Susanna Trossero

scrittrice

Il tempo va, e noi restiamo

Il tempo scorre, si adagia su di noi spalmando albe e tramonti o ci cammina sopra come un treno in corsa senza nessuno che lo guida o aziona il freno.

Lui, il tempo, procede sempre uguale a se stesso ma noi lo percepiamo lento o veloce a seconda di cosa stiamo vivendo o di come. Con chi. Dove.

Un mese intero è passato ad oggi: dal 29 ottobre non sono più figlia ma soltanto Susanna e come ha detto un amico caro, “si prova una libertà destabilizzante e dolorosa, a non esser più figli di qualcuno”. Ed è vero, anche se non trovo le parole per affondare in questa verità e sviscerarla per comprenderla io stessa.

Riordinando i pensieri, mi sono resa conto di non aver richiamato un’amica che appena saputo della mia mutilazione mi ha cercata, ed è stato calore anche se in quel momento non ho risposto. Non potevo, un nodo in gola mi avrebbe impedito di parlare. E ancora mi strangola se decido di comporre il suo numero… Spero mi stia leggendo, adesso, amica mia d’infanzia e presenza discreta nella mia vita.

Ho ripreso in mano ciò che mi sta a cuore e che mi porta altrove a ragionare sulla bellezza delle parole: il corso breve on line sulla trama in narrativa, la correzione di una raccolta di racconti di qualcuno che ha riposto in me tanta fiducia, l’organizzazione di nuove presentazioni del mio “Il male d’amore”, che in realtà soltanto mio non è ma anche e soprattutto dei tanti testimoni che ne fanno parte. E ho sul comodino due libri, uno da rileggere – La nausea di Sartre – e l’altro che mi aspetta da tanto e mi intriga ma per qualche bizzarra ragione non ho letto mai – Il diavolo, di Tolstoj.

Parole sulla carta. Parole che fungono da zattera, da terapia, forse da fuga. Ma sono così belle, le parole scritte, da far trascurare quelle non dette. Il tempo va, e c’è un tempo per tutto. Questo per me è il tempo del silenzio interiore. Qualcuno suggerisce di chiedere aiuto e supporto, altri fanno sapere quanto fanno bene le gocce di non ricordo cosa. Io ho perso molte persone a me care, anche piuttosto giovani. le ho accompagnate fino a che i loro occhi non mi vedevano più. E ho capito, da molto tempo, che il dolore non può essere taciuto né rimandato né evitato ma vissuto, affrontato, lasciato libero di invaderci perché è naturale provarlo, dimostra la nostra umanità intatta, che per fortuna ancora sopravvive. L’ho scritto anche ne Il male d’amore, anche se di altro amore si parlava. E lasciarsi invadere non significa lasciarsi annientare, sono due cose differenti.

Il tunnel, per usare una metafora banale e conosciuta, va attraversato, e alcuni tunnel sono più lunghi e cupi di altri nei quali la luce invece è promessa a chi li percorre.

E scopri che puoi ridere per una considerazione insolente, puoi star bene perché raccogli una cascata di monetine a un’anziana che non riesce più a piegarsi per farlo da sola, puoi provare tenerezza per un bimbetto che maldestro balla ascoltando musica rock, puoi sentirti intellettualmente stimolata da una conversazione con le tue allieve sull’etica. Sei nel tunnel, ci resterai parecchio, ma la luce filtra a dispetto di tutto e ti costringe a vivere il presente. Un presente nuovo, diverso, mancante di tasselli esistenti fin dalla tua nascita e che per questo così… vuoto.

C’è una casa adesso nella quale manca il cuore. Un grembiule da cucina lindo e ripiegato riposa per sempre in un cassetto. Un piccolo orologio da polso produce il suo tic tac come prima, ancora e ancora. Le piante chiedono acqua perché vogliono vivere, su quei centrini fati all’uncinetto. Il bastone treppiede sta in un angolo, abbandonato a se stesso. Ma la luce entra prepotente dalle finestre e mi invade, illumina le foto incorniciate, il mobilio, il divano su cui lei sedeva con me negando di essersi appisolata. E ridevamo, di questo.

