Susanna Trossero

scrittrice

Il mio motivo per dire grazie

E quando pensi che dopo una così lunga assenza, nessuno più passa di qui, ricevi una mail che ti sorprende, che è abbraccio di bentornata come quelli del dopo vacanza, quando rivedevi le amiche e sentivi d’essere mancata a qualcuno.

Dicono che cercare ogni giorno un motivo per dire grazie, fa sentire meglio e rende la vita più luminosa, dunque oggi il mio grazie va a te, presenza costanze e discreta, Amica ritrovata ma mai perduta davvero. Perché dirti questa parola vecchia come il mondo, logora, in disuso, è per me così importante? Rispondo a te e a chi sta leggendo, con parole non mie ma che mie sento:

Provare gratitudine e non esprimerla è come incartare un regalo e non darlo. (William Arthur Ward)

E comunque, hanno ragione gli psicologi quando sostengono che lasciarsi andare alla gratitudine, esprimerla, aiuta a dimenticare ciò che ci disturba e a focalizzare l’attenzione su cose positive. Un modo differente di ribadire il concetto del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, in fondo, ma io credo in questo potere, ne scrissi – anche se con parole diverse – nel mio “E tra le mura il cuore” di tanto tempo fa (Graphe.it).

Certo, non sempre siamo capaci di distogliere lo sguardo da tutto ciò che in noi esercita potere disturbante, per sorridere al mondo come guru di noi stessi, no… Imprecare, recriminare, arrabbiarsi, sentirsi delusi, è cosa da tutti e di tutti i giorni, ed è naturale, nessuno di noi ne è immune, ma ciò che cerco di dire è che siamo avvezzi a concedere più spazio a tutto ciò che interferisce negativamente, rispetto al bello che ogni giorno ci sfiora nei modi più banali o sorprendenti.

Tutto qui.

E allora eccomi a te, Amica mia, a dirti che il tuo raggio di sole si è fatto beffe di un temporale talmente intenso da diventare notizia del tg, e mi ha fatto sentire in primavera, sotto l’albero di mimosa del cortile della scuola, con il fiocco blu impeccabile della quinta classe e un timido sorriso davanti al fotografo. Lo ricordi anche tu, quell’albero?

Saluto te con un abbraccio, e chi mi leggerà con un aforisma di Zig Ziglar:

Più riconosci ed esprimi gratitudine per le cose che hai, più cose avrai per cui esprimere gratitudine.

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Notte prima degli esami

Cari vecchi compagni di scuola, ricordo bene quel giugno lontano che porto nel cuore ancora oggi: i pomeriggi sui libri o quelli in cui ci dicevamo “c’è tempo” e scappavamo sulle spiagge ancora deserte, a costruire castelli fatti di desideri passeggeri ma che allora consideravamo vitali.

Lo ricordo quel giugno, il tempo delle ciliege e dell’ansia dettata dal cambiamento imminente: ragazzi che si apprestavano a diventare uomini e donne, la fine di qualcosa che ci apparteneva e che credevamo eterno, l’inizio di un futuro sconosciuto che ci avrebbe cambiati modificando anche il quotidiano.

La ricordo, la notte prima degli esami, quando ancora non sapevo che il tempo delle scuole superiori è uno dei più belli della vita, e volevo dell’altro. Quella notte insonne aveva un senso che al tempo non conoscevo e che in tanti abbiamo sprecato nel pensiero dell’esame stesso. In realtà, era un preludio, una porta spalancata su infinite possibilità che neppure sapevamo di poter cogliere…

Ne sono scaturiti errori di valutazione, scelte sbagliate o non scelte addirittura, ma anche passi importanti nella giusta direzione. Ognuno di noi, miei cari compagni di scuola, ha preso la sua strada dal mattino dopo, senza neppure avvedersene perché si trattava di un piccolo passo verso il futuro… Ma sono i piccoli passi che, uno dopo l’altro, ci fanno percorrere grandi distanze.

“Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi”, ha detto Eraclito, e fu questo che cominciò ad accadere quella lontana notte prima degli esami.

