Susanna Trossero

scrittrice

Influenza, amore mio…

on 30 Gennaio 2017

Susanna Trossero

Inverno, periodo di malanni… Vaccini sì, vaccini no, aspirine a cucchiaiate, la sciarpa sulla bocca per non prender freddo, spremute d’arancia, integratori per il sistema immunitario, consigli e divieti…

Da bambina, ogni anno arrivava il febbrone che tanto preoccupava mia madre. La vera seccatura era la tosse, ancor oggi puntuale visitatrice di stagione, ma era il giusto prezzo da pagare per una intera settimana senza la scuola. Il letto mi abbracciava ed io mi sentivo in pace con il mondo. Anche allora leggevo tanto, e quelle erano occasioni ideali: ho sempre trovato l’influenza un momento magico tutto mio, caldo e accogliente, forse perché non mi dava alcun tipo di dolore. Potevo dormicchiare in orari improbabili, oziare tutto il giorno senza che nessuno avesse da ridire, e adorare mio padre che rientrava dal lavoro con fumetti per me o qualche nuova raccolta di figurine: “Il mondo degli animali”, “Tutta Italia”, “Tutta Europa”…

Poi, crescendo, ho notato che quei simpatici virus hanno iniziato a starmi alla larga, e il massimo che può capitare è un raffreddore prepotente, magari una febbriciattola passeggera o la solita tosse per niente gradita.

Quelle belle influenze, quelle vere, che ti coccolano per bene, che rendono la voce nasale e gli occhi lucidi, che ti colorano le guance di rosso e ti fanno amare il pigiama per una settimana, beh… mi ignorano. A volte mi pare un dispetto, lo ammetto.

Non me ne volete, voi che siete a letto costretti dal male di stagione, con il termometro che segna 39 e poca voglia di mangiare: io amo l’influenza, inutile mentirvi. E allora, se ciò non vi crea seri problemi lavorativi e se non vi sentite troppo male, approfittatene per farvi coccolare, per ascoltare il vento o la pioggia da sotto le coperte. Almeno per un giorno lasciatevi andare… mi capirete!

Vi saluto con un brano tratto dal mio ultimo romanzo, ancora in fase di correzione, e… felice guarigione a tutti!

Non ce la faccio. L’unica necessità, unica ma vitale, è una terribile influenza che mi costringa a letto, che mi trascini in quell’ozioso girone in cui tutto è ovattato, non si pensa, non ci si lava, e si sopravvive sotto le coperte senza conoscere il senso di colpa. Un’infermità passeggera a regalare, senza conseguenze, quello stato comatoso ufficiale, non contestato da chi ti sta attorno. Nessuno mai si sognerebbe di indurti a reagire, ma neppure si preoccuperebbe per te: è una normale influenza, se la becca tutto il mondo, passa. La perfezione di un virus stagionale è ciò a cui adesso anelo. Niente altro. Silenzio, solitudine (è contagiosa, no?), capelli un po’ in disordine, mangiare a letto quando hai fame e senza apparecchiare né sparecchiare. Qualcuno che si occupi di tutto il resto, come spazzare e spolverare, sprimacciare i cuscini del divano, rendere lucenti i sanitari. Una casa profumata, mentre tu dormicchi e la tua anima sfrutta al massimo l’abbraccio protettivo e rassicurante delle coperte. Voglio il niente. Non voglio dover pensare. Non voglio dovermi occupare del quotidiano. Non voglio contatti, dover spiegare, avvertire toni preoccupati e quindi dover rassicurare. Voglio poter non reagire senza prezzi da pagare. È un mio diritto: voglio l’influenza.


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