Perché continuiamo a ciondolare d’insoddisfazione, dietro le sbarre di quotidiani che pare ci stiano sempre stretti? Siamo arrabbiati. Tutti o quasi. Arrabbiati in auto, quando il semaforo tarda a farsi verde, o quando un pedone osa attraversarci la strada. Siamo arrabbiati al risveglio, perché ci aspettano incombenze e nevrosi non programmate in gioventù. E siamo arrabbiati a fine giornata, perché la definiamo inconcludente. I soldi che non bastano, i figli che deludono, alla tv non c’è nulla di buono, i politici ci stanno derubando, il cibo non ha più lo stesso sapore di quando… Di quando? Di quando ridevamo di niente?
Ci accomuna il difetto d’essere, del non essere più in grado di tornare indietro, dell’io credevo che la mia vita sarebbe stata diversa…
Tutto e tutti ci deludono, ma noi agli altri cosa offriamo?
Oggi sono stanca di questa cappa sulla testa, densa di fumo irrespirabile. E volo tra gli angoli di sole che ancora sopravvivono nonostante la pioggia battente sui vetri, a sgranocchiare pop corn al cinema, a conoscere meglio una giovane donna davanti ad una pizza per scoprire affinità e instaurare piacevoli conversazioni, a gustare un gelato sul lungomare di Ostia guardando gli aquiloni, a tenere per mano l’unico uomo a cui ho saputo dare la mia parte migliore. Volo, e sento il profumo dell’erba appena tagliata nelle aiole del mio quartiere, assaporo il piacere delle rotelle di liquirizia, chiamo un’amica che si sposa e le auguro quel per sempre a cui nessuno sembra credere più molto. Poi, preparo una valigia con dentro tutti gli errori commessi, tutte le azioni di cui vergognarsi, le colpe attribuitemi da altri e quelle delle quali mi sono io stessa accusata, e quando ho finito il lavoro la chiudo con un grosso lucchetto e la porto in cantina. Tutte le porte delle celle adesso sono aperte lungo il corridoio dell’anima, e c’è tanto spazio.
Dovresti farlo anche tu. E tu. E tu.
Chi è senza peccato scagli la prima pietra.