Vi capita mai di vagare indolenti fra i titoli della vostra libreria, aprendo qua e là dei libri a caso, scoprendo vecchi segnalibri che non ricordavate di possedere, biglietti d’auguri o liste della spesa dimenticate?
Ieri pioveva a dirotto, qui a Roma: situazione ideale per “cercare” qualcosa, per lasciarsi stupire da storie e racconti che neppure sapevamo di avere. In questa morbida e pacata escursione, io ho incontrato Franz Kafka, del quale ho diversi libri compreso un interessante saggio che ne illustra la psicologia, ma ciò che mi ha attratta è stato un piccolo tascabile della Newton Compton Editori: l’edizione integrale di “Lettera al padre”. Rileggerlo, dopo anni, è stato quasi come leggerlo per la prima volta, respirando all’interno di un carcere personale che non mi appartiene ma che è facile comprendere grazie all’abilità dell’autore. E così l’ho visto, mite, discreto e timido, afflitto dal grigiore di una vita tormentata dalla sua stessa vena creativa e dalla vocazione all’introspezione; l’ho visto, scrivere una lettera che mai arriverà a destinazione così come forse a tutti noi è accaduto. Uno sfogo, una necessità, la speranza di liberarsi da un nodo scorsoio, di affrancarsi da un padre rude, che si è fatto da solo e non ha alcun dubbio sulla sua stessa grandezza… Un uomo così pieno di sé da illudersi d’essere il custode di verità assolute, mentre in realtà è solo un arrogante ottuso e pieno di pregiudizi che considera regole.
Quanto, una figura così imponente nei suoi limiti, può trasformare un mondo personale in un luogo senza luce? Quanto può umiliare o dar vita ad angosce esistenziali?
Una lettera simbolica, espellere per rinascere: si è liberato, Franz Kafka, scrivendo una lettera che mai avrebbe raggiunto il destinatario? Questo oggetto fisico, strumento di comunicazione ma anche fonte di risposte soprattutto per chi scrive, ha ossessionato e ammaliato altri grandi della letteratura: la lettera-confessione di Oscar Wilde in De Profundis, per esempio, o le ventimila lettere di Voltaire, i diciannove volumi che raccolgono quelle di Proust, quelle di Moravia, Pasolini, Henry Miller e molto più indietro nel tempo quelle di Epicuro, Platone, Cicerone, Orazio…
Mail, sms, chat, nuovi strumenti di comunicazione… Qualche rimpianto?