
E anche quest’anno il corso di scrittura è terminato, tra abbracci e promesse di non perdersi di vista che spero tanto saranno mantenute. Per l’occasione è stato organizzato un incontro pubblico con tutti gli allievi i quali hanno esternato i loro pensieri riguardo l’esperienza vissuta con me, in un’ultima condivisione prime delle “vacanze”. La carissima Patrizia Ometto, fantasiosa discola, ha scelto una maniera insolita per raccontare ai suoi compagni di corso (i quali si sono battezzati “Narratori seriali”) le sue impressioni, ed io ho deciso di condividerle con voi perché ironicamente deliziose! Eccole:
La storia della scrittura
Un bel giorno, in quel bel posto che era la “mezzaluna fertile”, nel lontano Medio Oriente, qualche ragazzotto locale si industriò a tracciare con uno stilo dei segnetti sull’argilla fresca: parliamo del 4000 a.c., qualcuno dei più anziani se lo ricorderà di certo, fortunati voi che siete testimoni del passato… I ragazzotti in questione, a bagno coi piedi nel fango paludoso, discutevano fra loro della adeguatezza di mettere delle caporali o le virgolette nei discorsi diretti.
Poi un po’ più in là, sia con gli anni che con la longitudine, un gruppo di portatori di pietre, esausti dalla fatica di salire su quelle cavolo di piramidi, approfittavano della pausa pranzo all’ombra del maestoso monumento, per scrivere su dei papiri, abbellendo gli scritti con bellissimi disegnetti. Avevano addirittura l’inchiostro, liquido molto apprezzato anche dalle loro fidanzate per un tocco di eye liner. Il più sveglio di loro si nominò maestro e insegnò agli altri l’importanza della tensione narrativa e del climax, essendoci poi 50 gradi all’ombra.
Siamo giunti quindi ai Greci ed ai Romani che per scrivere ormai usavano degli stili metallici su tavolette cerate e pergamene. Tra un bagnetto e l’altro alle terme, qualche sapientone si distingueva sempre. Quello di turno un giorno fece un corso sul romanzo thriller, visto che congiure e accoltellamenti erano all’ordine del giorno.
E meno male che ad un certo punto ecco che arrivò Isidoro di Siviglia, siamo nel VII sec.
Questi piglia un uccello e zac gli strappa una penna. Ecco come si scriveva tra un flamenco e l’altro. Si andò avanti spennando uccelli fino al 1830 quando l’inglese mr. Perry, dopo una notte insonne, si inventò un pennino d’acciaio, cosicché le oche poterono starnazzare tranquille con le loro penne intatte.
Ma quanti goccioloni lasciavano quei cavolo di pennini! Ecco che l’ideona la ebbe sempre un’inglese (perché gli inglesi so’ forti), un certo Mr. Foelsh. Il brav’uomo si spremette le meningi pur di non sentire la moglie che brontolava per le macchie d’inchiostro sulle tovaglie di lino. Inventò la penna a serbatoio e cioè la nostra stilografica.
Dopo la seconda guerra mondiale comparve la penna a perdere o biro. La inventò l’ungherese Birò. La sera la moglie cucinò il gulash per tutto il palazzo per festeggiare la scoperta e il Birò tenne una lezione sui “plasticismi da evitare” ma l’amministratore del condominio, avendo frainteso l’argomento, lo fece arrestare per spionaggio.
A parte gli strumenti della scrittura, in tutti questi millenni l’uomo ha capito che doveva trasmettere i pensieri per conservarli o comunicarli ad altri. Una forma di espressione talmente importante che vi vorrei parlare del periodo in cui trovò il suo apice.
Torniamo un attimo nel Medioevo: qui una nobildonna tale Susanna Trossero si immolò a salvatrice dell’idioma e della prosa. La gentildonna si cimentò prestando la sua opera e il suo sapere a degli stolti barbari venuti dalle Alpi nonché a dei rozzi pescatori delle terre di Costantinopoli e Bitonto. Ne fece persone pensanti e scriventi, si adoperò a stimolare il loro Neanderthaliano cervello plasmandolo in un organo dal lessico gradevole anche se ancor acerbo.
Grazie quindi a questa santa donna che ha fatto sì che questi uomini e donne, chiamati Narratori Seriali, non potessero più fare a meno di scrivere.