Adesso, su quel divano, ci sono solo io e l’eco di quelle risatine è talmente lontano eppure così dolorosamente vicino.

Fa freddo. Ma la luce ancora resta e io cammino senza cadere.

Vorrei… cosa vorrei?

Vorrei ancora poter dire “Andiamo a far la spesa mamma”.

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Vi racconto una storia

Oggi vi racconto una storia… Mettetevi seduti.

Tutto comincia con una inaugurazione e con l’arrivo degli ospiti di una struttura. Siamo nella provincia di Roma, ai giorni nostri. All’interno de “Le Pleiadi”, una casa di riposo gestita da Greg Wilson, vedovo inglese legato per ragioni sentimentali al nostro territorio, non ci si annoierà di sicuro ma i presenti ancora non lo sanno. L’uomo, affiancato da Elisa, psicologa della Casa nonché suo braccio destro e saggia consigliera, è mosso da grande passione e umanità, tutte doti che credetemi gli saranno molto utili nei giorni a venire.

Tra persone che ancora non si conoscono, nel tempo comincerà una interazione molto particolare e non sempre efficace. In fondo, Le Pleiadi è una comunità, e in ogni comunità si avvicendano storie e personalità tra le più disparate, si alternano momenti drammatici o ironici, bizzarri o profondi, perché là dove ancora c’è vita, tutto può succedere. Ad ogni età.

Ognuno di noi porta con sé un ricco bagaglio d’esperienze e di conoscenze che lo rende un universo unico e sorprendente, tra indumenti, vecchie fotografie, piccoli cimeli e farmaci salvavita: storie. Nella casa di riposo si riscoprono valori come l’amicizia, la fratellanza, l’altruismo e l’amore, si superano limiti di tutta un’esistenza, taluni coronano sogni altri reimparano a sognare. E, così come nella vita vera fuori da lì, vi sono anche coloro che invece rispolverano bassezze e comportamenti poco nobili, traducendoli in pensieri e azioni.

E adesso vi domando: può mancare, un giallo, in una comunità? Può mancare il pericolo, l’intrigo di un segreto, qualcuno che trama alle spalle di altri e nasconde un orribile segreto, o un’indole crudele?

Bene, vi ho descritto qualcosa a cui tengo moltissimo, perché rappresenta per me una grande soddisfazione e un motivo di orgoglio: i miei “vecchi” allievi di un lungo corso di scrittura durato tre anni interi tra le mura di una scuola di Ostia, dopo un grande lavoro, un meraviglioso gioco di squadra e tanta fatica per arrivare ad ottenere un risultato il più possibile corretto e scorrevole ma anche intrigante, vi annunciano la nascita del loro romanzo corale “Le Pleiadi”.

Non hanno mai avuto velleità di scrittori legate ad ambizione o volontà di emergere, bensì il desiderio di dare corpo ad una passione scoperta in aula, creando qualcosa di tangibile che li unisse per sempre mentre nasceva una grande amicizia che ad oggi li lega profondamente.

Proprio per ciò che sta dietro il loro lavoro, spero che sarete in molti a leggere il romanzo e a raccontarci le vostre impressioni, premiando la determinazione, che vi assicuro è lodevole! Lo trovate cliccando qui e lo pubblicizzo con tutto l’affetto di cui sono capace ma anche da insegnante di scrittura, riconoscendone il valore, e non ultimo da lettrice: mi ha commossa, divertita, coinvolta.

Ne “Le Pleiadi” infatti ci si commuove e si ride, si incontra leggerezza e profondità. Non si trova una vicenda buona e poco credibile; a qualunque età, ogni gruppo formatosi in circostanze d’ogni genere è composto da persone differenti che in maniera differente pensano e agiscono, dunque anche in questa piccola comunità avviene di tutto: incontri, scontri, lacrime, sorrisi, piccole grandi follie o stati depressivi, ennesime mutilazioni o doni inaspettati. Nonché un giallo vero e proprio o la presenza di un nemico che rema contro la casa di riposo per mere questioni economiche. Nonostante l’ambientazione, è un libro per tutti.