Siete la foto ricordo che non abbiamo mai scattato, ma che mi porto nel cuore e che guardo ogni volta che sento uno studente dire che il tempo della scuola è eterno e non ne può più.

Sarebbe stato bello, invece, che fosse durato ancora, ancora un poco, un poco di più.

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Ti amo settembre…

Settembre non è un mese qualunque. È un contenitore di ricordi profumati, intensi, vivi per tutto il tempo che io viva resterò. Proseguiranno il cammino con me e puntuali si ripresenteranno ad ogni nuovo settembre, avvolgenti e indimenticati.

Perché è questo il mese dell’uva dolce e dei trattori alle prese con la vendemmia, che rallentavano le auto dirette al mare, e nessuno se la prendeva per questo. Semplicemente, si procedeva con pazienza e dopo la curva li si sorpassava, quei trattori, annusando l’aria che sapeva già di mosto.

Settembre è il mese delle spiagge che si svuotavano e i granchi finalmente riprendevano a frequentarle senza timore. Io e mio padre gli costruivamo stradine di sabbia e cunicoli e grotte per vivacizzargli la giornata, ma senza fargli mai alcun male.

Settembre è il mese degli acquisti per la scuola: quaderni dai fogli immacolati, astucci, penne, le gomme da cancellare profumate, i libri, odori di un’infanzia rallegrata da una semplice cartella nuova o dai vestiti che non stanno più e che costringono a riorganizzare il guardaroba.

Settembre, mese di canzoni per gli innamorati che si dividono, incontratisi per caso in vacanza ed entrati a far parte del sogno, di quel “se soltanto non fossimo così lontani” che diverrà struggimento con le prime piogge mentre le giornate si accorciano.

Settembre, canestro di fichi colti dall’albero, scegliendo i più maturi e senza il timore di sporcarsi le mani del loro latte. Mia madre allegra e abbronzata, mio padre a ingegnarsi per raggiungere i rami più alti… Ed io, con l’amica del cuore, sorellina acquisita e mai perduta, impegnata soltanto a mangiarne a volontà.

Settembre non è un mese qualunque. É un tesoro di rossi tramonti, di malinconica bellezza, uno scrigno prezioso di sapori e colori, di vita vissuta ma anche di futuro. Perchè è il mese in cui tutto ricomincia, invariato o no sarà il tempo a dirlo. Lui spalanca le porte al futuro, sta a noi farlo entrare.

Un mese che amo profondamente, che mi avvolge il cuore e l’anima volando via troppo in fretta seppur lasciando intatta la sua dolce promessa: tornerò.

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Il mio fiore all’occhiello

Ultimo giorno di scuola, e l’aula si svuota dei sorrisi, delle condivisioni, delle mille idee e di tutta quella creatività e vivacità intellettuale che – ne sono certa – per molto tempo resterà nell’aria. E non saranno le finestre aperte sulla primavera a disperdere quell’immenso bagaglio che ho avuto l’onore e il piacere di respirare anche io.

Ogni luogo conserva un poco di ciò che lo ha abitato, delle storie che ha conosciuto, degli stati d’animo o dei sogni.

Sì, sogni. Perché chi scrive, è ancora capace di sognare.

Non si tratta del mero desiderio di una pubblicazione, io parlo di ben altri sogni, di qualcosa di molto più profondo che in qualche modo emerge da ogni pagina e che in ogni pagina resta per sempre, anche quando il sogno cambia o cambia chi lo aveva dentro di sé.

Non tutti siamo capaci di rileggere, dopo anni, ciò che anima e fantasia hanno regalato al foglio bianco: rivedersi nudi dopo esser stati capaci di rivestirci dell’armatura a noi più congeniale, significa non dimenticare. Ignorare. Fingere che mai sia accaduto.

È uno specchio, la scrittura: non sempre rimanda l’immagine che più ci fa star meglio. Ma quel non dimenticare è importante: non dobbiamo ignorare chi siamo o siamo stati poiché ci sarà sempre d’aiuto per comprendere appieno chi vorremo essere domani.

Di armature, in classe, ne ho viste cadere; volti e nomi grazie a ciò sono e saranno sempre in me tatuati.

