Susanna Trossero

scrittrice

La bella stagione

Piange il mio corpo, in una notte di stelle irriverenti. Piange copiose lacrime di sudore eruttanti da pori fino a ieri ostruiti dal gelo dell’inverno. Piange il suo lamento privato e tuttavia comune a un popolo di intolleranti, mentre immonde zanzare banchettano, attratte dalla palude maleodorante in cui sono immerso.

I savi impazziscono stanotte e i pazzi affinano le loro arti, fra le quali l’autodistruzione primeggia, regina incontrastata. Ma io, povero piccolo essere umano incatalogabile, grido in un silenzio claustrofobico e senza via d’uscita.

Anche i grilli rantolano serenate non richieste e le finestre spalancate sul niente mi privano di intimità vitali, senza null’altro concedere in cambio. Un alito di vento è solo fantascienza mentre il calore delle lenzuola mi ustiona l’anima.

Ma respiro, dunque sono vivo e la vita, nella sua caducità, mi accompagna in questo girone dell’inferno dal quale mi è impossibile fuggire. Se volessi tradire il mio Dio, non avrei neppure quei miseri trenta denari necessari; per andare lontano poi, ne occorrono molti di più.

Chi ha detto mai che l’uomo non possiede alcun potere sul tempo? Situazioni a noi aliene ci corredano di occhi capaci, con un solo sguardo, di rallentare fino all’inverosimile le lancette di qualunque orologio… Ma questa strana dote va perfezionata poiché non siamo ancora in grado di gestirla al meglio: ahimè, è risaputo che allo stesso modo è la nostra gioia ad aumentarne la velocità.

Un potere innegabile, certo, tuttavia così ingannevole da far impietosire il tempo stesso. Tutt’altro che defraudato, ci osserva in silenzio sorridendo magnanimo, nella veste di un padre che osserva il suo bambino fare un uso scorretto e confuso delle posate, perdendo irrimediabilmente buona parte del contenuto del suo piatto.

Che poveri sciocchi siamo…

Una notte eterna dunque è ciò che mi attende e le ali della fantasia, tarpate da tanta canicola, non mi saranno d’aiuto.

Un miraggio inopportuno, in bella mostra dentro il frigorifero, mi disseta solo momentaneamente. Ma l’arsura è dietro l’angolo, sul cuscino, in attesa ch’io tenti di dormire.

Non trovo pace e il calvario è autoalimentato da pensieri negativi, ma come averne di diversi in situazioni così ostili?

Manca l’aria, ho paura, e se domani tutto si ripetesse come adesso? E poi dopo e dopo ancora? E se durasse dei mesi? Se fosse questa la fine del mondo profetizzata dai Maya?

Su questa domanda, non so come, tutto mi sfugge di mano e precipito in un sonno tutt’altro che ristoratore, fra creature minacciose e uomini deformi, tutti in fila per due in attesa di salire su di un’arca rattoppata alla meglio e per niente affidabile.

Non molto tempo dopo albeggia e so di essere sopravvissuto. Come tutti, del resto.

Accade ogni anno.

È  arrivata la bella stagione.

 (Pubblicato nel 2008 da Giulio Perrone Editore, nell’antologia “Arrivano le vacanze”)

 

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Morte apparente

 

È soltanto una donna, mi dicono.

È  opinione comune e ricorrente ma io sono qui e lei no, questo conta. Lei ama, dunque il suo spazio limitato non prevede altri affetti prepotenti.

Ci sono mali incurabili che all’improvviso, inspiegabilmente, regrediscono fino a scomparire; quale legge ottusa e crudele stabilisce che gli amori impossibili rimangano tali in eterno? Lei ama un lui che non sono io, io amo lei. Ciò offre infinite variazioni fra le quali intravedo differenti possibilità. Per esempio: lui ama un’altra, lei viene a me. E addirittura: lei viene a me, io non l’amo più. Quest’ultima variazione sul tema potrebbe rivelarsi salutare per il mio orgoglio di maschio. Mio malgrado è l’unico ad esigere una vendetta che a me personalmente non interessa.

È  lei che voglio. Questo sì, mi interessa.

Farmi crescere la barba e rantolare fra gli amici tenendo le spalle ricurve è solo una forma di esibizionismo idiota, lo so e ne è cosciente anche la mia intelligenza. Ma le circostanze richiedono un look trasandato e un atteggiamento da fallito e non ho intenzione di far la guerra anche a questo.

Perché lei?

Perché sì.

E d’altronde, perché un’altra?

Comunque sia, non lo ha neppure sposato. Non ancora almeno. Manca poco.

Ho sognato un coltello. Un coltello lucido, bello come pochi. Non ho ricordato, del sogno, null’altro che questo. Mi dicono che è un simbolo fallico, che tanta disperazione va educata, che le mie “agitazioni” hanno un che di infantile e che le mie tendenze sessuali finiranno per risentirne… Psicologia spicciola dei quattro avventori di un bar di provincia. Un simbolo fallico… mi minacciano forse? Se seguiti a fare i capricci diventerai un finocchio! Oh, tanto tempo fa mi è stato detto anche “se seguiti a masturbarti diventerai cieco”. Idiozie.

Io so cos’è quel coltello. È lei. Bella, lucida, tagliente.

Vorrei essere per strada adesso, fuori, al buio, e saper chiedere a Dio perché a me ha concesso un’anima se poi l’ha resa impura e perché una donna d’altri che io volevo mia. Un coltello che avrei potuto avere a basso costo al mercato nero dei peccati, dove paghi sapendo ciò che acquisti e ciò che acquisti vale sempre tanto poco.

Ma quel coltello… Oh Dio, perché una lama così aguzza fra tante che graffiano soltanto? Che ne sarà di noi se un noi non c’è mai stato, se non vi è un posto per me neppure all’interno del mio stesso corpo, estraneo a tutto se non ai suoi capelli o a quella lama… una lama capace di affondare in un cuore che fondo non ha più e che zampilla senza più pudore… Dove andrò con tutto questo sangue sotto i piedi a rendere ogni passo vacillante?

A ucciderla. Bell’idea. Bussare alla sua porta e fingere di voler sparare contro il suo faccino da signorina per bene parlandole d’amore.Terrorizzarla un po’ e poi andar via. Magari caricare l’arma con un solo colpo per rendere più veritiera la scena e meno bugiarda la mia tensione…

Che importanza può avere la distanza esistente fra ciò a cui aneli e ciò che concretizzi con un fatto reale… Se hai una pistola con un solo proiettile e la punti al cuore del tuo tormento, se per volontà del destino la pressione del dito sul grilletto non provoca alcun fragore ma un ridicolo clic senza eco… che importanza può avere? Tu hai ucciso comunque, con quel clic una volta l’hai fatto e una volta è ciò che occorre per avere mani sporche.

No, non sono mani sporche ciò che vorrei offrirle.

Campi di girasoli, arcobaleni e stelle marine… sarebbe tutto suo. Un mondo privo di arrotini, nulla più da affilare, solo io, lei e neppure il vago ricordo di un dolore… Che Dio la maledica.

Non mi va più di pensarci. Torno in me per l’ennesima volta e riordino vagheggiamenti da folle, poiché folle non sono.

Respiro e riprendo possesso d’ogni poro della pelle, d’ogni fibra del corpo. Sono calmo adesso. E solo. Finisco la birra, pago ed esco dal bar senza salutare gli amici.

A casa mi accoglie un buon profumo, mia moglie stasera ha preparato le lasagne con una salsa di funghi porcini che adoro.

(Pubblicato nel 2008 da Giulio Perrone Editore nell’antologia “Tutta mia la città”)

 

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