Susanna Trossero

scrittrice

E le briciole?

Lo sapevate? Sembra che in Italia si sprechino circa 35 chilogrammi di cibo a persona in un anno, cibo che puntualmente finisce nella spazzatura!

Eppure, dai grandi cuochi alle mamme di una volta, ci si sente dire “Non sprecate il cibo”.

Sì, gli chef, che imparano l’arte di utilizzare gli avanzi molto presto, e sanno farlo con tale maestria che mai penseremmo di gustare “avanzi”, se seguissimo le loro indicazioni.

Inoltre, esistono associazioni che si muovono per aiutare chi non ha nulla, combattendo attivamente gli sprechi alimentari. Avete mai visitato il sito Banco Alimentare? Restituiscono valore al cibo ancora utilizzabile, rendendo felici tante persone!

E LastMinuteSottoCasa? Si tratta della più grande community digitale antispreco, che in tutta Italia unisce i commercianti (i quali evitano di buttar via la merce in scadenza o avanzata a fine giornata) alla gente che spera di risparmiare qualcosa, viste le difficoltà attuali. Ovviamente, si penserà anche ai più bisognosi, ovvero a coloro che non hanno neppure la possibilità di usufruire di merce scontatissima. Nessuno escluso, per questa efficace organizzazione alla quale tutti dovremmo appartenere.

E, tornando alle mamme di un tempo, che ho citato all’inizio di questo post, erano davvero brave ad utilizzare gli avanzi e a far sì che niente andasse sprecato. La mia, con le teste di gamberi riesce a metter su un sughetto incredibilmente buono. E con verdure avanzate e pane quasi raffermo, riesce a fare delle bruschette incredibili! Frulla le verdure con un uovo sodo, ci aggiunge un pizzico di pepe e poi le spalma sul pane. Per non parlare delle frittate!

Nel nostro libro «Il pane carasau. Storia e ricette di un’antica tradizione isolana», la testimonianza di un’anziana signora dell’entroterra sardo dimostra quanto anche le briciole fossero preziose alleate in cucina!

“Buttare le briciole? Ma scherziamo? Dapprima si mettevano le verdure a cucinare, quelle che al momento la terra offriva: cardi o finocchi selvatici, fave, bietole, cicoria. Poi, a cottura ultimata, un attimo prima di spegnere il fuoco sotto la pentola, si aggiungeva il pane carasau sbriciolato, a sostituire la pasta. Ed ecco una semplice, dietetica e sana minestra!”

Tante altre sono le testimonianze raccolte, che ancora oggi possono educarci al rispetto per il cibo, e ringraziamo i lettori che ci stanno apprezzando da tanto tempo, nonché tutti coloro che stanno accogliendo la nuova edizione del nostro libro edito dalla Graphe.it, come il settimanale Mio, il mensile Eva Cucina o il sito lucianaincucina.it, dove “arte e cucina si fondono con armonia”.

E se deciderete di sperimentare le nostre ricette, mi raccomando: non buttate via nulla!

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I nonni e il pane carasau

È sempre emozionante, scoprire che una tua pubblicazione ha incontrato il consenso dei lettori, ed è proprio grazie a questo consenso e alle recensioni positive che il viaggio continua!

“Il pane carasau – storia e ricette di un’antica tradizione isolana”, edito dalla Graphe.it e scritto a quattro mani da Antonella Serrenti e da me, è giunto a una nuova edizione: nuova veste grafica, integrazioni di testimonianze affascinanti, ricette e… Una escursione in un campo che ci riguarda tutti, la longevità. In questo caso si parla di quella dei sardi dell’entroterra, oggetto di studio e di una conclusione: l’alimentazione semplice e genuina come stile di vita.

Le ricette contenute in questo libro, per buona parte altro non sono che lo specchio di questa cultura culinaria, e non sono poi così difficili da attuare, anzi!

