Una volta, nel costruire un mio romanzo, feci dire alla voce narrante una frase che divenne quasi un sottotitolo per il romanzo stesso: “Mutilante è vivere in coppia o in piena e consapevole solitudine?” (Adele – Graphe.it).
Durante le presentazioni, la frase aleggiò sempre tra i presenti, ma dare una vera risposta non fu mai possibile perché sono le singole esperienze di vita e il nostro reagire ad esse a stabilirlo. E noi stessi siamo soggetti costantemente a grandi cambiamenti di pensieri e intenti: ci forgia la vita e la vita ci modifica. Questo, in fondo, è ciò che raccontano coloro che hanno deciso di far parte del mio nuovo libro “Il male d’amore” – Graphe.it”, in uscita a gennaio: uomini e donne di ogni età e orientamento sessuale che usando uno pseudonimo rompono l’isolamento che ogni dolore provoca, per raccontare di ferite che tutti ci accomunano, quelle inferte da una storia che finisce.
Perché non succede mai che si sia pronti insieme a ricominciare da soli.
Finalmente è arrivato il momento di presentarvi questi testimoni con piccoli estratti del loro pensiero che via via posterò, ricordandovi che è sempre un piacere incontrare la partecipazione che da sempre mi regalate, dunque vi invito a dire la vostra qui o sulla mia pagina fb “Una lettera per dirti che…”
Facile, da “semplici” spettatori, lo so, non crediate che non lo sappia. Così come so bene che in questi casi tutti abbiamo qualcosa da dire o la verità in tasca o i consigli perfetti se non addirittura i giudizi. So anche questo.
Ma voglio esternare alcune riflessioni. Sento che voglio e devo, magari solo per me stessa, non lo so ma la spinta emotiva a farlo c’è ed è troppo forte per metterla a tacere.
Ho davanti il viso di Giulia Cecchettin, mi perseguita quel visetto ancora da ragazzina e nel suo ci sono tutte le altre di qualunque età: sembra siano 105 da gennaio, o 103, non so bene. Una piaga sociale, un problema di tutti e non dei familiari. Di tutti.
Ero molto giovane quando ho saputo dello stupro di una mia amica da parte del suo ex. Lo ero quando un ragazzo che non mi interessava mi faceva la posta tutto galante e lo ero ancora quando ho visto tempo dopo la sua foto sul giornale: aveva ucciso un’altra ragazza con la quale faceva il carino senza risultati. Ed ero molto giovane quando una mia amica mi ha confessato di aver fatto un anno di ospedale da bambina per le torture inflittegli dall’anziano vicino di casa. Potrei continuare. Ciò che intendo dire è che i mostri ci sono sempre stati e tutte noi in qualche modo lo abbiamo sempre saputo. Ma… adesso è davvero una piaga sociale. Se è vero che per quanto riguarda gli stupri prima venivano denunciati meno, è anche vero che questo non vale per i femminicidi: quelli non li puoi nascondere, non a lungo, e i dati sono realmente in crescita, non lo dico io. Si continua a parlare di patriarcato ma io voglio andare oltre. Quel “no” che non viene accettato, che determina l’ossessione, la voglia di farla pagare, la convinzione di poterlo fare senza il timore delle conseguenze, da dove viene?
Appartengo alla classe 1961: riconoscimento delle gerarchie (scuola, famiglia lavoro) e dell’autorità, timore delle conseguenze e senso di vergogna quando ci si comportava in modo non appropriato. Rispetto per gli adulti, prezzo da pagare per i comportamenti non consoni alle regole della società o a quelle familiari. Forse rigidità, non lo metto in dubbio. E non mi sogno di dire che tutto ciò fosse perfetto o privo di errori, certo che no. Ma il no, su ogni fronte, era un aspetto della vita addirittura quotidiano. I bambini ne ricevevano di continuo senza subire traumi o aver bisogno di psicologi, gli adolescenti ancor di più e non ne ho conosciuto nessuno che dovesse per questo ricorrere agli psicofarmaci. Dalle superiori in poi le storie d’amore cominciavano e finivano: ci si sfogava tra gli amici, si soffriva e si gioiva, si odiava e si amava ma ci si prendeva cura delle proprie ferite soli e in compagnia. C’erano i più deboli, certo, o quelli che ci mettevano più tempo. Ma la cura era la vita stessa e nella maggior parte dei casi aveva la meglio sul buio.
