Susanna Trossero

scrittrice

Soffrire per amore è fuori moda?

Secondo voi, i dolori e le pene d’amore descritti nei romanzi dell’800, sono ridicoli? Ci siamo affrancati da tali sofferenze?

“Cadevano” malati, svenivano per via dell’intensità di una emozione, si uccidevano o si affliggevano per interminabili notti e giorni… Erano davvero così diversi da noi, i protagonisti di quei romanzi?

Mi sto dedicando da tempo alla lettura o rilettura dei classici, e nella maggior parte dei casi incontro pene d’amore che non sento poi così estranee al 2021. Forse sono descritte in modo più coraggioso, un coraggio che oggi non si ha nel timore di apparire troppo ridicoli, ammettiamolo.

Mi piace pensare che il progresso non intacca la forza dei sentimenti: soffrire per amore non mi appare ridicolo ma umano, e se perdessimo questa umanità non saremmo più forti bensì più spenti. Il divampare di una passione, il senso della perdita, la mutilazione di un’assenza, la paura della solitudine o del tradimento, la ferita dei non amati o il patimento di un amore non corrisposto, sono emozioni che non passano di moda né appartengono a un tempo o a un paese. Sono parte dell’umanità, siamo noi, e il giovane Werther di Goethe che si nasconde in tutti implora di lasciargli quel poco spazio necessario a non vergognarci delle nostre debolezze. Perché…

“La fragilità del cristallo non è una debolezza ma una raffinatezza”. (Emile Hirsch)

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Ascoltare un libro

Adele, romanzo di Susanna Trossero e Francesco Tassiello

Manuali di scrittura, laboratori, corsi, seminari… Tutti vogliamo scrivere, tutti abbiamo qualcosa da dire o raccontare, ma… e se imparassimo di nuovo ad ascoltare?

Parlare è una necessità – diceva Goethe – ma ascoltare è un’arte. Leggere, è lasciarsi andare alle storie che altri ci raccontano, è saper stare da soli in mezzo alle parole, essere padroni del nostro tempo al punto di non ritenere perso quello dedicato al libro.

E quando incontri quello giusto, non lo dimentichi più, così come non dimentichi qualcuno che ha compiuto un bel gesto nei tuoi riguardi: puoi dimenticarne il volto o la copertina, ma ciò che ha fatto per te, la storia che il vostro incontro cela, quella verrà ricordata.

Eppure c’è ancora tanta gente che guarda al libro come a qualcosa di noioso, impegnativo… Non un oggetto del desiderio bensì un oggetto. Niente di più.

In tanti non sappiamo più sognare, eppure in tanti vogliamo scrivere.

Sarebbe bello, un mondo in cui la gente si riavvicinasse al libro, lo sfiorasse, lo sfogliasse così come se aprisse un forziere cercandovi dentro segreti e tesori. Ne troverebbe così tanti… E ricomincerebbe a scrivere con l’amore che ogni parola usata merita.

I miei “ragazzi” non più ragazzi, in classe hanno negli occhi un mare di storie; alcune faticano a venir fuori, altre smaniano per esser raccontate. Storie lette o scritte che si mescolano in quella sete di parole che li contraddistingue. Sono loro, per me lo scrigno; sono loro le mie letture del momento, perché scoprire altri “esemplari” della mia stessa specie mi fa vedere che non tutto è perduto.

È davvero così difficile vedere un libro come muro portante della casa? Non farlo, significa limitare l’apprendimento, dunque anche la nostra capacità di interagire, di scegliere, di giudicare, di sapere, di… scrivere!

Mi colpisce molto l’irriverente frase di Massimiliano Parente, che dice “Cogito ergo sum, ergo scrivo, ergo mi autopubblico, ergo mi autoleggo e chi s’è visto s’è visto. Stringi stringi: che bisogno c’è dell’editore? Mi pubblico io. Che bisogno c’è del lettore? Mi leggo io.” Dovrebbe divertirmi, eppure mi rattrista.