In fondo, il nostro piccolo grande saggio la cui nuova edizione è appena nata, ha sempre portato con sé gli insegnamenti degli anziani, dei nonni e della loro storia, raccontando del pane quale elemento di unione, condivisione, addirittura educazione e ovviamente cultura.

Ma non solo il pane, ha tanto da raccontare. Le mense di un tempo sono ricchezza e salute, energia e bellezza, e questo gli anziani lo sanno bene. C’è chi ha deciso di cibarsi della loro sapienza e manualità, con progetti che si dovrebbero “imitare”, e uno di questi è affidar loro dei giovani speciali per insegnargli a coltivare la terra, ad amarla, a godere dei suoi frutti. Questo meraviglioso progetto si chiama “Orto felice”, coinvolge i ragazzi con la Sindrome di Down ed è davvero una gioiosa sperimentazione. Per saperne di più vi invito a leggere l’articolo:

Mangiar sano e di conseguenza viver sano, non è facile, ammettiamolo: cattive abitudini, peccati di gola, fretta, grande ditribuzione, pubblicità martellanti, sono tutti cattivi consiglieri.

A me oggi piace l’idea di tirare in ballo il grande chef Cannavacciuolo, che seguo spesso (adoro quando “mena” i ristoratori che non adottano a puntino le sue indicazioni), e che in merito al vivere sano, in una recente intervista alla domanda “chi è stato il tuo più grande maestro?”, ha risposto:

“Mia nonna. Ho sempre avuto con lei un bellissimo rapporto e anche oggi, che non c’è più, la sento presente nella mia vita. Lei era un’ottima cuoca e un importante punto di riferimento, non solo in cucina ma anche dal punto di vista spirituale”.

Io i nonni non li ho più, ma insieme ad Antonella Serrenti mi sono eletta nipote delle tante anziane signore che abbiamo intervistato e perchè no, del pastore che ci ha lasciati poco prima che il nostro saggio sul pane carasau venisse pubblicato!

Ed è a tutti i nonni, che mi sento di dedicare questo libro, insieme a tutti quegli anziani che nonni non lo sono stati mai ma che possono diventarlo anche del vicino di casa, se sarà così gentile da aprirgli la porta e il cuore.

Ogni generazione si rivolta contro i suoi padri e fa amicizia con i suoi nonni. (Lewis Mumford)

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Quante facce ha, l’estate

Quante facce ha l'estate?

Ultimi giorni d’agosto, e sebbene l’estate sia ancora tra noi questa data significa molto un po’ per tutti… Le ferie sono finite, il lavoro riprende, i progetti rimandati a dopo le vacanze ci invadono la mente con la pretesa d’essere concretizzati (“non hai più scuse”, incalzano), le finestre di scuole e università stanno per spalancarsi sulla via.

Accade ogni anno, niente di nuovo.

Tante cose sono successe, in bene e in male, sotto un sole prepotente. Il terremoto del centro Italia ha inghiottito la vita e il quotidiano di paesi e famiglie, lasciandoci attoniti davanti alle immagini della televisione. E quando i numeri sono diventati storie, è stato ancora peggio.
La solidarietà è ciò su cui ci si dovrebbe soffermare adesso, quella concreta che ha molto da insegnare a tutti noi e che mi ha commossa, mentre sui social network si polemizzava contro chi si è preoccupato di salvare non solo la gente ma anche gli animali sepolti sotto le macerie. Chi ha mosso le sue rimostranze, non ha sentito di quante persone sono state ritrovate sepolte dalla loro stessa casa mentre tenevano abbracciato il loro cane o gatto, nel disperato tentativo di salvarlo. Non ha ascoltato le parole di chi supplicava “cercate il mio cane, vi prego” o di chi piangeva tenendo abbracciato un gatto perché solo lui gli era rimasto.

Non so perché in molti abbiano pensato che chi si preoccupava di un animale non si stava preoccupando degli uomini, sappiamo tutti che non è così e dobbiamo soltanto ringraziare chi si è prodigato riuscendo a salvare tante vite.