La scuola forgiava il carattere con lo stesso meccanismo della famiglia: ti premio con un buon voto, ti metto un bel 3 se non hai studiato. Insegnava pesi e misure, conseguenze, in bene e in male. Ho letto che oggi invece il voto è in discussione perché genera ansia, applica etichette negative, insinua competizione diseducativa, e chi ne riceve uno basso ne ricava bassa autostima sentendosi inferiore. Quindi ne deduco che la valutazione dell’impegno e il giudizio del livello di studio raggiunto può essere una esperienza troppo intensa per i nostri fragili ragazzi. Se siete della mia generazione ricorderete di certo quali demolizioni psicologiche rappresentava per noi giovani esseri umani in costruzione, e vi prego di cogliere l’ironia.
Al tempo, ricordo anche che se un insegnante chiamava un genitore a colloquio erano cavoli amari per l’alunno e l’insegnante non veniva denunciato dal suddetto genitore ma addirittura ringraziato.
La letteratura poi, i disagi degli scrittori, le frasi da sottolineare, i libri da leggere, le poesie da tradurre e i temi da sviscerare facevano un gran lavoro: imparare a pensare, a esprimere un giudizio, a ragionare su azioni e sentimenti, a notare la diversità tra le persone stabilendo cosa ci apparteneva e cosa no, i perché e i per come. Risorsa per la crescita, che va ben oltre quell’introduzione massiccia di test invalsi che invadono scuole elementari, medie e superiori. Automatismi e appiattimento. Non sto divagando, tutto è il frutto di tutto, in particolar modo se alla base si mina l’insegnare a ragionare. E non voglio toccare l’uso e abuso della rete fin dall’infanzia, dove tutto è possibile e il virtuale elimina le conseguenze distorcendo la realtà: causa effetto, azione reazione conseguenza.
E per quanto riguardava la situazione economica, vengo da una famiglia semplice, non avevamo una lira da spendere in sciocchezze e non ne possedevano i miei amici, di sciocchezze. Ogni bene materiale era una gran conquista e dava grandi soddisfazioni perché difficile da ottenere. Però non ci sentivamo né poveri né insoddisfatti.
E allora, se permettete, qualche domanda me la pongo: da qualche parte nel 2023 c’è qualcosa di sbagliato? Chi e cosa oggi ci insegna ad esercitare la facoltà intellettiva, a sviluppare fattori cognitivi e motivazionali che stanno alla base dell’empatia, a entrare in connessione con l’altro? Il no ci è ad oggi sconosciuto ed è visto come un potente nemico che distrugge chi se lo sente dire fin dall’infanzia, lo rende isterico (i bambini), arrogante (gli adolescenti), aggressivo (i ragazzi e gli uomini). Eppure, è dal no che bisognerebbe partire, ricominciando a considerarlo come forma di educazione alla vita fin dalla prima infanzia e non come privazione crudelmente inferta.
Ma voglio osare di più a proposito dei femminicidi: dove sono gli amici dei carnefici? Dove la famiglia, che oltre a fungere da supporto e cura, protezione e sicurezza, dovrebbe non aver paura di compromettere la relazione con i figli e smettere di assecondarli? Davvero nessuno comprende quanta differenza ci sia tra dolore e ossessione? E ancora: educare le donne a proteggersi è davvero la via giusta o forse si dovrebbero educare gli uomini e monitorare le loro debolezze quando cominciano a palesarsi in modo evidente? Oggi ho letto che il mostro Filippo all’arresto si è mostrato stanco e arrendevole, molto provato. E questo dovrebbe interessarci? Ho letto che bisogna educare le donne a non abbassare la guardia, a non accettare prevaricazioni anche minime perché spesso rappresentano l’inizio di una escalation. E ho letto di fragilità del mostro Filippo e degli altri come lui. Ma dove sta la società tutta?
