Susanna Trossero

scrittrice

La cassapanca

Accarezzarti mi dà sempre un vago senso d’angoscia, che sottile e malevolo serpeggia trasferendosi dai miei polpastrelli alla schiena. Tu stai là, in silenzio, sotto il quadro di un Goya degli anni più cupi, ad osservarmi dopo tanta lontananza, e forse a giudicarmi per tutto ciò che di me ti ho nascosto dall’ultima volta. Avrei voluto evitarlo, ma non scrivo più i miei diari da un’intera vita, dunque che ci resta oramai da condividere? Una casa vuota, vecchie inutili cose. Che altro?

“… ”

Il passato? Dici? Che tu mi stia sorridendo è quasi impossibile, surreale oserei dire, eppure… no, è una fenditura del legno, uno spazio orizzontale lasciato da chi ti ha costruita, un errore involontario quanto la scelta di quel verde marcio a ricoprire il tuo colore naturale. Sapevi di ghiande, un tempo. Ora di muffa, e il colore mi fa ben sperare che marcisca anche il tuo contenuto. Mi infastidisci. Sei brutta e saccente, con quella tua aria da io ti conosco. O forse sono io pazza, ad immaginare che una vecchia cassapanca voglia psicanalizzarmi. Eppure… chi meglio di te… No, devo andarmene. Ti volto le spalle afferrando le chiavi di casa. Hai la forma di una piccola bara, non sei più un piacere neppure per lo sguardo. Non sei solo brutta, sei tetra!

“… ”

Che cos’era? Eri tu? Eri tu! Hai sussurrato! No, era un tarlo. Che diavolo vuoi? Mi stai giudicando, tu pensi che io sia una vigliacca. Vuoi una prova di forza? Ecco, ti spalanco la bocca e i miei diari, le foto, quei datati taccuini, sono i tuoi denti aguzzi e cattivi. Ti maledico per la risata silenziosa, mentre mostri crudele tutto ciò che mi riguarda e che solo tu conosci.

Che fare? È un braccio di ferro. Una maledetta faccenda tra me e te.

Mio padre, da qualche parte, teneva una cassetta degli attrezzi. Sì, lo ricordo. Viti, bulloni, martello, tappi di sughero, un rotolo di spago. Eccolo: un lucchetto. Torno da te e stavolta boccheggi, ne sono certa. Ora sono io a sorridere, inginocchiandomi al tuo cospetto senza umiltà alcuna. Che credevi di fare, inutile ammasso di legno?

Riabbassando il tuo coperchio, ho la sensazione che in quel cigolio ci sia un opporre resistenza, ma non mi lascio turbare. Il lucchetto è chiuso, non esiste chiave. O almeno non era nella cassetta degli attrezzi. Me ne vado senza salutarti, dopo averti imbavagliata per sempre. Ora sì, sono certa che niente racconterai ad anima viva.

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