Manuali di scrittura, laboratori, corsi, seminari… Tutti vogliamo scrivere, tutti abbiamo qualcosa da dire o raccontare, ma… e se imparassimo di nuovo ad ascoltare?
Parlare è una necessità – diceva Goethe – ma ascoltare è un’arte. Leggere, è lasciarsi andare alle storie che altri ci raccontano, è saper stare da soli in mezzo alle parole, essere padroni del nostro tempo al punto di non ritenere perso quello dedicato al libro.
E quando incontri quello giusto, non lo dimentichi più, così come non dimentichi qualcuno che ha compiuto un bel gesto nei tuoi riguardi: puoi dimenticarne il volto o la copertina, ma ciò che ha fatto per te, la storia che il vostro incontro cela, quella verrà ricordata.
Eppure c’è ancora tanta gente che guarda al libro come a qualcosa di noioso, impegnativo… Non un oggetto del desiderio bensì un oggetto. Niente di più.
In tanti non sappiamo più sognare, eppure in tanti vogliamo scrivere.
Sarebbe bello, un mondo in cui la gente si riavvicinasse al libro, lo sfiorasse, lo sfogliasse così come se aprisse un forziere cercandovi dentro segreti e tesori. Ne troverebbe così tanti… E ricomincerebbe a scrivere con l’amore che ogni parola usata merita.
I miei “ragazzi” non più ragazzi, in classe hanno negli occhi un mare di storie; alcune faticano a venir fuori, altre smaniano per esser raccontate. Storie lette o scritte che si mescolano in quella sete di parole che li contraddistingue. Sono loro, per me lo scrigno; sono loro le mie letture del momento, perché scoprire altri “esemplari” della mia stessa specie mi fa vedere che non tutto è perduto.
È davvero così difficile vedere un libro come muro portante della casa? Non farlo, significa limitare l’apprendimento, dunque anche la nostra capacità di interagire, di scegliere, di giudicare, di sapere, di… scrivere!
Mi colpisce molto l’irriverente frase di Massimiliano Parente, che dice “Cogito ergo sum, ergo scrivo, ergo mi autopubblico, ergo mi autoleggo e chi s’è visto s’è visto. Stringi stringi: che bisogno c’è dell’editore? Mi pubblico io. Che bisogno c’è del lettore? Mi leggo io.” Dovrebbe divertirmi, eppure mi rattrista.
In questa realtà di scrittori a ogni costo e di non-lettori, ci vorrebbe qualcuno disposto a ricordare alla massa che “Una buona lettura, una lettura positiva, è quella che ti insegna a pensare da solo”. In realtà, questo qualcuno c’è, è messicano e si chiama Rogelio Guedea, la cui filosofia è non leggere domani quello che puoi leggere oggi.
Eccolo, un autore che può insegnare a leggere… A chi? A chi ancora non lo sa fare o a chi ne ha perduto il piacere per strada, per esempio. Perché il libro ci dice quello che nessun altra forma di comunicazione può, vuole o riesce a dire.
Il mestiere di leggere (Graphe.it ), è un testo così educativo, così pieno di vibrante passione che – ne sono convinta – potrebbe portare sulla “cattiva strada” anche un non lettore.
Anche il Daniel Pennac di Come un romanzo (Feltrinelli), mi è piaciuto molto; è provocatorio, forse meno intenso nello stile rispetto a Guedea, eppure con ottima mira scocca le frecce giuste, affrontando il tema degli adolescenti che non leggono e ringraziando gli adulti per tutto ciò. La paura dell’eternità di un libro, il problema del tempo, della voglia, dei contenuti pesanti… Preconcetti, scuse. Parole vuote.
Leggere… come vivere senza un libro sul comodino? Come, senza uno in valigia, sul divano, o uno in borsa da prestare a un’amica che stiamo per incontrare?
Sapere che si ha qualcosa di bello da leggere prima di coricarsi è una delle sensazioni più piacevoli della vita. (Nabokov)
Mi rivolgo a chi sul comodino ha solo il telecomando: perché non provare?
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