Susanna Trossero

scrittrice

Siete vittime o artefici della noia?

Adesso sì, sono un po’ ansiosa. Lo dico in tutta sincerità: la fase 2 mi spaventa. Lo stomaco si contrae, la domanda serpeggia come un brivido: siamo pronti a una seppur parziale riapertura? Possiamo contare sul buon senso? E se, e se, e se…

Mi pare troppo presto, il Covid-19 non è stato debellato né vinto, ma ne comprendo le ragioni e mi adeguo. Questioni pratiche, economiche, lavorative, non sono da sottovalutare. Ma… la salute? Il gatto che si morde la coda.

Non sono riuscita a dirvi molto, in questo mese di aprile, il tempo scorreva scandito dai numeri dei contagiati, dei morti, e per fortuna dei guariti; amici che si sono ammalati hanno reso le notti più lunghe, la realtà ha regalato impotenza e si è fatta attesa, ma anche su quel fronte è andato tutto bene. Non fosse che per questa inquietudine costante, la mia reclusione non è stata faticosa. Ho sentito molti dire che a casa diventano matti, che la noia li distrugge, e proprio sulla parola noia ho riflettuto molto. Non ho un ricordo che mi associ – a qualunque età – alla noia.

Nel vocabolario la si definisce come “uno stato psicologico di demotivazione, temporanea o duratura, nata dall’assenza di azione, dall’ozio. Crea malessere, disagio, invincibile fastidio.”

Ebbene, credo che nessuno mi abbia mai sentito dire “mi sto annoiando”, in momenti in cui non avevo nulla da fare. Non sono una persona che deve a tutti i costi riempire le sue giornate, le ore, il tempo, di qualcosa. Forse perché ritengo che di qualcosa il tempo sia già pieno anche quando non sembrerebbe. Un fruscio, il pensiero che vaga, un volo della fantasia, l’affacciarsi di un ricordo o il silenzio. Sì, semplicemente il silenzio, da ascoltare.

Sono una figlia unica che non si è mai sentita sola né annoiata. In realtà, posso annoiarmi mentre faccio qualcosa o sto con qualcuno, piuttosto che in assenza di cose da fare o in piena solitudine. Mi piace ritagliarmi dei momenti di raccoglimento, uno spazio in cui il privato ha voce in capitolo in quel nulla da fare che si riempie di piccoli piaceri. Tutto ciò è ben lontano dalla noia intesa come stato di insoddisfazione…

Secondo Leopardi, “La noia non è altro che il desiderio puro della felicità non soddisfatto dal piacere, e non offeso apertamente dal dispiacere”.

Invece Charles Bucowski, un po’ più cattivello nei suoi giudizi, sosteneva che “solo le persone noiose si annoiano”.

E, Marcel Proust, ha detto che “La noia è uno dei mali meno gravi che abbiamo da sopportare”.

Chi spinge a guardarsi dentro è il punto di vista di Socrate, che ipotizza il fatto che quando siamo soli con noi stessi, ci annoiamo perché siamo proprio la compagnia con la quale non non vorremmo passare il tempo…

Per voi che mi leggete, che cosa è la noia? La temete? La scacciate infastiditi? La considerate sentimento da rivalutare o da temere in quanto assenza di desideri da soddisfare?

Vi aspetto, come sempre,

Susanna

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Ho ricevuto una lettera da Kafka

kafka

Vi capita mai di vagare indolenti fra i titoli della vostra libreria, aprendo qua e là dei libri a caso, scoprendo vecchi segnalibri che non ricordavate di possedere, biglietti d’auguri o liste della spesa dimenticate?

Ieri pioveva a dirotto, qui a Roma: situazione ideale per “cercare” qualcosa, per lasciarsi stupire da storie e racconti che neppure sapevamo di avere. In questa morbida e pacata escursione, io ho incontrato Franz Kafka, del quale ho diversi libri compreso un interessante saggio che ne illustra la psicologia, ma ciò che mi ha attratta è stato un piccolo tascabile della Newton Compton Editori: l’edizione integrale di “Lettera al padre”. Rileggerlo, dopo anni, è stato quasi come leggerlo per la prima volta, respirando all’interno di un carcere personale che non mi appartiene ma che è facile comprendere grazie all’abilità dell’autore. E così l’ho visto, mite, discreto e timido, afflitto dal grigiore di una vita tormentata dalla sua stessa vena creativa e dalla vocazione all’introspezione; l’ho visto, scrivere una lettera che mai arriverà a destinazione così come forse a tutti noi è accaduto. Uno sfogo, una necessità, la speranza di liberarsi da un nodo scorsoio, di affrancarsi da un padre rude, che si è fatto da solo e non ha alcun dubbio sulla sua stessa grandezza… Un uomo così pieno di sé da illudersi d’essere il custode di verità assolute, mentre in realtà è solo un arrogante ottuso e pieno di pregiudizi che considera regole.

Quanto, una figura così imponente nei suoi limiti, può trasformare un mondo personale in un luogo senza luce? Quanto può umiliare o dar vita ad angosce esistenziali?

Una lettera simbolica, espellere per rinascere: si è liberato, Franz Kafka, scrivendo una lettera che mai avrebbe raggiunto il destinatario? Questo oggetto fisico, strumento di comunicazione ma anche fonte di risposte soprattutto per chi scrive, ha ossessionato e ammaliato altri grandi della letteratura: la lettera-confessione di Oscar Wilde in De Profundis, per esempio, o le ventimila lettere di Voltaire, i diciannove volumi che raccolgono quelle di Proust, quelle di Moravia, Pasolini, Henry Miller e molto più indietro nel tempo quelle di Epicuro, Platone, Cicerone, Orazio…

Mail, sms, chat, nuovi strumenti di comunicazione… Qualche rimpianto?

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