Susanna Trossero

scrittrice

Un ponte che unisce

Giugno, il mese che preferisco, quello del mio compleanno, quando l’estate si affaccia all’improvviso e ha fretta di scalzare la primavera, le giornate si fanno lunghe lunghe lunghe e i giubbotti finiscono nei ripiani alti dell’armadio. Il profumo dei gelsomini mi avvolge e mentre tanti sui social cominciano già a lamentarsi del caldo io ne gioisco, con la mia indole da lucertola.

I social…

A volte continuo a stupirmi per l’uso che ne viene fatto, per quel manifestarsi di mancanza di empatia, per la piega che prendono certi commenti… Nel 2024 leggo tante assurdità che spesso sembrano andare in crescendo e mi lasciano attonita. Mi si dice “Ancora non ti sei abituata? Ancora ti sorprendi?” e io nutro la speranza che resteremo in tanti a continuare a sorprenderci e ad avere reazioni, perché sarà questo a salvarci davvero.

Perdonate l’esternazione, preferisco non perdere tempo a spiegarvi per esteso la ragione delle mie parole, darei spazio a qualcosa che spazio non merita.

Invece vorrei dirvi che quando finisce un corso di scrittura, i lunedì paiono svuotarsi. Il piccolo gruppo tutto al femminile che ha condiviso con me ben 30 ore mi ha lasciato qualcosa di importante che va oltre le parole che insieme abbiamo scritto e fatto funzionare.

Ecco, per intenderci, un corso di scrittura non è semplicemente l’incontro
tra chi spiega tecniche e regole e chi le impara, non per me, non è solo
questo che desidero.
Nella scrittura affiora ciò che siamo o siamo stati, ciò che vorremmo essere
o evitare.
Se ci si lascia andare a questa sorta di magia a volte scomoda ma più
spesso fonte di benessere, ci si ritaglia un luogo in cui ricominciare a
vivere con i 5 sensi che là finalmente trovano spazio e voce, di solito
boicottati da incombenze, fretta, quotidiano, circostanze.
Quando accade, ci si apre agli altri e i lunedì di un corso di scrittura ci
fanno ricchi.
Di questa ricchezza ricevuta, voglio ringraziare le allieve del Corso di Scrittura
2024 ma anche gli allievi degli anni precedenti, i quali mi hanno dimostrato con affetto che non ci si perde se davvero lo si desidera, e che quel ponte ostinato di cui altri hanno scritto, che unisce lettori e scrittori, esiste, è reale, attende di essere attraversato e di creare legami.

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Il libro, magia che continua a sorprendermi

Il libro, magia che continua a sorprendermi

Incappare in brani che lasciano il segno, che ci si incollano addosso, che spingono alla riflessione… Capita ogni giorno, a chi si abbevera di parole, di libri, mai sazio ed eternamente alla ricerca di qualcosa che completi.

Oggi mi è capitato con Anna sta mentendo di Federico Baccomo.

“il linguaggio come chiave emozionale. La funzione terapeutica delle storie. Gli effetti di sviluppo empatico offerti dalla lettura”

Un romanzo che parla di romanzi, una lettura che osanna la lettura…

“Lo sai che l’esperienza che facciamo della realtà e l’esperienza che facciamo di un libro si fondano sullo stesso impianto di ricezione, sugli stessi circuiti neurali? Perdonami se semplifico un po’, ma il punto è: trovarsi di fronte a qualcuno che piange nella realtà o a un personaggio letterario che lo fa sulla pagina, nella nostra testa non fa poi così differenza”.

In fondo è vero, accade anche con stati d’animo che provocano in noi empatia, o con descrizioni crude, disgustose…

“Sappiamo bene che è una fantasia, non è niente di reale, eppure attiva nel cervello le stesse aree del disgusto accese dalla realtà. Nessuna differenza. Abbiamo un solo sistema di elaborazione e di quello dobbiamo accontentarci”.

Affascinante. La forza dell’immedesimazione è una magia che continua a sorprendermi, e che mi trascina dentro storie e situazioni inesistenti, certo, eppure così reali! Qualcuno ha detto che leggendo vedi un mondo più grande di quello in cui sei nato, ma non basta. Io è leggendo che approfondisco situazioni e possibilità che vivendo non avrei neppure sfiorato!
Il libro, così prosegue:

“”Ti è mai venuta la pelle d’oca leggendo? Ti sei mai trovato a stringere i pugni di fronte al cattivo di turno? A piangere di fronte all’abbraccio di due personeggi che si erano perduti? Ti è mai capitato di eccitarti davanti a una scena di passione? Di sentire un odore dolce nelle narici solo leggendo la descrizione di una torta?”

Vi sfido a dire di no… Profumi, toni di voce, il caldo torrido dell’estate mentre a casa vostra è inverno, la gelida neve sotto i piedi mentre state leggendo in spiaggia… Far parte di qualcosa che non è reale ma che della realtà possiede la forza!

“Davanti ai tuoi occhi non ci sono crostate, non ci sono corpi nudi, solo parole. Minuscoli segnetti neri su una pagina. Vere e proprie macchie. Capaci però di suscitare reazioni fisiologiche e risonanze emozionali con un’intensità e una violenza che spesso non hanno nulla da invidiare alla potenza della realtà”.

Possibile mai che siano così tante le persone che non leggono? Possibile che non sappiano quale scrigno stracolmo di tesori sia un libro?

