Susanna Trossero

scrittrice

La trappola della giustizia

Cavalli

Cavalli

L’Epifania ogni festa si porta via: in molti hanno sospirato di sollievo – ognuno per sue personali motivazioni – e altri hanno salutato la befana con dispiacere, mettendo via decorazioni natalizie e lucine colorate.

Non più illuminate a festa, case e strade si mostrano di nuovo senza maquillage, e a volte piacciono meno, apparendo quasi impoverite.

Oggi osservo la via nuda, bagnata da una pioggerellina fitta e sottile che infanga, sporcata dalle ultime foglie cadute e da cartacce che il vento ha trasportato ieri con insolita veemenza. La pioggia mi si mostra nostalgica, mentre il vento spesso mi pare metafora di ingiustizia, non so perché. Strattona, scompone, schiaffeggia, disturba: non si comporta così anche un’ingiustizia? Non è così che si presenta?

E se è vero che l’ingiustizia ci invade puntuale quando meno ce l’aspettiamo, La giustizia è come un treno che è quasi sempre in ritardo. (Evgenij Evtušenko).

Ma qual è il confine tra giusto o sbagliato, se non il concetto che noi abbiamo di entrambe le cose? Ovvero, in base a ciò, quel confine non esiste poiché ogni singolo individuo si costruisce il proprio – in male o in bene – e niente ha a che vedere con quello degli altri.

Facile dunque, “sconfinare”.

Ma che cosa intrappola di più, il senso di giustizia o le ingiustizie che crediamo di subire?

Il dizionario, alla voce “ingiustizia”, così cita: “Violazione del diritto o delle legittime aspirazioni altrui.”

E come si stabilisce, quali aspirazioni altrui siano legittime e quali no? Chi è preposto a giudicarle, si avvale del proprio personale concetto di giustizia?

Mentre affondo nelle attraenti sabbie mobili del pensiero riflessivo, vado nel mondo della letteratura a caccia di altrui pensieri in materia, invitando anche voi a dire la vostra, come sempre, perché come sempre mi affascina il vostro punto di vista.

  • È dimostrato che si può sopravvivere tre giorni senza acqua, due mesi senza cibo e tutta la vita senza giustizia. (Jan Sobotka)
  • Ingiustizia. Un peso che, fra tutti quelli che addossiamo agli altri, o portiamo noi stessi, risulta leggerissimo quando viene dalle nostre mani, e pesantissimo quando ci grava sulle spalle.
    (Ambrose Bierce)
  • Nella parte di questo universo che noi conosciamo c’è grande ingiustizia e spesso il buono soffre e spesso il cattivo prospera e si fa fatica a dire quale delle due realtà sia più irritante.
    (Bertrand Russell)
  • Spesso commette ingiustizia non solo colui che fa qualcosa, ma anche colui che non la fa
    (Marco Aurelio)
  • La legge ingiusta è in sé e per sé una specie di violenza. A maggior ragione lo è il venire arrestati per averla infranta.
    (Gandhi)
  • Gli uomini condannano l’ingiustizia perché temono di poterne essere vittime, non perché aborrano di commetterla.
    (Platone)
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Amici di penna

Avete mai avuto, in gioventù, amici di penna? Io sì. Un ragazzo di Sturno, appassionato di scrittura e interessato al giornalismo, poi un giovane scrittore colombiano che mi aiutava perfezionare il mio spagnolo scolastico, e una dolcissima ragazza del nord Italia che scriveva dei versi bellissimi.

Le care vecchie lettere, la scelta della carta e del colore, la busta chiusa da aprire facendo attenzione a non rovinarla troppo, il francobollo particolare da conservare: tutto, oltre al contenuto della missiva del momento, era prezioso. Anche l’odore perché, suvvia confessiamolo, quelle buste chiuse le abbiamo addirittura annusate, non è vero?

Non vi erano, in questo scambio, le non verità sulla propria persona, sui propri sogni, sul vissuto del quotidiano. Era naturale aprirsi per farsi conoscere, e non era previsto il desiderio d’essere qualcun altro. Non so se questo dipendesse dal fatto che eravamo ragazzi e dunque più “semplici”, se vogliamo, ma così era. E ricordo con simpatia lo scambio immediato di foto per dare un volto e dei connotati all’amicizia nascente. Le ho addirittura conservate, quelle foto e quelle lettere, e ricordo con affetto l’incontro per conoscersi davvero, quando ciò è stato possibile.