I cinque autori hanno creato lo pseudonimo di Susanna Dempe. Il cognome riporta la lettera iniziale di ciascun nome (Damiano, Elda, Marina, Patrizia, Emanuela), e Susanna è il nome della loro insegnante di scrittura narrativa, ovvero il mio.

Ne sono onorata, e non ho parole per spiegarvi quanto!

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L’anziano brontolone

Si legge cercando sempre qualcosa: un momento di leggerezza, una grande emozione, distrazione, profondità, compagnia, divertimento o struggimento… Le motivazioni sono infinite e pochi giorni fa ne ho ricevute più di 100 sul gruppo fb “Un libro tira l’altro – ovvero il passaparola dei libri”, Ve ne erano davvero di bellissime, anche originali, e mi rendo conto che davanti a ogni libro che ci apprestiamo a conoscere, le risposte sul perché leggere cambiano.

Mi piacciono i libri che attanagliano lo stomaco, quelli che insinuano malinconia, quelli che provocano buchi neri, che scavano nel passato, quelli che sorprendono. Insomma, spazio dai thriller ai classici a seconda dell’umore o del desiderio del momento, e dunque anche la mia motivazione cambia repentinamente.

Ho appena terminato Un calcio in bocca fa miracoli di Marco Presta (Einaudi) e la sua scrittura mi ha folgorata! Apprezzo sempre tantissimo l’ironia intelligente, e quel tocco che fonde divertimento e profondità con una tale naturalezza da lasciarmi quasi invidiosa!

Ho apprezzato Marco Presta come autore della trasmissione radiofonica “Il ruggito del coniglio”, ma non lo conoscevo come scrittore e sono contenta di averlo scoperto attraverso la sua prima pubblicazione, così andrò a caccia delle altre con ordine!

In Un calcio in bocca fa miracoli, il suo protagonista scorbutico e irriverente, ha una intelligenza e lucidità non così rare negli anziani ma raro è chi le nota, troppo impegnato a credere che i “vecchi” non hanno più niente da dire. E, al di là di frasi divertenti, ciniche, buffe o inaspettate, ho trovato e riflessioni che vien voglia di copiare, di rubare…

“L’amore è un materiale deteriorabile, se non lo conservi attenendoti a certe regole poi devi buttare via tutto.“

E parole illuminanti…

“Mi sembra che la vita consista nell’abituarsi alle cose che detestiamo, più che nell’inseguire quelle che ci piacciono.“

Insomma, carissimo Marco Presta, non vedo l’ora di cibarmi di tutta la tua produzione letteraria e nel frattempo ti ringrazio per aver allietato la mia settimana e per avermi dimostrato che si può aver voglia di abbracciare anche un vecchio antipatico e brontolone (si può ancora dire vecchio?) perché sotto quella scorza c’è anche dell’altro, molto altro, come – spero – in tutti noi.

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Quante facce ha, l’estate

Quante facce ha l'estate?

Ultimi giorni d’agosto, e sebbene l’estate sia ancora tra noi questa data significa molto un po’ per tutti… Le ferie sono finite, il lavoro riprende, i progetti rimandati a dopo le vacanze ci invadono la mente con la pretesa d’essere concretizzati (“non hai più scuse”, incalzano), le finestre di scuole e università stanno per spalancarsi sulla via.

Accade ogni anno, niente di nuovo.

Tante cose sono successe, in bene e in male, sotto un sole prepotente. Il terremoto del centro Italia ha inghiottito la vita e il quotidiano di paesi e famiglie, lasciandoci attoniti davanti alle immagini della televisione. E quando i numeri sono diventati storie, è stato ancora peggio.
La solidarietà è ciò su cui ci si dovrebbe soffermare adesso, quella concreta che ha molto da insegnare a tutti noi e che mi ha commossa, mentre sui social network si polemizzava contro chi si è preoccupato di salvare non solo la gente ma anche gli animali sepolti sotto le macerie. Chi ha mosso le sue rimostranze, non ha sentito di quante persone sono state ritrovate sepolte dalla loro stessa casa mentre tenevano abbracciato il loro cane o gatto, nel disperato tentativo di salvarlo. Non ha ascoltato le parole di chi supplicava “cercate il mio cane, vi prego” o di chi piangeva tenendo abbracciato un gatto perché solo lui gli era rimasto.

