In questi frizzanti pomeriggi invernali, sto leggendo Ieri, romanzo breve (o racconto lungo?) di Agota Kristof, storia che mi spinge verso riflessioni interrotte di continuo da punti di domanda…
Facile, per chi ama leggere, essere marchiato da un libro che ti viene incontro per caso – o su suggerimento altrui – e ti chiede di esser letto. Facile, divenire tutt’uno con una vicenda fantastica che contiene in sé tanta verità da accompagnare il pensiero di chi legge. Abbiamo discusso di questo romanzo al laboratorio di scrittura della Rai, di cui da tempo faccio parte, ed è stato per me illuminante.
Si supera davvero ciò che segna la nostra vita? Il passato, ci ferisce e mutila abbattendo ogni speranza futura, o il futuro ci aiuta ad affrancarci da esso?
In un’esistenza segnata da ferite mai del tutto rimarginate, è prevista la felicità?
Mi immagino devastazioni che persone a me care hanno vissuto o subito, segnate fin dall’infanzia o demolite un poco dopo, e vedo con occhi nuovi i loro sogni diventare sempre meno coerenti, le loro crisi esistenziali sfociare in bisogni e desideri da visionari… Le vedo non gestire la felicità, rifiutarla, difendersi da essa così come si fa di fronte ad un nemico!
Quanto può rendere infelici la felicità?
Loro lo sanno, oh se lo sanno, così come sanno che non si può sostenere a lungo l’equilibrata gestione di sé con una croce sulle spalle, reale o immaginaria che sia. Emotività spezzata, impossibilità di essere compresi a lungo termine da altri, vivere nell’errore che non vi sia per loro null’altro che questo.
Ma… sì, “ma”: ma davvero la guarigione dall’errore di valutazione (per me non ci può essere niente) è la soluzione? Ovvero, costruirsi un quotidiano più vicino possibile alla “normalità”, non potrebbe forse equivalere alla morte dei sogni? Alla non-vita? Allo scendere a patti e quindi alla rinuncia?
Faccio appello alle rivelazioni che mi giungono dallo stomaco e non dalla razionalità – mia amica, nemica, compagna di vita – fino a vedere smettendo di cercare. Ed è solo allora che comprendo che in loro la speranza vive e sopravvive nell’infelicità e nel dolore: divenendo scopo o sogno segreto, costruisce la forza necessaria a proseguire il cammino; è in quella condizione, che non temi di perdere. Perché se sei felice, altri hanno tutto ciò che serve per metterti al muro.