Susanna Trossero

scrittrice

La stanza

la stanza

Ti guardo dormire senza attendere un risveglio, mentre tende bianche svolazzano al rallentatore sotto i baci della calura estiva. Forse dovrei chiudere le imposte e interrompere il frinire esasperante di cicale inopportune, ma il mio corpo appesantito dai pensieri non vuole più saperne di muoversi.

E tu dormi, dormi ma non sudi e il tuo petto non si solleva né si abbassa in un ritmo da risacca così come forse dovrebbe. Che fare intanto? I pomeriggi estivi in campagna sono tutti uguali.

Sfioro le ragnatele dal soffitto con sguardo distratto mentre il ritratto di tua madre, che tutto osserva e tutto giudica, mi indispone come sempre… Perché appenderlo proprio là di fronte al letto? Quante sterili discussioni per quel chiodo di troppo e per i tanti ammuffiti cimeli di famiglia disseminati senza gusto in ogni dove. Qui far l’amore è sofferenza, è polvere e vecchiume che contamina ogni gesto e a che vale avvilupparsi di biancheria costosa se, andando via, ci si porta irrimediabilmente dietro indelebili tracce di antichi dissapori? Tuo padre è morto in questo letto, fra le braccia di una puttana senza nome, e tu è qui che adori morire fra le mie con rovinoso masochismo. Il tarlo irritante di un ricordo ti divora spesso l’anima distogliendola da me e io ti scruto nella penombra in cui da sempre vivi, chiedendomi qual è il mio ruolo in questa stanza di scrittoi e merletti d’altri tempi.

Sei pallido. I tuoi lineamenti non sono distesi benché neppure contratti; un fantoccio, ecco cosa sei, inerme e lontano da elucubrazioni terrene. Domani anch’io sarò lontana. Domani. Riesumerò i miei arcobaleni di un tempo, di quando vivevo alla luce e ridevo di niente in una casa piena di vita e vuota di te.

Amarti è incurvarsi a presidiare da invadenti scarafaggi il legno consumato di pavimenti putridi e io sento, in cuor mio, di poter avere altro un po’ più in là, dove tu non sei.

Mi alzo piano ma lo scricchiolio del letto non ti sveglierà più. Levo le mie impronte dal manico del tuo coltello da caccia e sorrido del tuo andare senza salutare. La macchia rossa sul lenzuolo che ti avvolge il corpo si è estesa a dismisura, colorando irriverente il bianco e nero del tuo mondo.

Almeno in questo ti trascinerò con me.

(Dalla mia raccolta “Nella tana dell’Orco”)

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