L’estate calerà il sipario anche su questo, più silenziosa e discreta degli uomini.

Un’estate senza pioggia per buona parte del nostro paese, cosa che davanti alla mia finestra ha mostrato foglie morte in largo anticipo.

Un’estate in cui persone a me care hanno intrapreso la loro personale battaglia per riacquistare la salute, con la forza e il coraggio necessari a vincerla in attesa di una stagione migliore.

Un’estate di incontri avvenuti senza che io dovessi viaggiare, perché l’Argentina ha fatto capolino alla mia porta regalando aria di luoghi lontani e una lingua che adoro.

Un’estate in cui il libro Il pane carasau ha dimostrato a noi autrici (Antonella Serrenti ed io) che ci sono libri che proseguono il viaggio anche a distanza di qualche anno dalla data di pubblicazione: ospitato da uno stabilimento balneare in Sardegna (il Penelope Beach di Giancarlo Melargo) ha catturato i turisti ed ora ha uno spazio nelle loro librerie.

Un’estate di code ai caselli autostradali o affollamento agli aeroporti per tanti, e per altrettanti un agosto di “vacanze sì – vacanze no” dovuto al timore degli attentati o per la crisi economica che ancora miete le sue vittime.

Un’estate che ha accompagnato il mio scrivere appollaiata sul divano di casa, con il condizionatore acceso e una scorta di gelati nel frigorifero. Perché a volte si può forse dire “per le vacanze c’è sempre tempo”, in nome di qualcosa che ci preme di concludere.

Ma è anche un’estate che mi ha condotta in uno dei tanti ospedali a lunga degenza a trovare una persona anziana, luogo dal quale sono entrata sana e uscita con un grande malessere in corpo per quanti stavano là, da soli, imboccati dal personale di turno all’ora dei pasti.

Lamenti, solitudine, due infermieri per ogni quarantacinque pazienti, i parenti in vacanza e uno stato fisico degenerativo che parla di conclusione, di cerchio che si chiude.

Quante e quali facce ha, l’estate?

Quale autunno ci aspetta invece, è un’altra storia… C’è ancora un po’ di tempo, per scriverla insieme.

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Il pane viaggiatore

Fiera del libro di Iglesias 2016

In questo inverno confuso, che ci ha regalato anticipi di primavera e improvvisi cali di temperatura, il nostro libro sul pane carasau ha davvero viaggiato tanto e tanto ha da raccontare. Antonella Serrenti e io siamo rimaste senza parole di fronte al costante interesse dei lettori, nei confronti del pane come alimento primario, simbolico, che diviene addirittura folklore perché ospite d’onore delle ricorrenze, delle giornate da custodire nella memoria, che accompagna momenti di gioia o di espiazione, pane così ben raccontato dai testimoni di questo libro, uomini e donne vissuti in un tempo difficile ma per assurdo più semplice, in cui vigeva una pace costruita con fatica, vissuta e respirata in un quotidiano antico che mai sapremo riprodurre.

L’anziano pastore che ci narra del pane carasau vissuto nei sogni illuminati dai bengala, in un’amistade (amicizia) nata sulla soglia di casa e interrotta bruscamente dal proiettile di una guerra, il pane puro nel sudiciume di una trincea che diviene per un istante cucina odorosa per due ragazzi cresciuti insieme, e insieme diventati uomini forse troppo presto.

Le donne dai capelli imbiancati che ricordano di quando il latte, durante la panificazione non aveva lo stesso sapore dei giorni “normali”; la nostra cucina diventava odorosa di buono e questo profumo di genuino e di pane appena sfornato impregnava anche il contenuto della mia tazza, trasformandola in qualcosa che mi resterà dentro finché vivrò.

Siamo davvero felici di aver portato in tante case questo pezzo di Sardegna che non è spiagge bianche o acque cristalline, ma anche odori caldi di camino acceso, di ginepro, di rosmarino, di origano posto ad essiccare in un fascio vicino alla porta… E un leggero fumo di legno secco, crepitante, ad avvolgere le pagine.

