Susanna Trossero

scrittrice

Le parole non hanno un volto

Uno scambio di parole che avvolgono, necessita di un volto? Un libro meraviglioso ci fornisce la riposta: "Le ho mai raccontato del vento del Nord" di Glattauer

Mia cara amica di uno strano tempo, una volta mi dicesti che non aveva senso cercare a tutti i costi di dare un volto a chi con le parole ci sta regalando tanto, e io non compresi. Anzi, contestai con veemenza. Sì, lo ricordo. Come ricordo i nostri scambi fatti di riflessioni, citazioni, punti di vista, diversità e uguaglianze.

In queste settimane di quarantena, leggendo un romanzo che credo ti piacerebbe molto, ho capito finalmente che cosa intendevi. Tu, che come me di libri ti cibi avidamente, sai bene quanto a volte siano in grado di modificare i nostri punti di vista, illuminandoci. Inchiodandoci. Dunque oggi – se passerai di qui – troverai un brano che ti dedico e che è tratto da Le ho mai raccontato del vento del Nord, di Daniel Glattauer. Lo dedico alle tue parole di tanto tempo fa…

“Ci avviamo a un grande disinganno. Non possiamo vivere quello che scriviamo. Non possiamo sostituire le tante immagini con cui ognuno di noi raffigura l’altro. Alla fine del nostro primo (e ultimo) incontro, ci separeremo profondamente disillusi, indolenti come dopo un pasto abbondante che non ci è piaciuto, e che come lupi affamati avevamo atteso per un anno, lasciandolo cuocere e ribollire a fuoco lento per mesi. E poi? Fine. Basta. Mangiato. Fare come se niente fosse? Una immagine smitizzata, svelata, sciolta dall’incantesimo, delusa, sgualcita. Non sapremo più cosa scriverci. Non sapremmo più perché dovremmo continuare a scriverci. E un giorno ci incroceremo in un caffè o in metropolitana fingendo di non vederci, imbarazzati per ciò che è diventato il nostro noi, per quello che ne è rimasto. Niente. Due estranei uniti da un passato immaginario”.

Un romanzo bellissimo, mia cara amica, che – come altri nel nostro ieri – ha saputo da voce ai tuoi punti di vista che non comprendevo ma che in fondo esprimevano il vero.

Un abbraccio, non sgualcito né deluso.

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Siete vittime o artefici della noia?

Adesso sì, sono un po’ ansiosa. Lo dico in tutta sincerità: la fase 2 mi spaventa. Lo stomaco si contrae, la domanda serpeggia come un brivido: siamo pronti a una seppur parziale riapertura? Possiamo contare sul buon senso? E se, e se, e se…

Mi pare troppo presto, il Covid-19 non è stato debellato né vinto, ma ne comprendo le ragioni e mi adeguo. Questioni pratiche, economiche, lavorative, non sono da sottovalutare. Ma… la salute? Il gatto che si morde la coda.

Non sono riuscita a dirvi molto, in questo mese di aprile, il tempo scorreva scandito dai numeri dei contagiati, dei morti, e per fortuna dei guariti; amici che si sono ammalati hanno reso le notti più lunghe, la realtà ha regalato impotenza e si è fatta attesa, ma anche su quel fronte è andato tutto bene. Non fosse che per questa inquietudine costante, la mia reclusione non è stata faticosa. Ho sentito molti dire che a casa diventano matti, che la noia li distrugge, e proprio sulla parola noia ho riflettuto molto. Non ho un ricordo che mi associ – a qualunque età – alla noia.

Nel vocabolario la si definisce come “uno stato psicologico di demotivazione, temporanea o duratura, nata dall’assenza di azione, dall’ozio. Crea malessere, disagio, invincibile fastidio.”

Ebbene, credo che nessuno mi abbia mai sentito dire “mi sto annoiando”, in momenti in cui non avevo nulla da fare. Non sono una persona che deve a tutti i costi riempire le sue giornate, le ore, il tempo, di qualcosa. Forse perché ritengo che di qualcosa il tempo sia già pieno anche quando non sembrerebbe. Un fruscio, il pensiero che vaga, un volo della fantasia, l’affacciarsi di un ricordo o il silenzio. Sì, semplicemente il silenzio, da ascoltare.

Sono una figlia unica che non si è mai sentita sola né annoiata. In realtà, posso annoiarmi mentre faccio qualcosa o sto con qualcuno, piuttosto che in assenza di cose da fare o in piena solitudine. Mi piace ritagliarmi dei momenti di raccoglimento, uno spazio in cui il privato ha voce in capitolo in quel nulla da fare che si riempie di piccoli piaceri. Tutto ciò è ben lontano dalla noia intesa come stato di insoddisfazione…

Secondo Leopardi, “La noia non è altro che il desiderio puro della felicità non soddisfatto dal piacere, e non offeso apertamente dal dispiacere”.

Invece Charles Bucowski, un po’ più cattivello nei suoi giudizi, sosteneva che “solo le persone noiose si annoiano”.

E, Marcel Proust, ha detto che “La noia è uno dei mali meno gravi che abbiamo da sopportare”.

Chi spinge a guardarsi dentro è il punto di vista di Socrate, che ipotizza il fatto che quando siamo soli con noi stessi, ci annoiamo perché siamo proprio la compagnia con la quale non non vorremmo passare il tempo…

Per voi che mi leggete, che cosa è la noia? La temete? La scacciate infastiditi? La considerate sentimento da rivalutare o da temere in quanto assenza di desideri da soddisfare?

Vi aspetto, come sempre,

Susanna

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Far male a un’amica: si può?

13 marzo. Le restrizioni si sono inasprite da pochi giorni: ora restano aperti solo pochi esercizi commerciali, quelli necessari a garantire beni di prima necessità per noi e per i nostri amici animali. E anche in questi luoghi, vi si entra nel rispetto delle distanze di sicurezza e pochissimi per volta.

Guanti e mascherine (oramai introvabili), timore dell’altro, reclusione. Quarantena.

Per strada nessuno, un decreto impone di non uscire e chi lo fa deve avere una seria necessità, pena denuncia, sanzioni, arresto. Siamo in guerra. La guerra al virus.

Oggi, nel nostro paese, si contano i caduti e i numeri stanno qui: Coronavirus, contagiate 133.101 persone: 4.949 i morti.

In questa reclusione forzata, ci si distacca da una realtà che fa paura tuffandosi in film, serie tv, scrivendo o leggendo. E io ho divorato la storia autobiografica di Alice Sebold (ricordate Amabili resti?), dal titolo Lucky. Alla parola fine, ho capito una cosa: la regola del “quando un’amica è parte integrante di te, non desideri per lei alcun male né male le faresti”, prevede una eccezione. Si perché non vuoi che soffra a meno che…

A meno che non ti capiti tra le mani uno di quei libri dalle tre D:

  • Drammatico
  • Doloroso
  • Dilaniante

Sì, un libro che ti rapisce, che provoca contrazioni allo stomaco, che ti strattona l’anima e che per questo non puoi più lasciare se non alla parola Fine.

Ce ne sono, di libri così. E più ti fanno male più vorresti cederli alla tua amica di sempre, garantendole il tuo medesimo malessere. E lacrime.

Un libro cambia le regole, e permette a due amiche del cuore di regalarsi a vicenda momenti di sconforto senza sensi di colpa. Anzi, all’opposto, ricevendone gratitudine per l’avvincente lettura suggerita.

La mia quarantena è dunque cominciata con Lucky, di Alice Sebold. Proseguirà con Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli, candidato al Premio Strega 2020.

E la vostra?

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