Non so perché in molti abbiano pensato che chi si preoccupava di un animale non si stava preoccupando degli uomini, sappiamo tutti che non è così e dobbiamo soltanto ringraziare chi si è prodigato riuscendo a salvare tante vite.

L’estate calerà il sipario anche su questo, più silenziosa e discreta degli uomini.

Un’estate senza pioggia per buona parte del nostro paese, cosa che davanti alla mia finestra ha mostrato foglie morte in largo anticipo.

Un’estate in cui persone a me care hanno intrapreso la loro personale battaglia per riacquistare la salute, con la forza e il coraggio necessari a vincerla in attesa di una stagione migliore.

Un’estate di incontri avvenuti senza che io dovessi viaggiare, perché l’Argentina ha fatto capolino alla mia porta regalando aria di luoghi lontani e una lingua che adoro.

Un’estate in cui il libro Il pane carasau ha dimostrato a noi autrici (Antonella Serrenti ed io) che ci sono libri che proseguono il viaggio anche a distanza di qualche anno dalla data di pubblicazione: ospitato da uno stabilimento balneare in Sardegna (il Penelope Beach di Giancarlo Melargo) ha catturato i turisti ed ora ha uno spazio nelle loro librerie.

Un’estate di code ai caselli autostradali o affollamento agli aeroporti per tanti, e per altrettanti un agosto di “vacanze sì – vacanze no” dovuto al timore degli attentati o per la crisi economica che ancora miete le sue vittime.

Un’estate che ha accompagnato il mio scrivere appollaiata sul divano di casa, con il condizionatore acceso e una scorta di gelati nel frigorifero. Perché a volte si può forse dire “per le vacanze c’è sempre tempo”, in nome di qualcosa che ci preme di concludere.

Ma è anche un’estate che mi ha condotta in uno dei tanti ospedali a lunga degenza a trovare una persona anziana, luogo dal quale sono entrata sana e uscita con un grande malessere in corpo per quanti stavano là, da soli, imboccati dal personale di turno all’ora dei pasti.

Lamenti, solitudine, due infermieri per ogni quarantacinque pazienti, i parenti in vacanza e uno stato fisico degenerativo che parla di conclusione, di cerchio che si chiude.

Quante e quali facce ha, l’estate?

Quale autunno ci aspetta invece, è un’altra storia… C’è ancora un po’ di tempo, per scriverla insieme.

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Che l’estate vi sia amica

estate

Lo so, vi state lamentando per il caldo, “quando è troppo è troppo” dite. Ma ci sono molti modi per accoglierlo e l’ultimo che vi consiglio è… lamentandovi. Arriverà la pioggia, rabbrividirete dentro i vostri cappotti, il buio stenderà il suo manto all’ora della merenda, le passeggiate dovranno essere accompagnate da ombrelli e sciarpe e vi domanderete: “ma quando arriva l’estate?”

E allora godetevela adesso no? Al mare, se vi piace, magari con un buon libro, o in montagna a ritemprare mente e spirito con lunghe passeggiate… I più fortunati andranno lontano lontano, a scoprire paesi da cartolina o città all’altro capo del mondo, altri lavoreranno ancor di più, e altri ancora saranno costretti da circostanze sfavorevoli a stare a casa. Ma ci sono anche quelli che a casa ci vogliono restare, per godere della città vuota, di un dolce far niente, di qualche gelato in più, film e buone letture in agognata solitudine o in dolce e intrigante compagnia. Voi che sceglierete questa soluzione, non dimenticate vi prego che qualcuno, nel vostro condominio, è anziano e solo. Portategli un gelato, o bussate alla sua porta per sapere se ha bisogno di qualcosa, ve ne sarà grato! E mettete una ciotola d’acqua per i mici, mi raccomando, o per i cani randagi! Piccole cose che faranno Grandi voi.

Che l’estate vi sia amica, ovunque siate.

Susanna

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