La sala d’aspetto di un medico: qualcuno sfoglia una rivista ormai datata, un ragazzo armeggia con un telefonino, una donna fissa un punto inseguendo qualcosa che agli altri è sconosciuto. Una nonna osserva il nipotino alle prese con un tablet, e quando solleva lo sguardo diritto davanti a sé, si accorge che un uomo di colore – forse quarantenne – sorride nella sua direzione. L’anziana donna, risponde a quell’atto di cortesia contraccambiando il sorriso e poi, facendo spallucce, dice all’uomo:
“Io, di queste cose non ci capisco niente… Giocavo a nascondino, io. Loro, i bambini, oggi sono più intelligenti, sviluppano più capacità, il loro cervello è già pronto per il mondo del lavoro!”
Non si tratta di una critica, bensì di ammirazione, ciò è palese.
L’uomo, senza perdere il sorriso, con evidente accento straniero ma con impeccabile proprietà di linguaggio, risponde:
“Anche io giocavo per la strada. Loro giocano con la mente, noi con il corpo e la psicologia. Per strada, il gioco era movimento, creatività, rapporto con gli altri, quindi formava il carattere, insegnava a vivere con le persone. Creatività, comunicatività, esercizio fisico, spirito di squadra, condivisione. Oggi il gioco li prepara al lavoro, sviluppa l’intelletto, ma manca di ciò che ti prepara alla vita e ai rapporti con gli altri”.
La donna intenta fino a poco prima ad inseguire privati pensieri, scrolla la malinconia e interviene:
“Ho un figlio piccolo e so bene che cosa devo fare: servono entrambe le cose. Lui sa usare meglio di me tutto ciò che ha una tastiera, ma passa delle ore a disegnare con i suoi amici, a correre al parco con il nostro cane, e fa amicizia con tutti. Siamo noi adulti che dobbiamo aprirci senza dimenticare niente. Il nuovo non deve fare paura, o cresceremo figli che non sanno vivere i grandi cambiamenti che li aspettano. Ma neppure cancellare il vecchio, o cresceremo figli che non sanno interagire con gli altri. C’è spazio per tutto.”
Sociologia dei processi culturali. A volte non servono testi specializzati né lezioni universitarie. Basta ascoltare la gente, osservare, riconoscere differenze e prendere possesso dei punti di vista altrui, valutarli, scomporli, per mettere insieme qualcosa che abbia in sé equilibrio e ci insegni a vivere non meglio dei nostri nonni ma in maniera diversa, più completa. Migliorare, senza privarci di ciò che di utile ci è stato insegnato. Aprire la mente senza escludere ciò che di buono dal “vecchio” ci giunge.
Io, che sono spesso poco attratta dal progresso, e lo vedo come un demone che mi destabilizza e mi minaccia, devo ammettere che il punto di vista della donna intervenuta per ultima nella discussione, mi ha colpita e affondata.
Mi piacerebbe conoscere il vostro punto di vista…
Nel frattempo vi lascio con il motto privato del grande Victor Hugo, il quale disse:
“Ecco il mio motto: progresso costante. Se Dio avesse voluto che l’uomo indietreggiasse, gli avrebbe messo un occhio dietro la testa. Noi guardiamo sempre dalla parte dell’aurora, del bocciolo, della nascita.”
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