Susanna Trossero

scrittrice

Cosa siamo diventati, noi “adulti”?

23 aprile scorso, giornata mondiale del libro: utilizzarla per promuovere la lettura – io che leggo tantissimo e che amo scrivere – mi è parsa una buona idea. Mattina di sole, Roma mi sorride finalmente, impossibile stare a casa, no? Così, armata delle migliori intenzioni, decido di portare in giro qualche copia dei miei libri e di regalarne ai passanti con un sorriso e un “felice giornata del libro”. Un gesto gentile, simbolico, in una ricorrenza come questa.

Ed ecco che il tutto si trasforma in una indagine sociologica che mi ha lasciata a dir poco perplessa, e che vorrei condividere con voi.

 All’uscita di una metropolitana frequentatissima, io cammino per recarmi a un appuntamento e nel frattempo comincio la distribuzione a caso, tuttavia prediligendo chi – in mano – un libro lo ha già, perlomeno per avere la certezza di scegliere amanti della lettura.

Ebbene, i giovanissimi esultano felici, ringraziano e si aprono in sorrisi cordiali, facendo gruppo per sfogliare subito l’inaspettato regalo.

Gli “adulti”… Che è successo, agli adulti? Sì, noi adulti, e metto anche me nel mucchio perché non sono esattamente una ragazzina: che cosa siamo diventati?

Non appena porgevo loro il libro e sorridendo dicevo: “Un piccolo regalo per lei, felice giornata del libro”, istintivamente tutti  indietreggiavano di un passo, quasi a volersi difendere, e poi con espressione torva in volto dicevano cose come “No guardi, non è proprio il momento” oppure “No, non posso, mi dispiace” e ancora “No, lasci stare, non ho tempo” e poi il consueto “No, non mi serve niente”. Se notate, tutti esordivano con un no. No a un pensiero gentile, no a un regalo, no ad un gesto carino e simbolico. Io dicevo “non importa” e proseguivo rasserenandoli così sulle mie non malvagie intenzioni.

Tuttavia, a quel punto, ho continuato a fermare persone mature non tanto per masochismo quanto per comprendere se si trattava di casi isolati, o se mi trovavo davanti al comportamento abituale di coloro che gli “anta” li hanno superati.

Provate un po’ a indovinare? Nessuno ha accettato l’omaggio.

È questo dunque, diventar grandi? È diffidare sempre e comunque? È non accettare “caramelle” dagli sconosciuti? È non credere più che qualcuno possa compiere un gesto gentile senza chiedere qualcosa in cambio? È perdere totalmente la capacità di godere di una piccola cosa?

Funziona così solo in caotiche e aggressive città, oppure ovunque?

Quante cose vanno perdute, rispetto a quelle guadagnate, crescendo?

Con rammarico per tutti coloro che non sanno più dire grazie, vi lascio alle mie domande sperando che qualcuno abbia voglia di dire la sua. Un abbraccio per niente adulto,

Vostra Susanna

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