Se sei gentile con chi lasci perché ti dispiace aver provocato il dolore del distacco e vuoi ammorbidirlo, sbagli perché lo illudi e allora quello domani ti ammazza. Se chiudi in modo netto per evitare strascichi sbagli perché sei crudele e allora quello domani ti ammazza. Se ti nascondi e lo temi ti comporti da preda e arriva il predatore quasi lo avessi creato tu. Se al contrario sei sicura di te e i tuoi no sono netti risvegli il predatore e si sente sfidato. Se ti chiudi in casa ti fa la posta perché prima o poi ti becca, è una questione di principio che tu inneschi. Se al contrario hai vita sociale, esci, vedi gente lo stai stuzzicando perché pensa che te la spassi. Se rifiuti un incontro sei una stronza, se accetti un incontro sei una stupida che sottovaluta la pericolosità. E allora, se a conti fatti non esiste una formula che metta al sicuro le donne, forse sarebbe ora di capire che bisogna partire dagli uomini o no? Come? Io non sono nessuno, non ho soluzioni, sto solo riflettendo senza alcuna verità in tasca. Il Come lo chiedo alle istituzioni, alla scuola, alle associazioni, alle famiglie. E perché no, anche a tutte le donne che stanno dietro a questi uomini: madri, sorelle, amiche, conoscenti, vicine di casa, confidenti, colleghe di lavoro o compagne di banco. Davvero nessuna di tutte loro nota quel lento e inesorabile scivolare verso l’ossessione e si muove concretamente per esternarlo? Non succede in un giorno qualunque di novembre, dopo un salto al centro commerciale e una cena, né dopo un litigio in un parcheggio deserto. Succede prima, molto prima. Smettiamo di ignorarlo, smettiamo di cascare tutti dalle nuvole.
Questo è il post più lungo che io abbia mai scritto sul mio blog. Una esternazione, l’ho detto, di chi ascolta brutture da un punto sicuro di osservazione. Ma è davvero così sicuro? Davvero è solo osservazione? O ci siamo tutti dentro fino al collo?
A guardare fuori dalla finestra scopri tutto un mondo pieno di significati…
Il traffico racconta storie di persone che tornano a casa, alla sera, dopo il lavoro, e chissà cosa troveranno aprendo la porta… Una famiglia che li aspetta per sedersi a tavola, o forse il silenzio di un appartamento vuoto che può avere un duplice effetto: la bellezza della tana in cui rannicchiarsi finalmente rilassati, o la desolazione di un divano troppo grande che si vorrebbe abitato di sorrisi.
Dalla finestra puoi semplicemente guardare le nuvole, e ricordare quando tuo padre ti aiutava a vederci figure e volti, e insieme ne ridevate. O puoi annusare il vento, che porta sempre qualcosa da molto lontano: un sospiro, un profumo, una voce…
Dalla finestra puoi guardare le persone che abitano vie e piazze, e immaginarne la vita con la fantasia di chi scrive. Saranno felici? E quello laggiù, con la schiena ricurva, è afflitto da un amore finito? E lei al telefono sta dicendo a qualcuno che la vita è bella?
Dalla finestra non arrivano le parole ma le puoi inventare, chiedendoti se in tutte quelle ombre c’è amore o mancanza. Sono facce di una stessa medaglia, come le risate o le lacrime, e nel quotidiano si alternano e vorticano lasciando tracce sul cuore.
Dalla finestra, vedo anche i protagonisti del mio libro in uscita, perché da fuori sono giunti dentro le pagine, quasi in punta di piedi, timidamente, con il pudore di chi si racconta dietro un velo. Il male d’amore raccontato è un male d’amore che alleggerisce…
Che la finestra resti sempre aperta, che il fuori e il dentro si mescolino per avvicinarci tutti, alla sera…
Ci sono tanti modi per vivere la scrittura e tutti rivelano sempre qualcosa di attraente, intrigante, che stimola e arricchisce!
