Susanna Trossero

scrittrice

Chi pensa avvelena anche te: digli di smettere

pensiero molesto

La lucidità non estirpa il desiderio di vivere, tutt’altro, rende solo inadatti alla vita.
(Emil Cioran, L’inconveniente di essere nati, 1973)

E se fosse davvero così? Se l’essere lucidi e attenti osservatori – virtù o difetto che vanto di possedere – fosse un vero e proprio handicap?
Non è forse la lucidità a levare parte dello spirito di adattamento? Ci spinge a valutare, analizzare, levando la possibilità di adattarci passivamente alle situazioni o alle persone, dando origine poi alle nevrosi, così come Freud ci insegna. Dunque, comprendere di più e meglio, tradurre la realtà che ci circonda, conduce non tanto alla superiorità della conoscenza o a uno stimolo per l’intelletto, quanto a un dispiacere intimo, a una delusione costante.

Non mi piace. In pratica, chi non si adatta diviene una sorta di disadattato, e chi si adatta diviene un sottomesso alle circostanze, alla realtà.
Afflitti dall’incapacità di accettare equilibri o di sottostare al quieto vivere, scegliamo ben altra afflizione: quella del vedere meglio, del penetrare le cose o le situazioni, ovvero ciò che conduce ad una sempre maggiore incapacità di relazionarsi con gli altri. Il rischio è quello di notare subito il “difetto”, di ergersi a giudici, o di venir fuori disorientati dal contatto con l’altro e, ancora, di sentirsi l’unico soggetto “normale” immerso nelle “stranezze” altrui.

A conti fatti, si potrebbe dedurre che la lucidità, la razionalità eccessiva, alieni i rapporti con il mondo esterno; come girare al largo dagli effetti collaterali provocati da “doti” inadatte alla vita?

Riflettere, osservare, nuoce gravemente alla salute mentale?

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