Un corso di scrittura è anche questo: condividere parole che vanno al di là della carta e che neppure sono state realmente pronunciate né mai scritte.

È andare oltre le lezioni, gli esercizi, le correzioni, le risposte alle domande. È vivere mescolandosi agli sguardi e al mondo interiore di persone che speri di non perdere per strada.

È un fatto intimo che sebbene in parte diviene “pubblico”, intimità crea mentre le stagioni scorrono veloci fuori dai vetri.

Quando arriva l’ultima lezione, in me il ricordo della prima è ancora fresco: ciò significa che mi mancherete, ma a tutti voi – e mi rivolgo ad ogni classe – chiedo di non smettere di vivere in quell’angolo privato che necessita di tempo e spazio. Ne vale la pena, e credo lo abbiate capito ascoltandovi l’un l’altro, commuovendovi o divertendovi.

Suscitare emozioni è lo scopo e voi tutti, ognuno a suo modo, lo avete saputo fare.

Per me, siete già degli scrittori.

Il mio fiore all’occhiello che mai appassirà.

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Non solo regole

Susanna

E anche quest’anno scolastico comincia a prendere il giusto ritmo, con nuovi volti tra i banchi e altri oramai noti con i quali ritrovarsi e riprendere là da dove ci si era interrotti.

Mi piace, quando in quell’aula si condividono idee e passioni, dubbi o ispirazioni. Le regole alternate da divagazioni e punti di vista, la tecnica supportata dalla più liberatoria fantasia, le voci che mescolano opinioni su questo o quell’altro autore, e i giudizi amichevoli sugli scritti dei compagni.

Di volta in volta, la proposta di un esercizio di scrittura lascia tutti perplessi, e qualcuno esterna sempre il timore di non riuscire nell’intento di dar vita a qualcosa che funzioni; in realtà, quando ci si trova poi a casa – o altrove – da soli, e si prova a creare le giuste condizioni per riempire le pagine word o quelle di un quaderno, la storia all’improvviso nasce, cresce, si sviluppa.

La scrittura è un fatto intimo, scaturisce molto spesso da un momento di raccoglimento del tutto privato – all’aperto o al chiuso non importa – ed è per questo che sono sempre stata contraria alle esercitazioni in classe. Come si potrebbe dare il meglio con il fiato sul collo, il tic tac del tempo che scorre, il foglio bianco in prepotente attesa, il clima da compito di matematica e l’ansia da prestazione. No, la scrittura è ben altro: è liberazione, trasporto, malia… Uno stato di ipnosi che conduce all’interno di noi stessi ma mostrando l’esterno in altra maniera. È creare un proprio linguaggio, esternare un differente modo di vedere e di sentire. E per questo occorre raccoglimento, solitudine.

Quando scopro che i miei allievi stanno conoscendo ciò di cui sto parlando qui, spero sempre che non ne facciano più a meno, perché ho la presunzione di garantire a tutti loro che quel processo creativo che hanno messo in moto, li arricchirà.

Con il mio breve ma appassionato post, desidero dare il benvenuto ai nuovi allievi del corso di scrittura narrativa di quest’anno, i quali coraggiosamente si preparano a vedere assieme a me dai vetri dell’aula, tre delle stagioni dell’anno. Sarà un lungo percorso, ma sappiate che quando si concluderà, a primavera inoltrata, vi renderete conto di quanto il tempo sia volato: è così che sempre accade quando ci si lascia andare a un’arte.

Mentre, ai cari “vecchi” allievi che si preparano alla stesura di un romanzo, nel corso di secondo livello, dico bentornati! Riavervi tutti quanti per un altro anno sarà divertente visto il clima creatosi, e spazzate via ogni dubbio: siete pronti per mettere al mondo qualcosa di concreto, ne sono sicura!

«Le idee racchiuse in se stesse s’inaridiscono e si spengono. Solo se circolano e si mescolano, vivono, fanno vivere, si alimentano le une con le altre e contribuiscono alla vita comune, cioè alla cultura!». (Gustavo Zagrebelsky)

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