Il nostro è un libro che entrando di casa in casa porta sul tavolo una vera montagna di farina bianca e dobbiamo ringraziare tutti coloro che gli stanno aprendo la porta. Siete davvero tantissimi, in ogni regione d’Italia! E tanti sono stati i lettori che sono venuti a trovarci alla fiera del libro di Iglesias, un’esperienza entusiasmante che di certo ripeteremo l’anno prossimo.

Il pane carasau. Storie e ricette di un’antica tradizione isolana è un narratore dal potere di attrarre altre voci, altre storie, altri ricordi, che tutti voi state condividendo con noi.

Ad ogni incontro e in ogni luogo, voi scrivete il vostro libro mentre noi vi raccontiamo il nostro.

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Incontrarsi a… Santadi

Susanna Trossero e Antonella Serranti

Antonella e io firmiamo le copie del nostro libro sul pane carasau

Venerdì 11 marzo, alla biblioteca comunale di Santadi, grazie all’organizzazione de “Argo Nautilus”, verrà presentato il libro Il pane carasau. Storia e ricette di un’antica tradizione isolana, scritto a quattro mani da me e da Antonella Serrenti, e pubblicato dalla Graphe.it Edizioni. Se non conoscete Santadi, situato nel basso Sulcis al centro di una grande vallata, val la pena di visitarlo per diverse ragioni, una delle quali è la presenza di grotte meravigliose (le grotte di Is Zuddas), che potrete visitare accompagnati da una guida. Credetemi, si resta incantati dalle tante stalattiti, stalagmiti, nonché dai rari “fiori” di cristalli bianchissimi. E che dire delle tombe dei giganti, del tempio nuragico o di un evento suggestivo e unico che si tiene la prima settimana d’agosto e che attrae numerosi turisti, il Matrimonio Mauritano. Se siete curiosi, vi invito a leggere qualcosa in proposito:

Insomma, in questo piccolo e suggestivo comune sardo, il nostro libro ha trovato ospitalità e speriamo di poter non solo condividere le testimonianze in esso raccolte, ma anche di sentirne di nuove, grazie al pubblico che parteciperà all’evento.

Nell’attesa, vi lascio con un passo del piccolo saggio: si tratta del racconto di Lena, un’anziana signora che ci presenta la figura di una “Accabadora”…

“Durante quegli anni, la mia propensione a “ficcanasare” tra le cose dei grandi, mi diede modo di scoprire che esisteva al paese una strana figura: si trattava di una donna apparentemente come tutte le altre, una vedova proprietaria di un piccolo gregge di pecore, che filava la lana e partecipava attivamente alla vita sociale della comunità, ma che – quando necessario – era in grado di porre fine, pietosamente e con grande umanità, alle sofferenze dei più sfortunati, ovvero di coloro che per gravi malattie erano destinati ad una lunga e tremenda agonia. Ne compresi appieno il senso soltanto da adulta, elaborando il ricordo e traducendolo anche grazie alle parole di mia madre, ma ciò che ho impresso, come fosse una fotografia, è il corpo del mio zio pastore, dopo la visita della filatrice, adagiato dentro la bara tenuta aperta per l’ultimo saluto; vi era stato posto, di lato, un disco di pane carasau tagliato a metà, due mezze lune poggiate su un panno di lino bianco, perché le portasse con sé nell’ultima transumanza insieme ad una moneta nascosta nella tasca dei caltzones (pantaloni di orbace) necessaria a pagare il traghettatore delle anime. Per sua volontà, furono messe all’interno della cassa di legno, un paio di scarpe in più, le ricordo un po’ logore ma nessuno di noi ne possedeva due paia nuove! Le aveva chieste il giorno prima di morire, spiegando a sua moglie e a mio padre, che se al traghettatore la moneta non fosse stata sufficiente per pagare la traversata, lui avrebbe dovuto percorrere lunghissimi tratti a piedi.”

Ci vediamo a Santadi!

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