Che fatica sognare di lasciare che un uomo qualunque poggi la testa sul tuo cuscino.
L’estraneo sulla soglia di casa è senza più sorrisi, e annega nel suo quotidiano melmoso: farlo entrare è esserne contagiati, plagiati e – nel sogno – il modo educato e il tono gentile trasforma in fatto naturale anche il lasciarlo stendere sul tuo letto.
Riposava, lo sconosciuto. Era stanco.
Poi però ho pensato ai suoi capelli poggiati là dove tu posi i tuoi e ho provato disgusto, un enorme senso di colpa. Lui non aveva suscitato in me alcuna emozione, eppure quei capelli sulla federa, sul tuo profumo, si sono in me trasformati in male, e la stanza si è affollata di sguardi maligni di estranei che ti avrebbero raccontato di un mio tradimento.
Sporca senza aver commesso alcuna mancanza, realizzavo con angoscia crescente che mai avrei potuto discolparmi, che non sarei stata creduta, e l’ansia di un sogno trasformatosi in incubo, finalmente mi ha svegliata. Tu eri accanto a me, il tuo corpo caldo nel sonno, il respiro pesante. Avrei voluto scusarmi e carezzare il tuo viso e il tuo cuscino, ma ti avrei disturbato.
Ti ho amato di più, in quella strana sensazione che l’incubo – una volta dissolto – lascia addosso.
Che stanchezza genera, il dormire.
Il nuovo giorno si affaccia da piccole fessure, con la realtà che solidale lo affianca danzando nel pulviscolo. Il sogno è oramai dimenticato.
Come va veloce, la clessidra… Tutta quella sabbiolina che scivola via portando con sé incontri, parole, vita vissuta e non vissuta, emozioni, sorrisi e lacrime, realtà o fantasia da scrivere.
Nel tempo mi evolvo, imparo, assimilo e mai mi pento, mentre la sabbia va e viene e il fato, distratto ma determinato, organizza le giornate.