Oggi abbiamo fatto passi da gigante, ed eccolo là lo schermo del computer: gli amici di tastiera sono altrettanto spontanei? Si muovono con la stessa naturalezza, adesso e con questi mezzi, o tutto è davvero cambiato? O ancora, più semplicemente, sulla tastiera si muove più spesso un mondo di adulti insoddisfatti e confusi? Vi invito a leggere il divertente resoconto a puntate della personale esperienza di Mirtilla (che in rete cercava invece l’anima gemella), sul blog magazine GraphoMania.

Ironia a parte, ci muoviamo in un universo di anime in cerca di sogni da sognare, e non è detto che la rete sia la bacchetta magica, poiché spesso sono grandi i fraintendimenti. Conosco persone fortunate che in rete hanno trovato l’amore o grandi amicizie, e ne conosco che sono incappate in situazioni enigmatiche o deludenti. Come nella vita vera. E, come nella vita vera, negli scambi una regola essenziale suppongo sia l’essere se stessi, fin dal primo momento: questo dovrebbe essere il vero “motore” che muove i fili di un incontro, di una penna o le dita sulla tastiera. Altrimenti, l’amicizia virtuale rischia di rappresentare l’assenza di una presenza, di uno sguardo, di una  storia, di una voce. Io, in rete, ho trovato parole che lasciano il segno, espressione di pura letteratura di cui abbeverarsi senza averne mai abbastanza. Ma anche equivoci che l’assenza di cui sopra può facilmente creare…

“Platone è mio amico, ma la verità è ancora più mia amica” si è detto tante e tante vite fa; voi che ne pensate? E possibile anche in questo strano nuovo “mondo”?

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Esiste l’anima gemella?

In un vecchio numero della rivista Alter Ego che ieri ho ritrovato tra le mie cose, mi sono imbattuta su un articolo che ho riletto con piacere e che, attraverso l’ottica di antichi miti, tocca il tema dell’Amore.

L’articolo spiega che il nostro concetto di Amore, è influenzato dal mito dell’Androgino narrato nel simposio di Platone.

Secondo questo mito, in origine esistevano degli esseri che erano per metà uomo e per metà donna, con un’unica testa ma con due volti, quattro mani e quattro gambe. Questi esseri si rivelarono ben presto arroganti e privi di umiltà e modestia, così Zeus – per punirli di tali difetti e per aver solo immaginato di poter scalare l’Olimpo – li privò della forza tagliandoli in due metà, una maschile e l’altra femminile.

Da allora, ciascuna metà vaga alla ricerca della metà perduta per ricostruire l’unità, ovvero per ritrovare quella che definiamo la mezza mela.

Tuttavia, secondo la fine della storia, quando finalmente le due metà si ritrovano, si riconoscono e quindi si riuniscono, sono destinate a morire di fame per il desiderio di fondersi l’una con l’altra.

L’articolo si conclude esortandoci a mantenere sempre la nostra individualità anche in coppia, e a spingere l’altra metà a fare altrettanto, perché nella realtà – e al di là di ogni mito – ognuno di noi dovrebbe considerarsi come un essere completo che, piuttosto che completarsi attraverso un’altra persona, dovrebbe cercare con l’altro la propria realizzazione e la felicità.

Che ne pensate? Certo è che se l’uno non fosse per l’altro un elemento fondamentale per raggiungere la felicità e l’autostima (mi amo perché un altro mi ama), tutto funzionerebbe meglio. L’individuo appagato da se stesso, ovvero colui che si apprezza ed è conscio del suo valore, indulgente con i propri difetti, e rispettoso dei suoi spazi e di quelli altrui, ha il giusto equilibrio per vivere in coppia e rendere felice chi sta con lui. Ma… noi non vediamo le cose come sono, le vediamo come siamo noi, e dunque siamo influenzati da insicurezze, vulnerabilità, educazione, desideri mai realizzati o delusioni passate… Siamo dunque destinati a morire di fame?

Marcia Grad ha detto che “una persona ne ama un’altra nello stesso modo in cui ama se stessa: con tenerezza e accettazione o con intransigenza e rifiuto”.

Avete voglia di dire la vostra in proposito? Vi aspetto, come sempre

Susanna

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