Di quante ere è composta la nostra breve vita? Di quante stanze allestite al meglio per sentirsi a casa? Quali ricordare oggi, in questo luogo a me familiare?
Erano anni in cui il solo guardare dai vetri diveniva solitudine, in quel galleggiare di provincia; una provincia non mia nella quale sapevo d’essere di passaggio, seppur non conoscendo la vera meta del mio viaggiare.
La finestra era molto piccola e piccolo era lo spazio in cui vagavo, tra pranzi veloci e solitarie cene in camera davanti a vecchi film. Scrivevo lettere, leggevo Montale prima di dormire, e i vestiti del giorno dopo erano già pronti, là, sulla sedia.
Sconosciuta, mi muovevo in lunghe giornate di lavoro, con la biancheria stesa al sole, la via odorosa di pane appena sfornato, e le domeniche ad osservare il mare sognando di andare, andare, andare ancora più lontano di così.
Una vita fa o solo ieri?
Sono tornata dopo anni, in quella cittadina di naufraghi senza storia. Ai muri erano affissi grandi manifesti con il mio nome in evidenza, ho parlato al microfono e ricevuto applausi scroscianti.
Al momento del riposo, la finestra era un balcone che si affacciava sulla via principale e la camera era quella di un albergo.
C’è sempre un luogo da cui provieni e uno in cui vai. E i luoghi del passato si rivestono spesso di un clima autunnale, con piccole foglie arrugginite che planano sul cuore.
Tutti i luoghi, indistintamente.
Quelli dell’infanzia, quelli delle illusioni, quelli delle delusioni e quelli del cambiamento.
E sono tutti luoghi in cui non torneresti più, ma dai quali resti per sempre un poco attratta… Come se, in un angolo piccolo piccolo di te, là ti sentissi ancora a casa.