
Antonella e io firmiamo le copie del nostro libro sul pane carasau
Venerdì 11 marzo, alla biblioteca comunale di Santadi, grazie all’organizzazione de “Argo Nautilus”, verrà presentato il libro Il pane carasau. Storia e ricette di un’antica tradizione isolana, scritto a quattro mani da me e da Antonella Serrenti, e pubblicato dalla Graphe.it Edizioni. Se non conoscete Santadi, situato nel basso Sulcis al centro di una grande vallata, val la pena di visitarlo per diverse ragioni, una delle quali è la presenza di grotte meravigliose (le grotte di Is Zuddas), che potrete visitare accompagnati da una guida. Credetemi, si resta incantati dalle tante stalattiti, stalagmiti, nonché dai rari “fiori” di cristalli bianchissimi. E che dire delle tombe dei giganti, del tempio nuragico o di un evento suggestivo e unico che si tiene la prima settimana d’agosto e che attrae numerosi turisti, il Matrimonio Mauritano. Se siete curiosi, vi invito a leggere qualcosa in proposito:
Insomma, in questo piccolo e suggestivo comune sardo, il nostro libro ha trovato ospitalità e speriamo di poter non solo condividere le testimonianze in esso raccolte, ma anche di sentirne di nuove, grazie al pubblico che parteciperà all’evento.
Nell’attesa, vi lascio con un passo del piccolo saggio: si tratta del racconto di Lena, un’anziana signora che ci presenta la figura di una “Accabadora”…
“Durante quegli anni, la mia propensione a “ficcanasare” tra le cose dei grandi, mi diede modo di scoprire che esisteva al paese una strana figura: si trattava di una donna apparentemente come tutte le altre, una vedova proprietaria di un piccolo gregge di pecore, che filava la lana e partecipava attivamente alla vita sociale della comunità, ma che – quando necessario – era in grado di porre fine, pietosamente e con grande umanità, alle sofferenze dei più sfortunati, ovvero di coloro che per gravi malattie erano destinati ad una lunga e tremenda agonia. Ne compresi appieno il senso soltanto da adulta, elaborando il ricordo e traducendolo anche grazie alle parole di mia madre, ma ciò che ho impresso, come fosse una fotografia, è il corpo del mio zio pastore, dopo la visita della filatrice, adagiato dentro la bara tenuta aperta per l’ultimo saluto; vi era stato posto, di lato, un disco di pane carasau tagliato a metà, due mezze lune poggiate su un panno di lino bianco, perché le portasse con sé nell’ultima transumanza insieme ad una moneta nascosta nella tasca dei caltzones (pantaloni di orbace) necessaria a pagare il traghettatore delle anime. Per sua volontà, furono messe all’interno della cassa di legno, un paio di scarpe in più, le ricordo un po’ logore ma nessuno di noi ne possedeva due paia nuove! Le aveva chieste il giorno prima di morire, spiegando a sua moglie e a mio padre, che se al traghettatore la moneta non fosse stata sufficiente per pagare la traversata, lui avrebbe dovuto percorrere lunghissimi tratti a piedi.”
Ci vediamo a Santadi!
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