Susanna Trossero

scrittrice

Un buon viaggio di rientro

Aereo

La pioggia lava via le foglie morte disseminate qua e là dalla siccità estiva, quest’anno prepotente, e insieme si porta via viaggi e viaggiatori per ripristinare la normalità, quella che prevede giornate lavorative e banchi di scuola.

Si torna a casa, al tran tran, ai progetti, alle speranze, alle novità agognate o alle incombenze immutate…

È l’alba. All’aeroporto, mentre i più sono avvinti dallo schermo del telefonino, io mi diletto a osservare ciò che mi circonda, a immaginare lo stato d’animo dei viaggiatori: hanno lasciato qualcuno o qualcosa che già gli manca? O stanno raggiungendo qualcosa, qualcuno, che troppo gli è mancato? Vanno a staccare la spina – vacanzieri ritardatari – o rientreranno in possesso del loro quotidiano, le chiavi di casa già in tasca?
Di fronte a me, una coppia che ha di certo raggiunto l’età della pensione. Lei ha in braccio un bimbo piccolo piccolo, che dorme deliziato dal ciuccio con aria distesa e beata. I due, vicinissimi tra loro, lo osservano e di tanto in tanto si guardano con una tenerezza che vorrei si potesse descrivere, fotografare… Forse un pittore saprebbe riprodurla. Forse.

Lui leva una calzetta al piccolo e si gingillano entrambi con quel piedino perfetto: le minuscole dita, la pelle liscia, la forma a “palletta”, le naturali curve ancora incerte, al momento non ben delineate. Ci sarà tempo. E ancora si guardano e lo guardano.

Li vedo davanti a un miracolo, il loro, privato e silenzioso, ignari d’essere osservati. Spettatrice discreta, spio uno stato di grazia da presepe dell’infanzia, quando mi era stata inculcata l’immagine della grotta con il bue e l’asinello, un bimbo, i suoi genitori. I nonni però, nel presepe non ci sono mai stati.

Non riesco a distogliere lo sguardo che, ad un certo punto, colgono. Sorrido, mi sorridono. “È bellissimo”, dico.

“Sì, è vero”, risponde lei radiosa mentre l’uomo arrossisce, denudato da una sconosciuta. Poi arrivano i genitori del bambino, con dei giornali e una bottiglia d’acqua.

Mio malgrado smetto di invadere quella preziosa intimità; mi guardo ancora attorno a caccia di altre meraviglie, ma vedo solo dita che si muovono frenetiche sui telefonini.

Che lo capiate o no, mi sento fiera del mio vecchio Nokia; anche stavolta ha fatto il suo lavoro: mi ha permesso di non distrarmi, di non distogliermi dalla realtà che mi circonda, di abbeverarmi con immagini che non dovrebbero sfuggirci, rammentandoci che di “bello” è pieno ogni luogo. Alda Merini ha detto “La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori”… Secondo David Hume invece, la bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla. Anche Kahlil Gibran, la pensava più o meno allo stesso modo:

“L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi”.

Non sono d’accordo… La bellezza è come una luce che si posa su cose o persone, e non c’è giorno che non ci si mostri sperando d’essere scorta. Forse userò un piccolo quaderno per annotare tutto ciò che di bello mi appare quotidianamente, e l’autunno non sarà poi così malinconico.

Sarà un buon viaggio di rientro, ne sono certa.

No Comments »

Il non primo bacio

il non primo bacio

“Lei ha le trecce bionde, è un po’ grassoccia e questo la rende deliziosa, molto simile alla bambola che da non molto ho messo via. È timida, francese (che ci fa una bimba francese, sulle rive di un lago italiano?), e mi sono fatta in quattro per averla tutta per me nel banco: ci penserò io a insegnarle la lingua. Sua madre è Amelie, signora elegante, magra e gentile, che ha incontrato uno del posto anni prima, a Marsiglia. Ora, quello del posto ha deciso che è tempo di tornare, di occuparsi del vigneto, e così mi viene regalata Claudine, sua figlia. Costruisco un recinto immaginario attorno a noi due, decisa a diventarle indispensabile, ma in realtà quello è il tempo in cui è lei ad insegnare qualcosa a me. I suoi occhi azzurri e quel sorriso sempre un po’ impacciato di chi fatica a integrarsi, scavano dentro di me una profonda buca nera fatta di un nuovo che un poco mi spaventa, di strane sensazioni, di immotivati slanci e senso di vuoto, gli uni in sua compagnia, l’altro in sua assenza.

A Natale, mi regala un piccolo presepe di legno, con Gesù e la Madonna venuti non tanto bene. Però a lei piace il tetto della capanna, dice, e mi fa questo regalo perché è convinta che il mio paese assomigli a un piccolo presepe. Pronuncia la parola presepe così come nessun altro sa fare… Mia madre lo chiama difetto di pronuncia, per me è suono che incanta. Grazie a lei, in poco tempo mi innamoro di ogni selciato percorso, di muri e tetti, di marciapiedi, di erbe infestanti o di rose selvatiche, amo i nespoli, le querce, gli uccelli, i pungitopi. Tutto, tutto diviene suggestivo e aspetterò di crescere ancora un po’ per portarla – tenendola per mano – alla vecchia cava di zolfo, dove fingerò di essere davanti ai geyser del libro di geografia.

