E chissà se hai davvero capito, fino in fondo e senza alcun dubbio – dopo un passato di abbandono e tristezza – quanto ti abbiamo amato. Noi, il tuo amore, ce lo porteremo sempre nel cuore.

Grazie Capoccione.

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Sono uno di quelli che aspettano

Chi comincia ad amare, deve essere pronto a soffrire“. (Antoine Gombaud)

Io sono uno di quelli che restano, che aspettano con pazienza in una forma di lotta silenziosa e arresa, che fingono di non vedere pur di lasciare le cose come stanno. Continuo a mostrare accoglienza perché tu ti senta così male, così in colpa, da smettere.

Ti amo, ti conosco, vivo con te ogni piccola stupida cosa: era ovvio che avrei vissuto con te anche la luce nuova che ti porti dietro e che con me non c’entra niente.

Non voglio sapere chi è, non voglio sapere perché o quando, non sopporterei di immaginarti fino in fondo.

Così invece posso fingere che sia solo un dubbio, un pensiero astratto o malfidato, e andare avanti nell’attesa che tutto torni come prima.

Te l’ho detto: io sono uno di quelli che aspettano. Un senza palle, per chi mi leggerà ridendo della mia debolezza, ma non si ride del dolore perché tocca a tutti prima o poi, e non potete sapere come vi ridurrà prima che accada.

A volte, a non affrontare, tutto si risistema. Ma le parole sfuggite, le confessioni o ammissioni, quelle restano per sempre cambiando le cose. Sono le parole a rompere gli equilibri, e sono quelle non dette a preservarli.

Posso fare a meno della tua sincerità e so che il mio non domandare, facilita il tuo silenzio. Anche questo si chiama equilibrio.

Un giorno tornerai a casa più spenta di quando eri uscita. Delusa da lui, forse tradita dalla falsa magia con cui ti aveva avvolta. Era solo un uomo, niente di speciale.

E con lacrime nascoste ti lascerai andare ai miei abbracci pensando che per fortuna non ho capito.

Pierpaolo

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I giorni dell’albero spoglio

I giorni dell'albero spoglio

Ci sono giorni e giorni.

Indipendentemente dalle stagioni, ci sono giorni in cui vedi solo l’albero spoglio, malinconico, che tende i suoi rami nudi e nodosi verso il cielo o verso chi lo guarda. Paiono invocare aiuto, domandare abbracci, quei rami, e tutt’attorno è il colore del silenzio. C’è una sottile magia, la fotografi per fermarla ma questa ti sfugge e la foto diviene soltanto una foto. I giorni dell’albero spoglio, così voglio chiamarli, sono quelli in cui vedi l’uomo per ciò che è, e te ne rammarichi perché comprendi che Fernando Pessoa, nelle sue lucide riflessioni, aveva ragione a dire che…

Il mondo è di chi non sente. La condizione essenziale per essere un uomo pratico è l’assenza di sensibilità. La qualità principale nella vita pratica è quella qualità che porta all’azione, cioè la volontà. Ma ci sono due cose che ostacolano l’azione: la sensibilità e il pensiero analitico, che in fondo non è altro che il pensiero unito alla sensibilità. Ogni azione è, per sua natura, la proiezione della personalità sul mondo esterno e, siccome il mondo esterno è in gran parte composto soprattutto da esseri umani, ne consegue che la proiezione della personalità consista essenzialmente nel mettersi di traverso sulla strada degli altri, nell’ostacolare, ferire e schiacciare gli altri, a seconda del nostro modo di agire. Per agire, quindi, è necessario non immaginarci facilmente le personalità degli altri, i loro dolori, le loro allegrie. Chi prova moti di simpatia, si ferma. L’uomo d’azione considera il mondo esterno composto esclusivamente di materia inerte – o inerte in se stessa – come un sasso su cui passa o che toglie dalla strada; oppure inerte come un essere umano che, non potendogli opporre resistenza, può essere indifferentemente un uomo o un sasso, dato che, come il sasso, o è stato tolto o è stato calpestato.”

I giorni dell’albero spoglio. Quelli in cui vedi le cose come stanno e la primavera è lontana. Nondimeno, per non essere sasso da calpestare, materia inanimata, bensì albero che ha in sé la vita e la forza anche quando è spoglio, devi andare controcorrente. Ed essere quell’uomo che sa quando fermarsi seppur restando uomo d’azione. Si può fare, io ci credo. E so di non essere sola in questo.

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