Susanna Trossero

scrittrice

La diva e la ragazzina

Monica VittiChe strani luoghi, gli aeroporti.

Osservare è sempre stato il mio forte, e i viaggiatori hanno spesso esercitato su di me un fascino irresistibile, fin dalla prima volta che ho lasciato la mia isola per raggiungere “il continente”.

Ero ancora una ragazzina, e quanto mi pareva grande l’aereo!

Una navetta stracolma di sconosciuti ci aveva condotti di fronte alla scaletta; era mattino presto, un mattino dai colori incerti ma dai toni caldi, estivi. Davanti a me ancheggiava – gradino dopo gradino – Monica Vitti, strizzata dentro un luccicante abito da sera lungo fino ai piedi. Quanto era bella, e io me la immaginavo di rientro da una festa sfavillante. Avrei voluto scoprire quali scarpe indossasse,  ma non feci in tempo perché l’aereo la inghiottì subito dopo e si persero le sue tracce tra i tanti passeggeri.

Ricordo che per tutto il volo tentai di memorizzare ogni dettaglio di quell’abito da sera, con l’intenzione di vestire allo stesso modo la mia Barbie, ma già sapevo che non avrei potuto riprodurre tanta meraviglia con i pochi lembi di stoffa a mia disposizione, ritagli dell’amica sarta di mia madre.

In un articolo recente che riguarda l’attrice, ho letto parte dei riconoscimenti da lei ottenuti: “5 David di Donatello come migliore attrice protagonista (più altri quattro riconoscimenti speciali), 3 Nastri d’Argento, 12 Globi d’oro (di cui due alla carriera) e un Ciak d’oro alla carriera, un Leone d’oro alla carriera, un Orso d’argento alla Berlinale, una Cocha de Plata a San Sebastián e una candidatura al premio BAFTA.”

Ho incontrato una vera diva, quel giorno, una donna che ha lasciato il segno nella storia del cinema italiano ma che è oggi segnata da un terribile male. Lei diceva che il mondo non è di chi si alza presto, ma di chi è felice di alzarsi, e di certo quel mattino lei a dormire ancora doveva andarci!

Non dimenticherò mai la magia dell’incontro tra la ragazzina che ero e la star dai capelli biondi che sorrideva a tutti con grazia, là, dentro la navetta. Poi, il volo, le nuvole tutte attorno, il mare sotto di noi…

“Con il mare ho un rapporto travolgente, quando lo vedo muoversi, impazzire, calmarsi, cambiare colore, rotta, è il mio amante”. (Monica Vitti)

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In viaggio

in viaggio

Quante città perdiamo, alla ricerca del sogno giusto?

Quante vie dimentichiamo, per abbracciarne di nuove inseguendo il miraggio dell’oasi perfetta? Quella in cui non manchi l’acqua di sorgente, l’ombra della palma promessa da ogni cartolina che si rispetti, tepore, e la brezza leggera che mai si fa vento…

Metafore, sogno di una vita migliore, di un luogo che abbracci e che abbatta gli ostacoli, spaventandoli.

Valige da riempire e da svuotare, stanze da lasciare o abitare, un libro su ogni comodino: è questo, il vivere di ognuno? No, non lo è. Nella vita di tutti c’è il sogno di un luogo e non mille, una storia composta di storie, gioie da non perdere, insoddisfazioni da metabolizzare, vicoli e case da amare, oggetti e ricordi disseminati per le stanze, riti quotidiani.

Ma il viaggio, l’attesa, il cambiamento, lo sguardo rivolto a un finestrino, è fascino ammaliante… Ha mostrato a me ciò che un tempo vide Victor Hugo: un paesaggio che si mette in movimento.

E che dire dell’esser semplici spettatori? Osservare all’aeroporto quei grandi vetri scorrevoli che si aprono e chiudono di continuo, abbeverarsi di viaggiatori dai trolley variopinti. Uomini e donne attesi da qualcuno o in attesa, che indossano abiti leggeri o pesanti, quasi là le stagioni si mescolassero.

Trasformarsi in gabbiano solitario che sbircia da sopra un lampione il via vai dei taxi, i saluti e gli incontri, le navette degli hotel che attendono di traghettare i clienti: essere uno di loro, nella testa il ricordo di luoghi appena lasciati, familiari o sconosciuti che importa? Qualcosa resta sempre, ad accompagnare l’arrivo.
Sentire il rombo degli aerei, respirare a pieni polmoni l’aria che quella gente si è portata dietro da chissà quale paese, e così una piccola porzione di ciò che hanno visto è in me. È come se questa strana gita, questo osservare tanta umanità in una sola volta, abbia il potere di tramutare in tante altre persone.

Dei miei viaggi, di ogni cambiamento, o degli sguardi di altri viaggiatori, mi sono abbeverata. Ho assorbito infinite esperienze, innumerevoli vite, dunque ora so molte più cose, anche se devo elaborarle ancora.

Ma, per questo, ho bisogno di tempo e solitudine. E di una penna per scriverne.

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