Sognavo un luogo lontano da lì, quel partire per mete lontane: ma che cosa è il viaggio se non tutto ciò che precede l’arrivo? E così, in quell’ambiente che sentivo vuoto di tutto, così poco attraente e pieno di sbarre, è proprio lo stupore e l’incanto del viaggio che mi coglie davanti a lei, meta inaspettata… È il mio primo amore, Claudine, quello dell’infanzia, ma anche io comprendo che vi è in questo qualcosa di insolito: non ha un nome da maschio, né le fattezze di un maschio. E io sono una femmina. Come lei. E allora, a nove anni, afferro anche io che quella voragine di sensazioni, quel buco nero, vanno coperti, riempiti di terra, di segreti, di adulte finzioni. È l’istinto che lo suggerisce, un istinto che si nutre di discorsi a tavola, con mia madre che parla di Andrea – il ragazzo che ama i ragazzi – come di un malato.

“Se penso a quei poveri genitori, a ciò che devono passare… Che disagio, che imbarazzo…”

“Io credo che anche queste siano mode – sentenzia mio padre – Se ne parla troppo, ed ecco il risultato. Andrea avrebbe bisogno di un medico serio e di un padre con le palle, le devianze possono essere curate, ne sono sicuro!” e ridono, i miei fratelli.

E nel timore che possano trovare una cura per il mio amore segreto, imparo a non nominare Claudine, a non portarla più a casa per studiare grammatica insieme a lei, a non invitarla alle merende, a non mostrarmi troppo in sua compagnia. E così, la ragazzina francese dagli occhi blu, in un bellissimo giorno di tiepido sole, mi sfiora appena le labbra con le sue per un addio da film, stanca di essere snobbata.

Il primo bacio mi si tatua nello stomaco prospettandomi un nuovo modo di vedere le cose: se qualcuno sta per abbandonarti al tuo destino, lo fa con gentilezza. Se esiste il “non primo bacio” è questo, e insinua il timore a proseguire: il terreno del futuro potrebbe rivelarsi ancora più accidentato, e le mie scarpe di certo faciliteranno cadute rovinose.

Il mio nuovo compagno di banco ha gli occhiali, si chiama Paolo, ha un odore diverso da Claudine e a vedere il geyser della Caldara ci è già stato. In realtà anche io, e più di una volta, ma adesso è solo un luogo in cui respirare puzza di zolfo.

Claudine scompare chissà dove dopo la festa di fine anno scolastico, quando tutti ci apprestiamo a lasciare le scuole elementari per diventar grandi. Quel giorno, ha un vestito giallo che non le dona, e sono soddisfatta di questa ultima immagine che mi regala, perché ricorderò di lei un pallore male incorniciato e chissà, forse, se sarò fortunata, non mi mancherà troppo.”

Un mio racconto sull’amore, quello di tutti e per tutti… Dedicato a chi, il “non-primo bacio”, lo ha ricevuto.

No Comments »

Buon Natale a tutti voi

Auguri di buon Natale!

La crisi, il lavoro che non c’è, malumori e scontento, calano stipendi e pensioni ma non i prezzi né le tasse, la coppia che scoppia e la natura imbizzarrita… ma noi siamo ancora qui, ad organizzare un Natale che ci veda attorno alla tavola vestita a festa in compagnia di chi ci è caro, a scegliere piccoli regali, a incantarci davanti a luci e luminarie che abbelliscono le vie di negozianti speranzosi. Il ricordo di abeti dell’infanzia è per me collegato al calore di riunioni familiari mai obbligate bensì sempre tanto attese: una dolce scusa per rivedersi tutti e ridere insieme, far tintinnare posate e sporcarsi i vestiti di quel tremendo zucchero a velo del Pandoro, o sperare di vincere piccoli “malloppi” a tombola. Ecco, per me il Natale è sempre stato un pretesto per far prendere l’aereo agli zii lontani, per avere vicini i cugini, per andare con mio padre a raccogliere il muschio da usare per il presepe, nel quale pretendevo ci fossero elefanti e tigri a brucare con le pecore. Mi piace pensare di essere stata fortunata, per tutti quei sorrisi ricevuti e per gli abbracci di un tempo ma che ancora oggi ricevo, e che voglio donare – anche se da lontano – a tutti i miei cari, agli amici di vecchia data e a quelli nuovi di zecca, alle conoscenze fatte durante le presentazioni dei miei libri, alle tante persone indimenticabili che ho incontrato sulla mia strada e che hanno camminato con me, non importa per quanto, purché siano da ricordare.

E voglio chiedere proprio al Babbo Natale dell’infanzia, di regalar loro gli abbracci che io ho avuto la fortuna di ricevere fino ad oggi, quelli sinceri e non di circostanza, che sanno scaldare il cuore e far sentire meno soli.

Buon Natale a tutti voi, ovunque siate

Vostra
Susanna

No Comments »