Susanna Trossero

scrittrice

Inutili macerie

Risentimento, da Wikipedia:

“Il risentimento (o rancore) è un’emozione data da un misto di rabbia e desiderio di rivalsa, protratto nel tempo, che si prova come conseguenza di un torto subito, sia esso reale o immaginario.”

Ecco: sia esso reale o immaginario. E, immaginario, spesso lo è.

Da giorni, e non è la prima volta, faccio il punto sulle persone che incrociamo per la nostra strada, e che a volte proseguono con noi sullo stesso marciapiede per un tempo la cui durata non ci è data di sapere in anticipo ma che ci viene rivelata quando svoltano per un’altra via (o svoltiamo noi).

Questo cambiar rotta, che decreta la fine di un incontro, sta semplicemente a significare che quel tempo è finito e prenderne atto con l’accettazione dovuta ci porterebbe a godere di nuove vie, di nuovi incontri o del piacere della solitudine, o ancora di un nuovo profumo di cui forse la via percorsa in precedenza non era impregnata.

Eppure ci si dilania, si odia, si invidia, si maledice, si vive aggrappati agli alberi della vecchia strada anche se oramai privi di linfa e di foglie. Risentimento. Perché, “protratto nel tempo”? Perché concedergli tanto spazio?

Ho notato che spesso lo prova anche chi, volontariamente, è stato l’artefice del cambiamento, ovvero colui che attratto dal nuovo ha lasciato la strada battuta e poi – voltandosi indietro – non ha visto lacrime o disperazione, non ha visto macerie, ma il sorriso di chi si è sentito liberato, altrettanto elettrizzato dalla nuova condizione e ha proseguito con passo spedito. Ci sono persone che si allontanano da noi ma che ancora di noi si cibano in segreto, sperando di essere indispensabili; persone che per sentire di esistere necessitano di sapere che mai saremo felici in loro assenza. Persone che preferiscono sapere che i nostri cassetti sono rimasti vuoti piuttosto che stracolmi di progetti e di vita. Il dolore di chi li ha visti andare via per alimentare la loro autostima: “Soffrono per me, perciò valgo”.

Quando ciò non accade, arriva il risentimento. Quello che non gli spetta, naturalmente.

Ma a chi spetta, in definitiva, il rancore?

Io direi a nessuno, perché si tratta solo di tempo perso.

Non spetta a chi ha torto, perché rivela un animo meschino.

Non spetta a chi ne avrebbe diritto, perché è soltanto tempo sottratto al bello che spesso sta dietro l’angolo ad attendere d’esser visto.

Sono colpita da ciò che siamo in quanto genere umano. Ogni giorno di più. E mi piace pensare in termini di castelli di sole, non di macerie; li auguro anche a tutti voi: spalancate le finestre dell’ala più alta, credetemi, ne vale la pena!

Vostra Susanna

 

 

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