Una passione che non scema, che non si affievolisce, che continua ad attrarmi, a completarmi e a trascinarmi con sè in quel mondo parallelo fatto di macchioline, è vero, minuscoli segnetti neri che però mi fanno sentire e conoscere tutto ciò che non basterebbe una vita – seppure lunga – a presentarmi.

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Analogie

Analogie - Susanna Trossero

Analogia. “È  il rapporto che la mente coglie fra due o più cose che hanno nella loro costituzione, nel loro comportamento o nei loro processi qualche tratto comune”, cita Wikipedia.

Parlavo, pochi giorni fa in classe, proprio delle analogie sulle quali lavorare per immedesimarsi ancor di più nei nostri scritti. Raccontare soltanto ciò che si conosce, è apparentemente limitante, eppure in realtà noi conosciamo qualunque cosa, sebbene non ne siamo consapevoli.

Bisogna realmente essere degli assassini, per immedesimarsi in un personaggio che uccide? No, per fortuna! Eppure possiamo delinearne perfettamente la psicologia, se andiamo a ricercare in noi tutte quelle volte che abbiamo faticato, lottato, combattuto, per ottenere qualcosa o perché qualcosa di sgradevole cessasse di trascinarci altrove.

In nome del nostro benessere mentale o economico o ancora lavorativo, un giorno abbiamo modificato la nostra condizione: amici che ci fanno star male, un rapporto importante che non funziona provocando infelicità, un lavoro che ci rende insoddisfatti, un semplice conoscente che ci leva il respiro con la sua invadenza e così via.

Qualcuno di voi può dire con assoluta sincerità di non essersi mai trovato in una situazione di disagio simile o… analogo?

Gli strumenti utilizzati per venirne fuori? Carattere, coraggio, stanchezza, rabbia, determinazione… Ve ne sono tanti e rappresentano il martello demolitore di muri che opprimono e contro i quali siamo stanchi di cozzare. Ebbene, questi stati d’animo possono essere elaborati da chi scrive, esasperati nel ricordo, trasformati negli stessi che spingono a uccidere, che armano la mano di un assassino il quale agisce seguendo il bisogno di cambiare le cose. Analogie.

Non significa accettare l’omicidio come mezzo, bensì caratterizzare le azioni e la psicologia di qualcuno che invece lo considera tale, rendendo il tutto credibile.

Analogie, l’ho detto, e il nostro passato ne è pieno.

Non è importante dunque l’aver vissuto ciò che si racconta, ma lo è cercare in noi uno stato d’animo analogo e ingigantirlo, estremizzarlo per rivestirlo di altri connotati.

Vale per qualunque situazione, incomprensione, desiderio, necessità, delusione, difficoltà o meta da raggiungere, credetemi. E anche nella vita di ogni giorno, ci si può esercitare ad avvicinarci a ciò che non ci appartiene, che non comprendiamo, che va al di fuori della nostra portata o contro la nostra natura.

Empatia. Immedesimazione. Sospensione del giudizio. Apertura mentale. E… nessuna censura.

Se non siete in grado di sviluppare tutto questo, scrivere non vi appartiene.

O, forse, non ancora.

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L’arte della comunicazione

L'arte della comunicazione

Molte delle persone che incontro o che ho incontrato nel passato, hanno lamentato un senso di oppressione dato dalle invisibili sbarre del quotidiano, unito a vuoti lasciati dalla solitudine, dalle incomprensioni, dall’incomunicabilità. Ma… e se la vera prigione fosse la nostra mente chiusa che si oppone all’esterno?

Forse non siamo preparati sufficientemente all’arte della comunicazione, all’uso corretto delle parole, dei silenzi, degli sguardi o dei sorrisi, né siamo così aperti da guardare in faccia i nostri limiti, i nostri “difetti”. Ne siamo spaventati, e allora meglio osservare e giudicare i limiti altrui…

Ma se soltanto ognuno di noi fosse in grado di facilitare la comunicazione dell’altro, quanto sarebbe più naturale “ascoltare”, “sentire” e soprattutto comprendere, riconoscersi negli altri, condividere autentiche fragilità piuttosto che mostrare forza e determinazioni fasulle.

Le parole sono tutto ciò che abbiamo, ha detto qualcuno, eppure quanto poco e male le usiamo. E dov’è finita l’empatia? Quell’ascoltare un altro con limpidezza, con attenzione autentica, facendo il vuoto dentro per lasciargli spazio e sforzandosi di immedesimarsi in lui, nei suoi bisogni, nei suoi disagi, senza valutarli né giudicarli.

Quanta fatica, questo nostro camminare tra gli altri, quanto possono diventare nodosi ciocchi di legno, le nostre gambe, quando affondiamo nel timore di non essere più in grado di distinguere i convenevoli dall’autenticità. Impervie salite, discese improvvise nelle quali precipitare, e scale, scalinate di pietra, di marmo, dapprima comode poi ripide, malferme o disastrate, dove temere di cadere, di perdere l’equilibrio, dove muoversi incerti, insicuri, timorosi.

Tuttavia il gioco vale la candela, perché è negli altri che ci completiamo, in ogni incontro, in una amicizia, nell’amore, in uno scambio. E che importa se in passato siamo stati delusi, negli incontri, nelle amicizie, nell’amore o in uno scambio. La memoria non può non essere bagnata di lacrime, ne è un grande contenitore, ma il presente necessità di contatti umani sempre e comunque: conoscete qualcuno che si senta felice e non avverta in questa felicità l’esigenza di condividerla? E ancora: conoscete conoscete qualcuno che si senta felice e non avverta in questa felicità l’esigenza di condividerla?

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