Di recente ho collaborato alla stesura della sceneggiatura di un cortometraggio, un progetto serio e importante per via del messaggio che contiene e di cui non posso svelarvi niente se non la mia emozione quando, a scene pronte, mi sono ritrovata sul set a seguire le riprese.
Non so come spiegarvi quante cose si imparano in una simile esperienza, una full immersion di una settimana tra ciack, parole dette e scritte, immagini, trepidazione, preparazione di ogni set, il timore della pioggia per le riprese esterne, l’allegria alla sera davanti alle tavole imbandite o la condivisione della pausa pranzo con i classici “cestini”…
Si crea un clima divertente, familiare, e la tensione di chi recita nel timore di sbagliare le battute o la naturalezza di chi va a braccio pur rispettando il copione alimentano la ricchezza dell’esperienza che si vorrebbe non finisse mai.
Il “buona la prima” che scatena l’ovazione perché evento raro, l’ultimo ciack che ci fa esultare tutti, il brindisi con i ringraziamenti ufficiali, la commozione che si trattiene a stento… Non conoscevo tutto questo e torno a casa piena di nuovo e di energia.
Ciò che ho apprezzato ancor di più è l’autentico gioco di squadra, che una volta creatosi mette in moto la nostalgia già al momento dei saluti, e che non mi aspettavo. Così come non mi aspettavo che questa esperienza mi portasse a conoscere bellissime persone, a scoprire le loro storie e tanto altro che resterà indelebile nel mio cuore.
Non posso raccontarvi niente di questo progetto, non per il momento, ma vi prometto che quando si concretizzerà trasformandosi in qualcosa che potrete vedere, vi dirò tutto condivendone con voi la bellezza. Per ora vi regalo “soltanto” le mie emozioni e il mio grazie, tutto diretto alla scrittura, che continua a riservarmi sorprese inaspettate!
E passa il tempo, che a guardarsi indietro tutto appare come quelle immagini accelerate dei documentari sulla natura, dove le nuvole corrono e gli alberi crescono in un batter d’occhio!
Ottobre se ne sta andando ma il caldo si aggrappa alle nostre giornate e a me sinceramente non dispiace neanche un po’: tutto sembra più poetico e bizzarro al contempo, le giornate che si accorciano, gli odori che cambiano e cambiano pian piano i colori, ma l’aria resta quella di fine estate. L’aria dei saluti, degli amori passeggeri che promettono un seguito pur sapendo che quel seguito non ci sarà, dei progetti e dei buoni propositi.
Nel mio discorso/post, ritrovo mescolati gli amori, i progetti e i buoni propositi e forse non è un caso…
In questi giorni l’uscita del mio prossimo libro, che rappresenta l’undicesima pubblicazione e dunque un bellissimo nuovo traguardo regalatomi dalla Graphe.it, è ufficiale. Vedere la scheda con sinossi e copertina mi ha emozionata tantissimo, e vorrei la vedeste anche voi, vi basterà cliccare qui per saperne di più e capire cosa contiene: Il male d’amore – Graphe.it , perché non succede mai che si sia pronti insieme, a ricominciare da soli.
Questo è forse un libro/antidoto, e rappresenta per me quel ponte che sempre dovrebbe rivelarsi la scrittura: qualcosa che unisce chi scrive e chi legge, che avvolge le due posizioni fondendole insieme, ed è per tutti perché tutti e a qualunque età si sono ritrovati a fare i conti con i patimenti del cuore o hanno consolato qualcuno che ne era immerso.
L’uscita è prevista per gennaio, c’è ancora tempo ma volerà ne sono certa, e spero che anche questa volta mi regalerete il vostro affetto e appoggio, come sempre avete fatto. Non lo dimentico, perché senza di voi – e senza la Graphe.it – non ci sarebbe stato un nuovo sogno realizzato.