In questa realtà di scrittori a ogni costo e di non-lettori, ci vorrebbe qualcuno disposto a ricordare alla massa che “Una buona lettura, una lettura positiva, è quella che ti insegna a pensare da solo”. In realtà, questo qualcuno c’è, è messicano e si chiama Rogelio Guedea, la cui filosofia è non leggere domani quello che puoi leggere oggi.
Eccolo, un autore che può insegnare a leggere… A chi? A chi ancora non lo sa fare o a chi ne ha perduto il piacere per strada, per esempio. Perché il libro ci dice quello che nessun altra forma di comunicazione può, vuole o riesce a dire.

Il mestiere di leggere (Graphe.it ), è un testo così educativo, così pieno di vibrante passione che – ne sono convinta – potrebbe portare sulla “cattiva strada” anche un non lettore.

Anche il Daniel Pennac di Come un romanzo (Feltrinelli), mi è piaciuto molto; è provocatorio, forse meno intenso nello stile rispetto a Guedea, eppure con ottima mira scocca le frecce giuste, affrontando il tema degli adolescenti che non leggono e ringraziando gli adulti per tutto ciò. La paura dell’eternità di un libro, il problema del tempo, della voglia, dei contenuti pesanti… Preconcetti, scuse. Parole vuote.

Leggere… come vivere senza un libro sul comodino? Come, senza uno in valigia, sul divano, o uno in borsa da prestare a un’amica che stiamo per incontrare?
Sapere che si ha qualcosa di bello da leggere prima di coricarsi è una delle sensazioni più piacevoli della vita. (Nabokov)

Mi rivolgo a chi sul comodino ha solo il telecomando: perché non provare?

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Vendere l’anima al diavolo

Vendere l'anima al diavolo

Passeggiando per Villa Borghese, si avverte la presenza dell’autunno nonostante il tepore: le foglie, sebbene ancora poche, cominciano a cadere, e il sole che tramonta accorcia le giornate avvolgendo il tardo pomeriggio di un’aria profumata, che sa di umido e di terra.

L’energia che sprigiona il parco mi ritempra e, di volta in volta, mi soffermo su qualcosa che mi era sfuggito la volta precedente. Per esempio la bellissima statua dedicata al grande scrittore e poeta Johann Wolfgang von Goethe. Incantata da tanta bellezza, ne ho ammirato ogni dettaglio… Un vero e proprio monumento alto otto metri composto dalla statua dello scrittore e da altri tre gruppi di statue che ricordano lui e la sua opera (il dramma, la lirica, la filosofia). Fu inaugurato nel 1904 e sebbene abbia subito importanti danneggiamenti, è ancora là in tutta la sua imponenza e bellezza.

Personalmente sono rimasta affascinata dalla parte che racconta di Faust tentato da Male, con quel grande e austero vecchio che sfoglia un libro e che altri libri ha sotto i piedi, mentre gli sussurra qualcosa un terrificante Mefisto, dalle lunghe unghie appuntite, le corna e il ghigno cattivo.

Fissavo i volti scolpiti sul marmo e pensavo alla storia dell’uomo che vende l’anima al diavolo per ottenere qualcosa, al concetto di bene e male, alle tentazioni e alle vulnerabilità, ai desideri che scaturiscono dalle insoddisfazioni. Niente ci basta mai, e facciamo parte tutti noi di quella mescolanza perennemente in lotta: posseduti da una forza che spinge verso ciò che “non si dovrebbe fare”, ci imponiamo di operare contro i nostri stessi segreti desideri.

Ma, nell’opera di Goethe, il patto con il diavolo viene stretto non per ottenere ricchezza, potere, piaceri, bensì per conoscere. Faust è disposto a consegnare la sua anima al diavolo per soddisfare la sua sete di conoscenza, di arricchimento intellettuale, per studiare le leggi che governano la Natura e il mondo.

Ma finisce sempre allo stesso modo… Mai saremo del tutto appagati: schiavi di beni materiali, desiderosi di fama, denaro, potere, preda di passioni e incapaci di accettare un rifiuto, invidiosi e spesso traditori… Ogni giorno, metaforicamente, quanti di noi vendono o venderebbero l’anima al Mefisto di Goethe? E la dannazione sta in agguato, dietro l’angolo, in attesa.

Due passi nei viali di Villa Borghese, una statua che racconta di sommosse, turbamenti, una carezza al volto del vecchio Faust e l’ultimo sguardo alle fattezze del male, così ben rappresentato…

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